Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 11-05-2011) 28-07-2011, n. 30109 Reati commessi a mezzo stampa diffamazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Propone ricorso per cassazione M.F. avverso la sentenza del Tribunale di Genova in data 17 giugno 2010 con la quale è stata confermata quella di primo grado di condanna per il delitto di diffamazione in danno di Ma.Li. e della religiosa T.E., mediante fotocopiatura di foto ritraenti le stesse e scritturazione, sui fogli così ottenuti, di frasi offensive della loro reputazione, con danno anche per la Casa di Cura Villa Serena nella quale la religiosa era Presidente del consiglio di amministrazione. Il fatto risale al maggio 2004. Era stato appurato che il M., dipendente della detta Casa di cura aveva predisposto le fotocopie sopra indicate e vi aveva apposto di suo pugno le frasi offensive. Alcuni dei fogli così realizzati erano stati trovati da altro dipendente, D.S., nel proprio armadietto. Tali scritti avevano avuto una diffusione interna tanto che erano stati oggetto di conversazioni tra dipendenti ed erano alfine giunti a conoscenza della religiosa.

Deduce il ricorrente:

1) Il vizio assoluto di motivazione in ordine alla entità del danno patrimoniale che il giudice di pace aveva liquidato in via equitativa alle tre parti civili: e cioè alla religiosa, alla Ma. e alla società Villa Serena. In particolare sull’"an debeatur", poi, il ricorrente contesta che la società Villa Serena abbia subito danni;

2) la violazione dell’art. 530 c.p.p., e il vizio di motivazione.

Difetterebbe l’elemento soggettivo del reato, elemento che il giudice ha individuato nel dolo eventuale.

Invero gli scritti erano stati inseriti nell’armadietto del solo D., al quale erano destinati. Solo per una condotta attribuibile al D., che dapprima li aveva anche stracciati, gli scritti erano poi stati recuperati e portati a conoscenza delle persone delle quali in essi si trattava.

Tale condotta non era però prevedibile anche perchè la iniziativa era consistita in uno scherzo, dato il periodo di carnevale in cui si svolsero i fatti.

Anche la redazione delle frasi offensive era frutto di una iniziativa personale del ricorrente il quale si era servito di amici solo per la fotocopiatura delle immagini.

In data 20 aprile 2011 la difesa delle parti civili ha fatto pervenire una memoria di replica chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o sia quantomeno rigettato.

Il ricorso è infondato e deve essere respinto.

Procedendo per ordine logico nella trattazione dei motivi di ricorso ed affrontando quindi dapprima il secondo motivo che attiene alla configurazione della responsabilità penale, si rileva che la sentenza impugnata non presenta alcuno dei vizi di motivazione o delle violazioni di legge segnalati dall’interessato. La tesi accreditata dal giudice dell’appello è infatti quella della idoneità ad integrare reato della condotta consistita nell’inviare ad un determinato soggetto scritti offensivi riguardanti terzi, una volta che, successivamente, tali scritti abbiano avuto una diffusione conforme alla descrizione della fattispecie ex art. 595 c.p.. La giurisprudenza di questa Corte ha posto in evidenza, come del resto già bene sottolineato nella sentenza impugnata, che in tema di delitti contro l’onore, l’elemento psicologico della diffamazione consiste non solo nella consapevolezza di pronunziare o di scrivere una frase lesiva dell’altrui reputazione ma anche nella volontà che la frase denigratoria venga a conoscenza di più persone. Pertanto è necessario che l’autore della diffamazione comunichi con almeno due persone ovvero con una sola persona, ma con tali modalità che detta notizia sicuramente venga a conoscenza di altri ed egli si rappresenti e voglia tale evento (Rv. 248431). In altri termini condiviso è l’orientamento che ammette la configurazione del dolo eventuale sul punto della diffusività dello scritto offensivo, ossia della concreta probabilità che lo stesso, pur formalmente diretto ad una persona, sia però conosciuto da una pluralità di altri soggetti (analogamente vedi Sez. 5^, Sentenza n. 1794 del 05/11/1998 Ud. (dep. 12/02/1999 ) Rv. 212516).

Nel caso di specie, d’altro canto, risulta accertato in punto di fatto che le fotocopie predisposte dall’imputato con scritte volgari e gravemente lesive della altrui reputazione erano state inserite non certo in forma riservata nell’armadietto del D. ed in più, come posto in evidenza nella sentenza, circolavano nella casa di cura a prescindere dalla conoscenza da parte del D. stesso, come attestato nella deposizione della teste Ma. che in proposito aveva riferito le confidenze di un collega di lavoro.

Sul punto la censura del ricorrente è interamente versata in fatto poichè si limita a contestare la sufficienza di tale deposizione o a ribadire la non prevedibilità della diffusione dei volantini da parte del D. mentre il Tribunale ha congruamente motivato in merito alla accettazione del rischio della diffusione degli scritti offensivi, da parte di colui che li aveva ideati e fatti uscire dalla sfera personale di controllo e disponibilità.

Infondato è anche l’ulteriore motivo di ricorso.

In primo luogo occorre ricordare il costante insegnamento della giurisprudenza in tema di criteri di liquidazione del danno, insegnamento secondo cui è legittimo il ricorso del giudice a criteri equitativi nella quantificazione del danno risarcibile ove in esso non siano rinvenibili componenti patrimoniali suscettibili di precisa determinazione (Rv. 249140). Evenienza per l’appunto verificatasi nel caso di specie senza per giunta che la doglianza del ricorrente sul punto abbia aggiunto diverse argomentazioni o allegazioni in punto di fatto.

Inoltre si ribadisce il principio per cui la liquidazione del danno non patrimoniale deve essere proporzionata alla gravità del reato e all’entità della sofferenza patita dalla vittima, ma sfugge necessariamente ad una precisa valutazione analitica, restando affidata all’apprezzamento discrezionale ed equitativo del giudice di merito (Rv. 157439).

Sul punto, dunque, la doglianza del ricorrente è infondata oltre che, a monte, del tutto generica.

In terzo luogo non è apprezzabile neppure la censura secondo cui la Casa di cura non avrebbe patito alcun danno.

Il Tribunale ha ampiamente motivato al riguardo con riferimento alla diffusione dello scritto anche solo all’interno alla struttura sanitaria con corrispondente danno per la immagine della dirigenza della stessa e degli scopi anche etici perseguiti dall’istituto gestito da religiosi.

Alla soccombenza consegue la condanna al pagamento delle spese sostenute nel grado dalle parti civili liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili liquidate in complessivi Euro 1400 per onorari oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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