T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, Sent., 24-08-2011, n. 1264 Servizi comunali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

I. La ricorrente – madre di Paolo B., disabile grave ex art. 3 comma 4 legge 104/1992, inserito presso la Comunità Hebron di Brescia e frequentante, altresì, il Centro Diurno per disabili (C.D.D.), gestito dalla Cooperativa La Mongolfiera di Brescia – espone che, con nota 31.3.2008, il Responsabile del Settore servizi sociali del Comune di Brescia le chiedeva di rilasciare una garanzia, in favore del Comune, per il pagamento della retta di degenza: infatti, tale retta, che per un biennio era stata corrispondente a quanto effettivamente percepito da Paolo B. a titolo di pensione e indennità di accompagnamento, era aumentata a Euro 36,50 giornalieri, andando così a incidere sulla situazione della madre, alla quale, come da accordo 30.5.2008 con la Comunità, spetta un notevole carico assistenziale (una sera alla settimana, un rientro al mese per il fine settimana, ferie natalizie, pasquali ed estive; guardaroba; trasporto dal domicilio alla Comunità e viceversa; visite specialistiche; spese per ausili non prescrivibili; retta del CDD).

Impugnando tale nota, la precedente 28.2.2008 e la presupposta deliberazione giuntale 30.3.2007, n. 326, la ricorrente svolge le seguenti censure:

1) violazione degli artt. 2, 3, 32, 38 della Costituzione, dell’art. 12 della Convenzione di New York sui diritti delle persone con disabilità, degli artt. 42, 48 e 117 D. Lgs. 267/2000, dell’art. 3 della legge n. 241/90, carenza assoluta di attribuzione; incompetenza; eccesso di potere per contraddittorietà, perplessità, difetto di motivazione e di presupposti, sviamento, sostenendosi che la richiesta di garanzia de qua, oltre ad essere immotivata e priva di fondamento normativo, sarebbe stata avanzata da organo incompetente (funzionario, anziché Consiglio comunale);

2) violazione degli artt. 1, 2 e 3 del d. lgs. 109/98, 1 bis DPCM 221/1999, 25, 8 comma, lett. g) della legge n. 328/2000, artt. 4 e 6 e tab. 1 del DPCM 14.2.2001, artt. 433 e 438 del cod. civ.; difetto assoluto di attribuzione, sviamento, difetto di motivazione e di istruttoria, nell’assunto di fondo che la disciplina comunale tenterebbe di innestare la disciplina del c.d. ISEE sulla normativa civilistica dell’obbligo alimentare, mentre le pubbliche amministrazioni non potrebbero "imporre contribuzioni ai familiari degli utenti dei servizi socioassistenziali, inclusi quelli tenuti agli alimenti ai sensi dell’art. 433 c.c.";

3) violazione dell’art. 3, comma 2 ter del d. lgs. 109/98, degli artt. 3 e 12, comma 1, della Convenzione internazione sui diritti delle persone con disabilità e degli artt. 2, 3, 10, 23, 32, 38 e 53 della Costituzione; difetto assoluto di attribuzione, incompetenza ed eccesso di potere sotto diversi profili, in quanto l’applicazione dell’ISEE alla famiglia anagrafica incontrerebbe una deroga necessaria limitatamente alle prestazioni sociali agevolate assicurate nell’ambito di percorsi assistenziali integrati di natura sociosanitaria, erogate a domicilio o in ambiente residenziale a ciclo diurno o continuativo, rivolto a persone con handicap permanente grave.

Si richiamano in proposito il principio di evidenziazione della situazione economica del solo assistito, anziché di quella del nucleo familiare (art. 3, comma 2 ter D. Lgs, 109/98) e la sentenza n. 350/2008 di questa Sezione staccata e si deduce che "iniquo sarebbe considerare la ricchezza dell’intero nucleo familiare laddove la convivenza anagrafica è necessitata e consegue, come nel caso della disabilità grave, alla condizione di totale e permanente dipendenza del soggetto richiedente";

4) violazione dell’art. 3 della Convenzione di New York sui diritti delle persone con disabilità, degli artt. 2, 3, 32, 38 e 53 della Costituzione; degli artt. 2, 3, 6, 22, 24 della legge n. 328/2000, dell’art. 1 D. Lgs. 109/98, dell’art. 3 legge 241/90, dell’art. 34 D.P.R. 601/73, eccesso di potere sotto diversi profili, sostenendosi che "l’illegittima individuazione di un garante è, peraltro, il necessario corollario della, pure illegittima, pretesa di far sottoscrivere all’utente un impegno a contribuire ultra vires alle spese della propria assistenza".

Inoltre, come si evince dal citato accordo 30.5.2008, permangono costi non indifferenti a carico della ricorrente, mentre la delibera impugnata prevede il totale incameramento di tutti i redditi, anche esenti, fino alla capienza della retta, ad eccezione di Euro 65,00 mensili per spese personali;

5) violazione degli artt. 23, 32, 38 della Costituzione, degli artt. 2, 3, 6, 22 comma 4 della legge n. 328/2000, D. P.C.M. 29/11/2001; art. 4 D.P.C.M. 14.12.2001, art. 331 c.p.; eccesso di potere sotto diversi profili, censurandosi la sanzione prevista in caso di mancato pagamento della retta, da parte dell’utente e del garante.

II. Il Comune si è costituito in giudizio il 23 ottobre 2008 e, in vista dell’odierna udienza di discussione, ha dimesso documentazione e memoria difensiva, in cui deduce:

a) in fatto, che

– la ricorrente non ha mai fornito al Servizio sociale elementi per coinvolgere nella cura del figlio anche il padre dello stesso, da cui è separata;

– la signora non ha mai presentato al Comune richiesta di contributo alla compartecipazione al pagamento della retta e non ha mai presentato la documentazione ISEE;

– di conseguenza, il Comune non eroga alcun contributo per la retta dei servizi CSS e CDD, entrambi forniti dal Comune di Brescia;

– la retta del CDD è stata sempre regolarmente pagata, mentre quella del CSS non lo è più stata dal marzo 2008, da quando, cioè, la madre ha iniziato a trattenere per sé la pensione di invalidità e l’assegno di accompagnamento del figlio (pari a un totale di quasi 1.500 euro mensili);

– nell’anno 2007, il Comune di Brescia revisionava la disciplina del welfare (delibera G.M. n. 326), donde l’aggiornamento del costo giornaliero per le Comunità Socio Sanitarie, determinato per l’utente Paolo B. in euro 35,38, a decorrere dal 1° marzo 2008;

– il Comune continua tuttora a fornire le prestazioni, pur in "una situazione di totale inadempienza";

b) in diritto e in rito, che:

– sussisterebbe il difetto di giurisdizione del G.A., in ordine alla domanda di accertamento negativo del diritto del Comune di Brescia a pretendere la garanzia più volte menzionata;

– difetterebbe, comunque, l’interesse a tale domanda, avendo la ricorrente riconosciuto il 30.4.2008 la propria qualità di garante del figlio Paolo, in relazione al contratto di ospitalità presso la Comunità Hebron;

c) in diritto e nel merito, che sulle questioni qui in controversia si sono recentemente pronunciati il Consiglio di Stato (sentenze n. 551 e n. 1607 del 2011) e questa Sezione II (sentenza n. 1470 del 2009).

III. Le medesime sentenze sono richiamate nella memoria conclusiva, depositata dalla ricorrente il 9 maggio 2011, cui è seguita la memoria di replica del Comune in data 19 maggio 2011.

Indi, all’odierna udienza pubblica la causa è passata in decisione.

IV.1. Ciò premesso, il Collegio deve, preliminarmente, ritenere la propria giurisdizione, in linea con la costante giurisprudenza di questa Sezione che ha sempre in quadrato controversie del genere di quella all’esame nell’ambito della giurisdizione esclusiva del G.A. in materia di pubblici servizi.

D’altra parte, che il rapporto tra ricorrente e Comune di Brescia, di cui qui si discute, sia di natura pubblicistica lo si può desumere proprio dallo stesso comportamento tenuto nella vicenda de qua dal medesimo Comune, che – pur in una situazione che l’Ente definisce di "totale inadempienza" e a fronte del mancato introito di oltre 50.000 euro nel triennio decorrente dal marzo 2008 – dichiara di non aver interrotto alcuna prestazione.

Se, come il Comune sostiene, il rapporto in parola fosse esclusivamente contrattual/civilistico, siffatta "totale inadempienza" lo avrebbe indotto a cessare di adempiere la propria obbligazione; se così non è stato, e per oltre un triennio, è perché, evidentemente non di "prestazione" contrattuale si tratta, bensì di servizio pubblico, caratterizzato dalla spendita di pubblici poteri da parte del Comune, benché questo lo neghi nel proporre la propria eccezione di difetto di giurisdizione, a pag. 5 della memoria 9 maggio 2011.

IV.2. Parimenti da disattendere è l’eccezione di difetto di interesse, formulata ancora dal Comune, in quanto la dichiarazione 30.4.2008 del Responsabile comunale del settore attribuisce alla ricorrente la qualità di "garante" con esclusivo riferimento alla retta dovuta per l’anno 2007, mentre la presente azione giudiziale promossa dalla Sig. ra D. (in relazione alla quale il suo interesse va valutato) mira a contestare di essere tenuta a concorrere al pagamento della retta, così come rideterminata a partire dal 1° marzo 2008.

IV.3. La pretesa di fondo della ricorrente è, infatti, quella dell’insussistenza di "un obbligo del parente, ancorché civilmente tenuto agli alimenti ex art. 433, a farsi carico delle rette", così sintetizzata nell’incipit della memoria finale, nella quale – successivamente e correttamente – si dà anche atto che la giurisprudenza di questa Sezione (tra cui la sentenza n. 1470/2009, confermata dal Consiglio di Stato con sentenza n. 551 del 2011, e concernente analoga controversia riguardante il Comune di Brescia) sia nel senso di non intendere in modo assoluto il principio, ex art. 3 c. 2 D. lgs. 109/98, della evidenziazione della situazione economica del solo assistito, in riferimento alle persone con handicap permanente grave (e ai soggetti ultrasessantacinquenni non autosufficienti).

Il terzo passaggio dell’argomentazione conclusiva della ricorrente consiste nella valorizzazione della successiva sentenza n. 1607/2011 del Consiglio di Stato che – in relazione all’impugnazione del regolamento per l’accesso ai servizi sociali del Comune di Cinisello Balsamo – avrebbe, secondo la ricorrente re melius perpensa, ritenuto preferibile l’orientamento "che esclude ogni margine di discrezionalità in capo agli enti erogatori nell’applicazione del principio".

IV.4. In attesa che il Giudice amministrativo d’appello uniformi il proprio indirizzo in materia e pur riconoscendo una maggiore compiutezza d’analisi alla pronuncia n. 1607/2011, il Collegio ritiene di dover confermare, anche in questa occasione, il criterio "temperato" sinora fatto proprio dalla Sezione e che ha trovato conferma del Giudice d’appello proprio in relazione ad atti adottati dal Comune di Brescia, come quelli di cui qui si controverte, mentre le enunciazioni della sentenza n. 160/2011 vanno pur sempre riferite a disposizioni regolamentari di un diverso Comune lombardo.

Tale criterio è stato puntualmente esplicitato in altro precedente della Sezione, pure richiamato dalla ricorrente nella sua memoria finale, e cioè nella sentenza n. 18 del 14 gennaio 2010, con la quale si è affermato che "non sembra condivisibile una lettura della seconda parte del comma 2 ter tesa a riconoscere un principio assoluto ed incondizionato, mentre al D.P.C.M. sarebbe demandata la funzione, esclusiva ed eventuale, di limitarne la portata. Da una lettura complessiva emerge viceversa che la disposizione affida all’autorità statale, in via contestuale, sia il compito di raggiungere il delineato obiettivo a favore dei soggetti tutelati sia la determinazione dei limiti residuali entro i quali l’ISEE familiare può comunque trovare applicazione: spetta in altre parole al Presidente del Consiglio dare attuazione al principio e delimitarne la portata, individuando le ipotesi marginali nelle quali può riespandersi la disciplina generale dell’ISEE familiare. In assenza del suddetto decreto, pare evidente che la proposizione normativa – come già detto immediatamente precettiva – debba essere nella sua globalità tradotta in scelte concrete dalle amministrazioni titolari delle funzioni amministrative in materia di interventi sociali sul territorio."

Ma, nel caso di specie, l’Ente erogatore non è stato posto nella condizione di effettuare alcuna scelta concreta, per mancanza di qualsivoglia parametro economico di riferimento rispetto al quale relativizzare il principio de quo, stante che la ricorrente non ha mai presentato al Comune l’ISEE né ha anche solo comunicato l’ammontare del proprio reddito, il che ha evitato di fare anche nel presente giudizio.

Peraltro, va tenuto conto che la ricorrente non ha, neppure, mai presentato richiesta di contributo al Comune per il pagamento della retta, così come si evince dalla relazione dei Servizi sociali depositata dal Comune stesso il 29 aprile 2011 e non contestata, sul punto, dalla successiva memoria 9 maggio 2011 di parte ricorrente.

La totale carenza informativa in ordine alle condizioni di reddito della ricorrente e la mancata attivazione, da parte sua, di altri strumenti, pure offerti dall’ordinamento, per far fronte all’aumento della retta, hanno comportato, per il Comune, la materiale e giuridica impossibilità di modulare altrimenti il proprio intervento al caso concreto, se non chiedendo alla ricorrente di farsi integralmente carico della differenza tra retta e sommatoria dei benefici assistenziali di cui il figlio disabile grave fruisce, con tutte le conseguenze lato sensu sanzionatorie in caso di omesso versamento di tale differenza.

IV.5. Dalle considerazioni in fatto e in diritto che precedono, consegue:

i) che non può trovare accoglimento la pretesa della ricorrente ad una applicazione del principio della evidenziazione della situazione economica del solo assistito in termini meccanici, assoluti e svincolati dalla previa osservanza, da parte della pretendente, di elementari principi di correttezza, lealtà e buona fede (alle omissioni cui si è fatto cenno, si aggiunga che la ricorrente – secondo affermazione del Comune, pure incontestata – trattiene per sé, dal marzo 2008, la pensione di invalidità e l’assegno di accompagnamento del figlio);

ii) i motivi di ricorso secondo, terzo, quarto e quinto, vanno, pertanto, disattesi, siccome infondati.

IV.6. La residua censura da esaminare di cui al primo motivo di ricorso va, a sua volta respinta, in quanto le note comunali impugnate afferiscono alla fase esecutiva del rapporto Comune/fruitore del servizio e rientrano, quindi, nella competenza dell’apparato amministrativo del Comune e non del suo principale organo elettivo (il Consiglio).

V. Conclusivamente, il ricorso deve essere respinto.

L’assenza, come detto, di un univoco orientamento giurisprudenziale in materia giustifica l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo RESPINGE.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *