Cons. Stato Sez. V, Sent., 25-08-2011, n. 4807 Atti amministrativi confermativi o non Silenzio-rifiuto della Pubblica Amministrazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il ricorso in appello in esame il sig. C. S. ha chiesto la riforma della sentenza del T.A.R. in epigrafe indicata con la quale era stato dichiarato improcedibile il ricorso proposto contro il silenzio rifiuto asseritamente formatosi sull’atto di diffida e costituzione in mora, volto ad ottenere la riammissione in servizio dopo la sospensione dall’impiego a seguito di provvedimento di custodia cautelare (nonché contro i provvedimenti presupposti e l’ordinanza sindacale n. 557 del 17.10.1992) e la declaratoria del diritto alla reintegrazione nell’impiego e nella qualifica agli effetti giuridici ed economici (con condanna dell’Amministrazione alla corresponsione della somme non percepite, oltre a rivalutazione ed interessi), nonché è stato respinto il successivo ricorso proposto contro la deliberazione del Commissario straordinario del Comune di Taranto n. 952 del 1993, di conferma della sospensione cautelare, e gli atti presupposti e connessi, con richiesta di riconoscimento di detto diritto e detta condanna.

A sostegno del gravame sono stati dedotti i seguenti motivi:

1.- Quanto al ricorso n. 147 del 1993 contro il silenzio rifiuto:

Erroneamente il Giudice di prime cure ha ritenuto che la adozione della deliberazione del Commissario straordinario del Comune di Taranto n. 952 del 1993, impugnata con un secondo ricorso, avesse determinato la sopravvenienza di carenza di interesse del ricorrente all’accoglimento del ricorso contro il silenzio rifiuto, non avendo considerato che con esso era stato impugnata anche l’ordinanza sindacale n. 557 del 1992.

2.- Quanto al ricorso n. 3246 del 1993:

Il T.A.R. ha integrato e stravolto il contenuto e la motivazione della deliberazione n. 952 del 1993 impugnata, affermando che, indipendentemente dal riferimento normativo ivi contenuto all’art. 92 del T.U. n. 3/1957, aveva inteso esercitare la facoltà prevista dall’art. 91, comma 1, dello stesso T.U..

Il provvedimento impugnato richiama un parere dell’Avvocatura non condivisibile perché, non prevedendo l’art. 91 del citato T.U. il mantenimento della sospensione obbligatoria, la stessa va revocata a seguito del venir meno della misura coercitiva, a meno che l’Amministrazione si avvalga della facoltà di cui al seguente art. 92.

Comunque detto provvedimento è viziato, sia se adottato facendo ricorso alla sospensione facoltativa ex art. 92 del T.U. n. 3/1957, sia se adottato, come ritenuto dal T.A.R., ex art. 91, primo comma prima parte di detto T.U., essendo carente di supporto motivazionale.

Inoltre l’affermazione contenuta nella impugnata sentenza che la intervenuta risoluzione del rapporto di lavoro del ricorrente giustificava la stringatezza della motivazione della deliberazione impugnata non trova riscontro concreto.

Essa risoluzione, accolta senza che l’Amministrazione abbia opposto rifiuto, ha avuto effetto solo sul procedimento disciplinare, causandone la estinzione ex tunc, con conseguente diritto alle differenze stipendiali dovute, nonché ai corrispondenti trattamenti pensionistici.

Con atto depositato il 2.2.2000 si è costituito in giudizio il Comune di Taranto, che ha eccepito la inammissibilità dell’appello, nonché ne ha dedotto la infondatezza, concludendo per la reiezione.

Con memoria depositata il 12.1.2011 si è costituito in giudizio per il Comune di Taranto un nuovo difensore, che ha riproposto ogni precedente eccezione, deduzione e conclusione.

Con memoria depositata il 20.1.2011 parte appellante ha ribadito tesi e richieste.

Alla pubblica udienza del 25.2.2011 il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione alla presenza degli avvocati delle parti come da verbale di causa agli atti del giudizio.

Motivi della decisione

1.- Con il ricorso in appello, in epigrafe specificato, il sig. C. S. ha chiesto l’annullamento della sentenza del T.A.R. Puglia – Sez. Staccata di Lecce, Sezione I, n. 00239/1999, con la quale è stata in primo luogo dichiarata la improcedibilità del ricorso n. 147/1993 con il quale era stato impugnato il silenzio rifiuto formatosi sull’atto di diffida e costituzione in mora, volto ad ottenere la riammissione in servizio dopo la sospensione dall’impiego a seguito di provvedimento di custodia cautelare (nonché contro i provvedimenti presupposti e l’ordinanza sindacale n. 557 del 17.10.1992) e la declaratoria del diritto alla reintegrazione nell’impiego e nella qualifica agli effetti giuridici ed economici (con condanna dell’Amministrazione alla corresponsione delle somme non percepite, oltre a rivalutazione ed interessi; in secondo luogo è stato respinto il ricorso n. 3246/1993, con il quale era stato chiesto l’annullamento della deliberazione del Commissario straordinario del Comune di Taranto n. 952 del 1993, di conferma della sospensione cautelare, e degli atti presupposti e connessi, nonché era stato chiesto il riconoscimento di detto diritto e detta condanna.

2.- Con il primo motivo di appello, quanto alla impugnazione del silenzio rifiuto, è stato dedotto che erroneamente il Giudice di prime cure ha ritenuto che la adozione della deliberazione del Commissario straordinario del Comune di Taranto n. 952 del 1993, impugnata con il secondo gravame, avesse determinato la sopravvenuta carenza di interesse del ricorrente all’accoglimento del ricorso contro il silenzio rifiuto; non avrebbe, infatti, considerato che con esso era stata impugnata anche l’ordinanza sindacale n. 557 del 1992 e che detta deliberazione, se meramente confermativa di essa ordinanza, non poteva aver spiegato alcuna sanatoria dei vizi censurati con l’impugnazione della stessa, mentre, se atto nuovo ed autonomo, era da considerarsi priva dei caratteri propri del provvedimento di convalida, in particolare per mancata individuazione del vizio dell’atto precedente e della espressione della volontà di eliminarlo.

Persisteva quindi l’interesse dell’instante ad ottenere l’annullamento di detta ordinanza sindacale n. 557 del 1992, considerato che incideva su un rapporto e non su un atto, per i motivi esposti in primo grado e richiamati integralmente.

2.1.- Va al riguardo osservato in punto di fatto che con ordinanza n. 557 del 17.10.1992 il Sindaco di Taranto aveva disposto la sospensione cautelare obbligatoria dal servizio dell’attuale appellante, sottoposto a custodia cautelare.

Successivamente, revocata detta misura restrittiva, il sig. S. formulava istanza di riammissione in servizio, reiterata in data 24.11.1992 e seguita da atto di costituzione in mora del 30.11.1992.

In seguito (in esecuzione di ordinanza del T.A.R. di accoglimento della istanza di sospensione proposta con ricorso giurisdizionale avverso detto provvedimento e detto comportamento, con declaratoria dell’obbligo del Comune suddetto di provvedere su detta richiesta) il Commissario straordinario del Comune di Taranto, con deliberazione n. 952 del 30.6.1993, ha respinto la istanza di riammissione in servizio di cui trattasi e ha confermato la sospensione dall’impiego disposta con la citata ordinanza n. 557 del 1992.

Con la sentenza impugnata detto ricorso giurisdizionale è stato dichiarato improcedibile perché con la successiva deliberazione n. 952 del 1993 era stata superata l’inerzia contestata e mantenuti fermi gli effetti della ordinanza n. 557 del 1992, con venir meno dell’interesse a coltivare l’azione.

2.2.- Considera la Sezione che il decorso del termine assegnato nell’atto di diffida e la notificazione e deposito del ricorso per la declaratoria di illegittimità del silenzio della P.A. sulla istanza del privato non consumano il suo potere di pronunciarsi; pertanto, in caso di pronuncia (anche non satisfattiva dell’interesse fatto valere) della P.A., come è avvenuto nel caso che occupa, su detta istanza, il ricorso giurisdizionale volto alla declaratoria di illegittimità del silenzio eventualmente già avviato prima della detta pronuncia è destinato ad essere dichiarato improcedibile (Consiglio Stato, sez. V, 04 febbraio 2004, n. 360), perché, essendo il ricorso avverso il silenzio rifiuto volto all’accertamento dell’obbligo dell’Amministrazione di pronunciarsi sull’istanza rimasta inevasa, è evidente che la risposta dell’Amministrazione rende improcedibile il ricorso per il venir meno dell’interesse ad una pronuncia che si sarebbe limitata ad imporre l’obbligo di una risposta.

Aggiungasi che, qualora l’Amministrazione, sulla scorta di una rinnovata istruttoria e sulla base di una nuova motivazione, dimostri di voler confermare la volizione espressa in un precedente provvedimento, il successivo provvedimento ha valore di atto di conferma, e non di atto meramente confermativo; a tanto consegue che deve essere dichiarato improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse, il ricorso diretto avverso il provvedimento che, in pendenza del giudizio, sia stato sostituito dal provvedimento di conferma innovativo e dotato di autonoma efficacia lesiva della sfera giuridica del suo destinatario, come tale idoneo a rendere priva di ogni utilità la pronuncia sul ricorso proposto avverso il precedente provvedimento.

Nel caso di specie, con la deliberazione n. 952 del 30.6.1993 non solo è stata respinta la istanza di riammissione in servizio di cui trattasi, ma è stata anche confermata la sospensione dall’impiego disposta con la citata ordinanza n. 557 del 1992 sulla base di una nuova istruttoria e con diversa motivazione, con conseguente venir meno dell’interesse dell’attuale appellante ad ottenere l’annullamento giurisdizionale di detta ordinanza sindacale n. 557 del 1992.

Mentre infatti con quest’ultima era stata disposta la sospensione cautelare obbligatoria dal servizio del sig. S. ex artt. 51, comma 9, della l. n. 142/1992 e 3 del T.U. n. 3/1957, perché sottoposto a custodia cautelare, con la successiva deliberazione n. 952 del 1993 è stata sì confermata la sospensione cautelare, ma sul presupposto che il dipendente era stato rinviato a giudizio per tutti i reati contestatigli e che era rimasta intatta la esigenza del Comune di riconfermare la sospensione per evitare pregiudizi all’immagine, al prestigio ed al corretto funzionamento dell’Ente.

La deliberazione n. 952 del 1993, non meramente confermativa della precedente ma comunque confermativa dei suoi effetti, ha quindi reso priva di utilità la pronuncia sulla impugnazione della ordinanza n. 557 del 1992.

Va pienamente confermata quindi la sentenza impugnata, giacchè il silenzio dell’Amministrazione è stato seguito da una esplicita pronuncia, la seconda deliberazione non era meramente confermativa e non è qualificabile quale provvedimento di convalida, volto alla eliminazione di un vizio del precedente atto, ma solo di conferma (non rientrando nell’ambito della figura della c.d. convalescenza dell’atto perché non rispondente all’esigenza di eliminare un vizio da cui è inficiato l’atto precedente).

3.- Con il secondo motivo di gravame è stata impugnata la sentenza di cui trattasi anche nella parte in cui ha respinto il ricorso proposto contro la deliberazione del Commissario straordinario del Comune di Taranto n. 952 del 1993, di conferma della sospensione cautelare:

3.1.- Con il motivo di appello in esame è stato innanzi tutto dedotto che il T.A.R. ha integrato e stravolto il contenuto e la motivazione della deliberazione n. 952 del 1993 impugnata, laddove ha affermato che, indipendentemente dal riferimento normativo ivi contenuto all’art. 92 del T.U. n. 3/1957, il Commissario straordinario dl Comune di Taranto aveva inteso esercitare la facoltà prevista dall’art. 91, comma 1, dello stesso T.U..

3.1.1.- La tesi, ad avviso del Collegio, non è suscettibile di condivisione, atteso che il provvedimento impugnato, dopo aver richiamato l’ordinanza n. 557 del 1992 con cui il sig. S. era stato sospeso dal servizio ex art. 91 del T.U. n. 3/1957, ha constatato che lo stesso era stato rinviato a giudizio e ha confermato la sospensione dall’impiego, per evitare pregiudizi all’immagine, al prestigio e al corretto funzionamento del Comune, "Rientrando tanto nel potere discrezionale della P.A. ai sensi e per gli effetti dell’art. 92 del T.U. n. 3 del 10.1.1957".

Il provvedimento di sospensione cautelare di cui all’art. 91 del d.P.R. n. 3/1957 prevede una duplice ipotesi di sospensione dal servizio nei confronti dei dipendenti sottoposti a procedimento penale: la prima, obbligatoria, connessa all’emissione del mandato o dell’ordine di cattura e la seconda, discrezionale, correlata alla natura particolarmente grave del reato; in questo caso il provvedimento deve contenere una sommaria " cognitio" dei fatti e la esposizione dei motivi che rendano incompatibile, o quanto meno inopportuna, la permanenza in servizio del dipendente sotto il profilo del pubblico interesse che si intende salvaguardare per la gravità del reato commesso.

E’ pertanto evidente che, nel fare riferimento alla opportunità della conferma della sospensione, per evitare i pregiudizi cui sopra si è fatto cenno, anche dopo il venir meno dei presupposti per la sospensione obbligatoria, il Commissario straordinario abbia inteso esercitare i poteri discrezionali previsti da detto art. 91 in caso di commissione di grave reato e che il riferimento all’art. 92 di detto d.P.R. sia limitato al richiamo alla discrezionalità che tale norma assegna alla P.A. nell’adottare i propri provvedimenti.

Infatti il richiamo contenuto nella deliberazione impugnata alla circostanza che "il ricorrente è stato rinviato a giudizio" rende evidente che la sospensione cautelare è stata disposta non per i generici gravi motivi cui fa cenno il citato art. 92 del d.P.R. n. 3/1957, ma per procedimento penale ai sensi del precedente art. 91.

3.2.- Con la censura in esame è stato inoltre asserito che il T.A.R. avrebbe disatteso le risultanze documentali e le allegazioni delle parti, con particolare riferimento alla circostanza che il provvedimento impugnato richiama un parere dell’Avvocatura comunale in cui è asserito che la riammissione in servizio è giustificata solo dalla archiviazione del procedimento penale o dalla sospensione giurisdizionale del provvedimento di sospensione, mentre, non prevedendo l’art. 91 del citato T.U. il mantenimento della sospensione obbligatoria a seguito del mandato o ordine di cattura, la stessa andrebbe revocata a seguito del venir meno della misura coercitiva, a meno che l’Amministrazione si avvalga della facoltà di mantenere la sospensione, ricorrendo i presupposti di cui alla prima parte del comma 1 di detto articolo, ovvero in base al potere discrezionale di cui al seguente art. 92, con provvedimento adeguatamente motivato, non integrabile con un implicito riferimento alla gravità del reato.

3.2.1.- La Sezione ritiene la tesi della parte appellante non positivamente valutabile, considerato che, a prescindere dalle affermazioni contenute nel parere della Avvocatura comunale richiamato nel provvedimento impugnato, con esso è stato in effetti esercitato il potere discrezionale di cui all’art. 91, comma 1, del d.P.R. n. 3/1957, a causa del rinvio a giudizio del sig. S. (stante la implicitamente riconosciuta natura grave del reato addebitatogli) per la considerazione della natura del reato, che, essendo stato ritenuto tale da rendere incompatibile la permanenza in servizio del dipendente al fine di evitare pregiudizi all’immagine, al prestigio e al corretto funzionamento dell’Ente, non poteva che essere grave.

Ai sensi di detto articolo, infatti, la pubblica Amministrazione può avvalersi della facoltà di disporre la sospensione cautelare dal servizio del dipendente che sia stato sottoposto, dall’autorità giudiziaria, ad un provvedimento restrittivo della libertà personale, anche se successivamente revocato ed anche se ancora non ci sia stata la richiesta di rinvio a giudizio (Consiglio Stato, sez. V, 30 agosto 2006, n. 5066) e, a maggior ragione quando, come nel caso che occupa, detto rinvio a giudizio sia avvenuto, perché essa norma, nell’attribuire all’Amministrazione il potere di disporre la sospensione cautelare dal servizio dell’impiegato cui sia stato ascritto un reato particolarmente grave, si limita semplicemente a presupporre la sottoposizione dello stesso a procedimento penale.

3.3.- Comunque detto provvedimento sarebbe, secondo il motivo in esame, viziato sia se adottato facendo ricorso alla sospensione facoltativa ex art. 92 del T.U. n. 3/1957 (attesa la insussistenza dei gravi motivi che rendono indispensabile l’allontanamento del dipendente dal posto di lavoro e considerato che non è stato osservato il termine di 40 giorni, decorrente dalla comunicazione del provvedimento di sospensione al dipendente, previsto da detta disposizione per effettuare la formale contestazione), sia se adottato, come ritenuto dal T.A.R., ex art. 91, primo comma prima parte di detto T.U., essendo carente di supporto motivazionale, con particolare riferimento ai motivi di opportunità giustificanti l’allontanamento dal servizio; ciò considerato che sarebbe insufficiente l’accenno generico alla gravità del reato (senza esternazione delle ragioni concrete che ostano alla permanenza in servizio, alla sussistenza di pubblico interesse, alla sospensione e alla possibilità di adibirlo ad altro servizio) e a presupposti, come nel caso di specie, non contemplati dalla norma.

3.3.1.- La Sezione, ribadito che il provvedimento impugnato è stato sostanzialmente adottato ai sensi dell’art. 91 del d.P.R. n. 3/1957, ritiene la censura non suscettibile di condivisione, atteso che esso appare sufficientemente motivato con il richiamo alla circostanza che il dipendente era stato rinviato a giudizio per tutti i reati ascrittigli e all’esigenza di evitare pregiudizi all’immagine, al prestigio ed al corretto funzionamento dell’Ente.

In materia disciplinare, il provvedimento di sospensione facoltativa ex art. 91 del d.P.R. n. 3/1957 deve essere, invero, motivato perché verte sull’opportunità o meno di mantenere l’impiegato in servizio, ma non occorre che la P.A. esponga analiticamente i fatti criminosi addebitati all’imputato, né che si addentri nella disamina dei provvedimenti emessi e delle valutazioni effettuate nel corso del procedimento penale (Consiglio Stato, sez. V, 03 ottobre 2003, n. 5740), essendo sufficiente una motivazione estremamente sintetica circa le ragioni del provvedimento, con riferimento alle esigenze di tutela immediata del prestigio o della funzionalità degli uffici in cui presta servizio il dipendente da allontanare, ovvero alla gravità dei fatti contestati in sede penale e tali da rendere improcrastinabile la sospensione del servizio (Consiglio Stato, sez. IV, 29 novembre 2000, n. 6349); ciò soprattutto quando, come nel caso di specie (cfr: avviso di fissazione dell’udienza preliminare n. 2094/92 del 28.1.1993 versata in copia in atti) il reato contestato si riferisca a fatti specificamente attinenti alla sfera dell’Amministrazione e trovi origine proprio dalle funzioni esercitate dall’impiegato.

Né appaiono applicabili alla fattispecie in esame i principi di cui alla decisione della adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 2 del 28 febbraio 2002, atteso che in quel caso, diversamente da quello che occupa, il provvedimento di sospensione cautelare era stato adottato con espresso riferimento all’art. 91, 1° comma, prima ipotesi, "quale sospensione cautelare facoltativa… fino alla conclusione del procedimento penale", al quale l’interessato era stato sottoposto e solo con riguardo alla condanna penale, poi intervenuta nei confronti dell’impiegato, è stato ritenuto che essa non fosse suscettibile di tenere ferma la pregressa sospensione cautelare dal servizio, non potendosi ammettere una conversione della misura in una sanzione di identico contenuto.

3.4.- Inoltre, secondo l’appellante, l’affermazione contenuta nella impugnata sentenza, che la risoluzione del rapporto di lavoro del ricorrente intervenuta in corso di giudizio in data 2.7.1993, giustificava la stringatezza della motivazione della deliberazione n. 952 del 1993, non troverebbe riscontro concreto perché in questo provvedimento non è fatto alcun cenno a detta risoluzione.

Essa risoluzione, accolta senza che l’Amministrazione abbia opposto rifiuto, avrebbe avuto effetto solo sul procedimento disciplinare, causandone la estinzione ex tunc, ex artt. 118 e 124 del T.U. n. 3/1957 (estinzione peraltro causata anche dal superamento del periodo di 90 giorni dalla disposta sospensione cautelare ex art. 120 di detto T.U.), con conseguente diritto alle differenze stipendiali tra quanto dovuto dal ricorrente se fosse rimasto in servizio e quanto corrisposto a titolo di assegno alimentare, nonché ai corrispondenti trattamenti pensionistici.

3.4.1.- La Sezione non può apprezzare in senso positivo detta censura, atteso che la motivazione apposta all’impugnato provvedimento è da considerarsi sufficiente, in applicazione dei principi in precedenza esposti, e considerato che, essendo la sospensione cautelare de qua adottata ai sensi dell’art. 91 e non dell’art. 92 del d.P.R. n. 3/1957, sono da ritenere irrilevanti riguardo ad essa le sorti del procedimento disciplinare.

4.- L’appello deve essere conclusivamente respinto e deve essere confermata la prima decisione.

5.- La complessità delle questioni trattate, nonché la peculiarità e la novità del caso, denotano la sussistenza delle circostanze di cui all’art. 92, II c., del c.p.c., come modificato dall’art. 45, XI c., della L. n. 69 del 2009, che costituiscono ragione sufficiente per compensare fra la parti le spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente decidendo respinge l’appello in esame.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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