Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 18-05-2011) 28-07-2011, n. 30122 Bancarotta fraudolenta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte d’Appello di Messina ha confermato, con sentenza del 19.3.2010, la condanna pronunciata dal Tribunale di quella città il 27.2.2007 nei confronti di C.S., ritenuto amministratore di fatto di CHEMICAR Srl e colpevole di bancarotta fraudolenta impropria conseguente al fallimento di detta società, dichiarato il (OMISSIS).

Le condotte incriminate sono sia di distrazione fraudolenta dell’imbarcazione "(OMISSIS)" di spettanza societaria, a favore del C., sia di tenuta della contabilità in guisa da non consentire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari.

Avverso la decisione ricorre personalmente l’imputato dolendosi dell’erronea applicazione della legge penale, nella parte in cui richiama quella fallimentare, non avendo il comportamento negoziale cagionato danno di sorta alla massa dei creditori o cagionato il dissesto poichè il bene non fu sottratto al patrimonio della società, appartenendo da tempo a quello privato del C. a cui la fallita società l’aveva alienata sin dal 14.11.1993, quando l’organismo non versava in istato di insolvenza; del resto il cespite non disponeva di alcuna valenza commerciale, necessitando di interventi manutentivi costosi e la condotta avrebbe integrato, al più, ipotesi di appropriazione indebita.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato ed è rigettato con condanna alle spese del ricorrente.

Deve preliminarmente segnalarsi che i motivi dell’impugnazione non attengono alla distinta contestazione del reato di bancarotta fraudolenta documentale circostanza che, quindi, comporta l’irrevocabilità della condanna sul punto.

Ma il ricorso è infondato, pure con riguardo alla bancarotta fraudolenta patrimoniale.

Infatti esso – oltre ad essere decisivamente viziato da genericità, non considerando in alcun modo le giustificazione apportate dai giudici di seconde cure ed insistendo su motivi già vanamente esposti con il gravame di appello – risulta inconferente alla luce della effettiva risultanza di causa.

La Corte d’Appello messinese, infatti, rammenta come la collocazione temporale della cessione del natante, all’anno 1993, non è stata in alcun modo provata, ancorandosi ad una sottoscrizione del M., priva di data certa e verosimilmente determinata dalla necessità di evitare il conflitto di interessi in capo al C., acquirente del bene societario ed amministratore di fatto dell’ente venditore (Sent., pag. 9). Nè del negozio di questa asserita vendita vi è annotazione di sorta nella contabilità, nè i prevenuti hanno addotto prova a sostegno della retrodatazione di un contratto concluso nel 2000, alle soglie della dichiarazione del fallimento, nè è stata fornita dimostrazione dell’incasso da parte della società fallita di somma a titolo di prezzo.

A ben vedere, anzi, la decisione da atto che già all’avvio della procedura concorsuale il C. si era reso responsabile di fraudolenza patrimoniale, tacendo al curatore dell’esistenza del bene, sì che la procedura era venuta a conoscenza del cespite per via causale (cfr. Sent. pag. 8), circostanza che assegna – comunque – rilievo penale al comportamento del ricorrente, attesa l’equipollenza delle condotte, di distrazione ed occultamento, nell’economia del reato in esame.

Nel resto l’argomentazione dell’imputato non coglie la sostanza dell’argomentazione motivazionale (restando oscuro il richiamo all’art. 646 c.p., nell’asserita ipotesi che il C. fosse – contrariamente al vero – il titolare del bene), dal momento che la sottrazione del cespite dal patrimonio caduto nel concorso fallimentare danneggiava oggettivamente le attese creditorie.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *