Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 13-05-2011) 28-07-2011, n. 30114

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Propongono ricorso per cassazione D.P.A., D.P. R. e N.M. avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli in data 8 gennaio 2009 con la quale, in riforma della sentenza di primo grado che era stata di condanna in ordine al delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alla persona ( art. 393 c.p.), è stata riqualificata la condotta come sequestro di persona ex art. 605 c.p.p., e sono state confermate tanto la pena detentiva quanto le statuizioni civili.

Era rimasto accertato che il minore M.A. era stato inviato dal padre – che era proprietario di un immobile confinante con la proprietà ove gli imputati gestivano un ristorante – all’interno dell’area confinante per scattare foto che avrebbero dovuto documentare delle infiltrazioni sul muro di confine.

Il ragazzo venne così bloccato dapprima da D.P.R. e da un amico (rimasto non identificato) e poi dai genitori della prima D. P.A. e N.M. e fatto sedere per 45 minuti su uno sgabello posto sul viale di uscita della proprietà, costretto a non allontanarsi.

I genitori, allarmati avevano dapprima visto, affacciandosi, che il minore si trovava seduto sullo sgabello circondato dagli adulti e quindi lo avevano raggiunto con la voce sentendosi rispondere che era trattenuto.

Infine lo avevano raggiunto e riportato a casa.

La Corte d’appello individuava in tale condotta di sequestro di persona, escludendo anche la configurabilità del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni per la inesistenza di una pretesa azionabile dagli imputati dinanzi alla autorità giudiziaria.

Deducono:

1) La violazione di legge e il vizio di motivazione.

In primo luogo erano state sollevate critiche alla ritenuta estensione della imputazione a N.M.. Di costei si era detto in sentenza di primo grado che era sopraggiunta dopo 30 minuti mentre i giudici dell’appello avevano affermato che il suo intervento era stato immediato dopo che la figlia R. aveva bloccato il ragazzo. Una simile affermazione era però priva di argomenti ed anche contraddetta dal fatto che M.M., il padre del ragazzo aveva detto che, raggiunto il figlio, non aveva visto tra i presenti la N.;

2) Il vizio di motivazione.

I fatti accertati erano quelli del trattenimento del giovane ragazzo, ad opera della sola D.P.R., per qualche minuto e tale situazione non integrava il paradigma di una condotta di rilievo penale.

Inoltre il racconto della persona offesa era stato ritenuto sorretto da elementi di riscontro mentre era stato riconosciuto anche in sentenza che i testi della accusa, compreso il padre M.M., non avevano assistito direttamente all’episodio.

Non vi era poi adeguata motivazione sulla violenza che asseritamente gli imputati avevano esercitato sul minore, del quale non deve dimenticarsi che si era intrufolato nella proprietà altrui violando il domicilio, peraltro dopo che i rapporti tra i due nuclei familiari si erano logorati nel tempo per questioni di confine;

3) il vizio di motivazione sull’elemento piscologico.

La tesi degli imputati di avere agito per difendere propri diritti e far identificare il giovane, era stata ritenuta dai giudici infondata perchè il ragazzo aveva dichiarato di essere il figlio dei confinanti. Ciò non toglieva che il ragazzo si era reso responsabile di una illecita penetrazione nella proprietà altrui e che gli imputati avevano agito per difendere i propri diritti di proprietà;

4) la erronea applicazione dell’art. 393 cp posto che i ricorrenti avevano agito allo scopo di denunciare alla autorità giudiziaria il giovane M.;

5) gli stessi vizi con riferimento alla configurazione del reato ex art. 605 c.p..

La condotta degli imputati era stata determinata dalla necessità di bloccare chi si era introdotto nella proprietà altrui e tanto non poteva non spiegare efficacia ai fini della esclusione dell’elemento soggettivo del reato, intendendo i prevenuti solo identificare il ragazzo e farsi consegnare la macchina fotografica;

6) la violazione del divieto di reformatio in peius con riferimento al trattamento sanzionatorio, essendo al Corte partita da una pena base più alta di quella prevista per il reato ex art. 393 c.p., ed avendo omesso di rivalutare la incidenza delle attenuanti generiche anche in considerazione del fatto che l’elemento rappresentato dalla giovane età della vittima, valorizzato dalla Corte, è invece ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità non idoneo a incidere sulla determinazione della pena (Cass. Sez. 4^, 2 dicembre 2008);

7) il vizio di motivazione sulla entità delle statuizioni civili inerenti al risarcimento del danno.

I ricorsi sono infondati.

Il primo motivo è versato in fatto e risulta anche manifestamente infondato.

La Corte ha infatti ritenuto il pieno coinvolgimento della N. in base alle dichiarazioni della persona offesa che i giudici hanno citato espressamente (verbale 8 aprile 2008) e che, nella qualità di giudice dell’appello anche sul merito, essi hanno riletto sottolineando che la vittima aveva affermato che la imputata era sopraggiunta nel volgere di qualche minuto dall’inizio della limitazione della sua libertà di locomozione.

La deposizione del M.M., sul punto, d’altra parte, non costituisce fonte di vizio di manifesta illogicità della motivazione, posto che nella sentenza impugnata ha formato oggetto di specifica disamina ed è stata ritenuta incompleta sul punto qui di interesse, per ragioni del tutto compatibili con la tenuta del racconto del figlio.

Il secondo motivo presenta rilevanti profili di fatto e rasenta quindi parimenti l’ambito della inammissibilità.

Contrariamente all’assunto della difesa è rimasto accertato dalla Corte, sulla base delle dichiarazioni del minore ma anche delle affermazioni degli altri testi riguardo al tempo di durata della assenza del ragazzo, che la limitazione della libertà di costui è durata per un tempo assai rilevante ed ogni contraria attestazione della difesa nel ricorso non può essere apprezzata nella presente sede nella quale non si valutano i risultati di prova.

Le ulteriori critiche sono indirettamente volte a contestare il perno del ragionamento dei giudici e cioè la argomentata attendibilità delle dichiarazioni accusatorie del minore che hanno investito tutti gli imputati e che, essendo oggetto di una disamina completa e razionale da parte della Corte di appello, non sono ulteriormente valutabili da parte del giudice della legittimità.

I motivi terzo e quinto sono infondati. Essi attengono alla pretesa insufficienza della motivazione riguardo all’elemento psicologico del reato addebitato.

Invero è sufficiente osservare, da un lato, ed in punto di diritto,che il reato di sequestro di persona non richiede un dolo specifico, ma è sufficiente il dolo generico consistente nella consapevolezza di infliggere alla vittima la illegittima restrizione della sua libertà fisica intesa come libertà di locomozione. (Rv.

183180; Conf mass n 172924; (Conf mass n 170624; (Conf mass n 169403 ed ivi citate). In punto di fatto poi, non può non notarsi che l’eventuale diversa finalità perseguita dai ricorrenti è solo adombrata dalla difesa con argomenti non specifici e versati in fatto sostenendosi ora che i prevenuti intendessero chiamare la Polizia, ora che volessero solo identificare il ragazzo e farsi consegnare la macchina fotografica, ora che intendessero proteggere un diritto alla privacy giudicato dai giudici del merito inesistente data la situazione dei luoghi.

Il motivo sub 4) è inconferente data la diversa qualificazione giuridica attribuita ai fatti nella sentenza impugnata.

Il sesto motivo è manifestamente infondato.

Infatti i giudici hanno fatto corretta applicazione del principio secondo cui per espressa indicazione dell’art. 597 c.p.p., comma 3, il giudice di secondo grado può dare al fatto, nei limiti del devoluto e senza incidere sulla pena, una definizione giuridica più grave, purchè, in tal modo, non superi la competenza del giudice di primo grado (Rv. 217726).

Invero, proprio le deduzioni difensive circa la legittimità della difesa apprestata asseritamente dagli imputati, ha devoluto alla Corte d’appello il tema della qualificazione giuridica degli stessi e quindi attribuito al medesimo giudice il potere di diversa qualificazione giuridica.

Non si versa pertanto nell’ambito della reformatio in peius tenuto conto che la definizione giuridica più grave, espressamente prevista dall’art. 597 c.p.p., comma 3, preclude solo il peggioramento del trattamento sanzionatorio, nella specie mantenuto fermo e sulla base di considerazioni effettuate regolarmente nel rispetto dei parametri dell’art. 133 c.p..

La minore età della vittima infine è stata fondatamente evocata ai fini della giustificazione della statuizione di conferma della entità della provvisionale, in ragione del più grave danno psichico che la condotta di sequestro di persona è destinata a produrre su una personalità in via di formazione come quella di un minore.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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