Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 13-05-2011) 28-07-2011, n. 30112 Bancarotta fraudolenta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Propone ricorso per cassazione S.A. avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo in data 9 aprile 2010 con la quale è stata confermata quella di primo grado – emessa nel 2007 all’esito di giudizio abbreviato – di condanna, con attenuanti generiche prevalenti e la diminuente del rito, alla pena di anni uno e mesi sette di reclusione (oltre alle pene accessorie) in ordine al concorso nei reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale (capi a) e c) relativamente alle due forme previste dalla L. Fall., art. 223, commi 1 e 2) e documentale (capo b). La condotta di bancarotta si riferiva al fallimento della società GC Tems spa, dichiarato il (OMISSIS) ed era stata attribuita non solo all’amministratore legale C. e al vero dominus della società, D. G. (i quali avevano separatamente avuto accesso al patteggiamento ex art. 444 c.p.p.) ma anche all’odierno ricorrente nella qualità di Presidente del Collegio sindacale, nonchè depositario della contabilità e consigliere del D..

La bancarotta patrimoniale era stata contestata e ritenuta in riferimento a sottrazione di somme giacenti su conti correnti della società ed in parte destinate contabilmente al pagamento di debiti della società stessa nonchè alla riscossione di fatto di crediti non versati come dovuto nelle casse sociali. Erano stati distratti anche beni strumentali per un valore, dichiarato nelle scritture sociali, pari a 67 milioni di lire, comprendenti un escavatore e macchine d’ufficio elettroniche. La bancarotta documentale era invece configurata anche in relazione alla indicazione, nella situazione patrimoniale diretta ai soci, di un capitale sociale di 24 miliardi di lire mentre quello versato era di 200 milioni.

La principale fonte di accusa a carico del ricorrente era individuata nelle dichiarazioni auto ed etero accusatone dell’amministratore formale C. il quale era stato presentato al dominus della GCTems – D. – dallo S. ed aveva affermato di essere stato ingaggiato quale mero prestanome non avendo egli mai svolto attività nè di tipo gestionale nè di tipo amministrativo. Nella sentenza impugnata si ripercorrevano le indagini eseguite dalla Guarda di finanza relativamente al mancato rintraccio delle macchine ed apparecchi della società ed all’esito delle attività di indagine sui rapporti bancari estinti da tempo nonostante che nella situazione patrimoniale della società fossero indicati come attuali crediti quindi inesistenti.

La posizione dello S. era ritenuta di accertato rilievo penale posto che l’imputato aveva cumulato cariche incompatibili come quella di presidente del collegio sindacale (controllore) e consulente contabile della società (controllato), posizione quest’ultima che lo rendeva perfettamente a conoscenza di tutte le infedeltà contabili contestate nella imputazione, destinate a non essere rilevate in seno all’organo di controllo. D’altra parte il coinvolgimento nella gestione della società era dimostrato dal fatto che proprio il ricorrente aveva individuato, per il ruolo di amministratore formale, un soggetto privo di esperienze nel settore imprenditoriale e quindi pilotabile; inoltre lo stesso S. non risultava percepire un compenso per la sua attività sicchè diveniva assai verosimile la tesi che egli traesse i propri guadagni da altre voci relative ad attività irregolari della società. In conclusione anche la Corte di merito, fatto proprio il ragionamento del primo giudice, lo asseverava osservando che la posizione dello S. era stata quella del complice dell’amministratore di fatto e di quello di diritto, essendo il ricorrente stesso autore di attività di gestione in via di fatto.

Invero le azioni di rilievo penale L. Fall., ex artt. 216 e 223, ipotizzate in prima istanza con riferimento alla posizione del D. non risultavano poste in discussione in sede di appello dalla difesa dello S..

Inoltre i giudici dell’appello evidenziavano la principale prova a carico costituita dalle dichiarazioni accusatorie del coimputato C., ritenuto particolarmente attendibile.

Quali elementi di riscontro venivano citate delle false dichiarazioni in ordine alla situazione patrimoniale della società (un credito verso soci di 23 miliardi, inesistente; il capitale sociale di 24 miliardi di lire, senza però che le opzioni per l’aumento del capitale sociale fossero state sottoscritte), tali da rendere evidente che lo scopo dell’autore delle false appostazioni (il ricorrente appunto) non poteva avere altro scopo che quello di ingannare il pubblico. Parimenti destinato, al medesimo scopo era la contabilizzazione di ingenti pagamenti per contanti che la Corte giudicava modalità del tutto illogiche ed estranee alla pratica ordinaria di gestione delle società.

Infine lo S., concludeva il collegio, non aveva mai formalizzato nella sua qualità di presidente del collegio sindacale, serie iniziative tese a stigmatizzare le irregolarità contabili, riunendo l’organo solo tre volte e raccogliendo nella terza seduta le dimissioni dei membri del collegio.

Deduce:

1) la violazione di legge e il vizio di motivazione.

I giudici avevano omesso di motivare in ordine ai rilievi della difesa contenuti in una memoria con allegati depositata nel dicembre 2005 alla chiusura delle indagini preliminari.

In essa veniva contestata la accusa mossa dal C., anche alla luce della nota della Gdf; secondo cui lo S. non aveva svolto la gestione di fatto della società. Era stata contestata anche la importanza attribuita alla presentazione del C. al D. da parte dello S., tenuto conto che il C. poteva operare in Palermo e prendere le iniziative di carattere amministrativo di cui era capace (in tal senso avevano deposto anche i testi B., R. e V.). In tale ruolo il C. si era pure recato ai cantieri della Tems (relazione GdF) e frequentava assiduamente lo studio dello S. che era depositario di corrispondenza della società e di documenti di interesse, sicchè era rimasto escluso che fosse una mera testa di legno.

Il fatto è – prosegui la difesa – che ad un certo punto si era aperto un conflitto tra C. e D. e l’astio che aveva mosso il primo lo aveva portato ad aggravare la posizione di quest’ultimo (vedi dep. Teste R.) e dello S. per ridimensionare la propria.

La difesa osserva anche che la divergenza tra capitale sottoscritto e capitale versato non è prodromica ad alcun atto illecito e che la indicazione del capitale sociale in 24 miliardi era rimasta limitata alla intestazione della carta usata per qualche missiva, peraltro prontamente fatta correggere per iniziativa dello stesso imputato.

Fa poi notare la difesa che il collegio sindacale era rimasto tutt’altro che inerte, dapprima chiedendo atti a chiarimento e poi rassegnando le dimissioni, tanto che il consulente del curatore fallimentare, Dott. L. – ignorata dalla Corte di appello – aveva escluso responsabilità dei componenti.

Anche il cumulo delle cariche era sanzionabile solo sul piano deontologico e civilistico ma non assume rilievo indiziario sul piano penale.

Era stato pretermesso poi il fatto che lo stesso imputato aveva spontaneamente ammesso, nell’interrogatorio, di non avere percepito compensi essendo vittima del D.;

2) la violazione di legge sul trattamento sanzionatorio.

Erano stati ingiustificatamente negati la attenuazione della pena e negato il beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario.

Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

La sentenza impugnata non presenta i vizi denunciati dalla parte e si sottrae, per la logicità e la completezza del ragionamento esibito a giustificazione della condanna, all’ulteriore sindacato di questa Corte.

Deve infatti evidenziarsi che non sono fondate le critiche articolate nel primo motivo di ricorso, prospettate come vizio di mancanza di motivazione in relazione ad atti del processo specificatamente indicati nei motivi di gravame.

Infatti la lettura della sentenza non consente di confermare che lacune motivazionali siano rimproverabili ai giudici a quibus, essendo la motivazione da essi resa, viceversa, la attestazione della disamina di emergenze con risultati solo non condivisi dalla difesa.

In altri termini, una volta dato atto che il costrutto della sentenza non denota lacune su elementi fondamentali e non presenta manifeste illogicità, la Cassazione non può sostituire a tale plausibile ricostruzione un proprio ed autonomo ragionamento, in linea con la prospettazione della difesa, neanche se questa possa apparire, in una ottica di merito, parimenti accreditabile.

Ebbene la tesi della Corte d’appello, che la difesa contesta inammissibilmente con prospettazioni in fatto, è che la accusa mossa al ricorrente poggi su una chiamata di correo intrinsecamente attendibile e oggettivamente riscontrata.

Non può infatti questa Corte di legittimità, apprezzare censure a tale ricostruzione delle emergenze quale quella della difesa che bolla come "farneticanti" le dichiarazioni del chiamante o le imputa a ragioni di astio che non risultano prospettate e tantomeno analizzate nelle precedenti sedi di merito.

Le ragioni della ritenuta attendibilità delle affermazioni del C., sul coinvolgimento del ricorrente in attività gestionali della società, sono invece rappresentate in maniera congrua nella sentenza impugnata e tale plausibile e motivata attestazione non è ulteriormente censurabile.

Parimenti rispettato è il paradigma dell’art. 192 c.p.p., comma 3, su cui peraltro non si evidenziano censure esplicite e specifiche nel ricorso e che risulta verificato con riferimento a risultanze di tipo contabile ascrivibili all’opera dello S., nella veste di consulente e depositario delle scritture della fallenda. E sul punto è appena il caso di ricordare che la falsa indicazione del capitale sociale non risulta un fatto di natura solo civilistica posto che la accusa mossa e non contestatale che il capitale sociale era stato indicato falsamente in 24 maliardi senza non solo il relativo versamento ma senza altresì la sottoscrizione delle opzioni.

Si colloca pertanto su un piano di inammissibile alternativa ricostruzione del fatto, la allegazione difensiva circa la natura di effettiva amministrazione della svolta dal chiamante in correità C..

Le condotte che gli si riferiscono nel ricorso (attività amministrativa, presenza su taluni cantieri o ad iniziative di natura contenziosa) attengono a comportamenti che non solo non possono essere portati, in quanto tali, al vaglio della Cassazione, ma che, per di più costituiscono elementi in contrasto con la tesi, invece sostenuta e argomentata dalla Corte, secondo cui il C., che pure ha patteggiato la pena e quindi ha riconosciuto proprie responsabilità, ha tuttavia riferito di essere stato individuato e convocato dal ricorrente, essendo inesperto ed anzi sostanzialmente estraneo alla gestione.

La Corte ha anche evidenziato il dato del mancato compenso patrimoniale ufficiale in favore dello S., desumendo tale circostanza un ulteriore elemento di riscontro alla tesi dell’avere svolto lo il ricorrente attività di rilievo per la società, soprattutto con riferimento alle iniziative poi reputate rilevanti penalmente, avendo poi trovato il necessario compenso nel profitto del reato stesso. Sul punto, la censura della difesa dell’avere l’imputato ammesso il mancato compenso ufficiale non da corpo certo ad una omissione di motivazione censurabile in questa sede, non essendo di rilievo il fatto che la circostanza in questione sia stata ammessa dall’imputato o ricavata dalle scritture contabili.

Infondato è l’ultimo motivo di ricorso.

Attesa la assoluta prossimità della pena al minimo edittale, non è apprezzabile, conformemente alla costante giurisprudenza di legittimità, alcun rilevante vizio di motivazione a carico del giudice del merito.

In ordine al denegato beneficio della non menzione della condanna, poi, il giudice ha evocato i fatti, gravi, così come desumibili dal corpo della intera motivazione. Invero, il beneficio della non menzione della condanna di cui all’art. 175 c.p., è fondato sul principio dell’emenda, mediante cui si tende a favorire il processo di recupero morale e sociale; la sua concessione all’imputato non è necessariamente conseguenziale a quella della sospensione condizionale della pena, rimanendo tuttavia l’obbligo de giudice di merito di indicare, nell’esercizio del suo potere discrezionale, le ragioni della mancata concessione sulla base degli elementi di cui all’art. 133 detto codice (Sez. 2^, Sentenza n, 6949 del 12/03/1998 Ud. (dep. 10/06/1998) Rv 211100).

Invero, tanto è accaduto, avendo la Corte formulato un implicito giudizio negativo sulla emenda, valorizzando uno dei parametri enumerati nell’art. 133 c.p..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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