T.A.R. Calabria Catanzaro Sez. I, Sent., 25-08-2011, n. 1161

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Espone l’odierno ricorrente, Assistente della Polizia Penitenziaria in servizio presso la Casa circondariale di Messina e dal 15 settembre 2008 in posizione di distacco presso la Casa circondariale di Catanzaro, di aver presentato in data 29 maggio 2009 domanda di trasferimento ai sensi della legge n. 104 del 1992 da Messina a Catanzaro per assistere il sig. Vito Sgrò, nonno della propria consorte (circostanza quest’ultima desumibile dagli stati di famiglia).

La detta istanza è stata respinta con nota del 24 giugno 2009, impugnata a mezzo di ricorso gerarchico negativamente definito con provvedimento di rigetto del Direttore generale del personale e della formazione del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, oggetto del presente ricorso.

A sostegno del proposto gravame deduce il ricorrente manifesta contraddittorietà dell’amministrazione e manifesta ingiustizia rispetto a principi di rango costituzionale; difetto di motivazione; travisamento dei fatti per difetto di istruttoria ed errata valutazione dei documenti esibiti; eccesso di potere per violazione ed erronea interpretazione dell’art. 33, comma 5 della legge n. 104 del 1992.

Si è costituita in giudizio l’intimata Amministrazione affermando la infondatezza del proposto ricorso e concludendo perché lo stesso venga respinto.

Con ordinanza cautelare n. 955 del 2009 è stata respinta la domanda di sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato.

Alla pubblica udienza del 21 luglio 2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Il ricorso non è fondato e va, pertanto, respinto.

Ai sensi del quinto comma dell’art. 33 della legge n. 104 del 1992, al lavoratore dipendente pubblico o privato di cui al terzo comma dello stesso art. 33 (cioè colui che "assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti…") "ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede".

Orbene, non vi è dubbio che il citato comma 5 dell’art. 33 richiamato ha come scopo primario quello di ampliare la sfera di tutela del portatore di handicap, salvaguardando situazioni di assistenza in atto, accettate dal disabile, al fine di evitare rotture traumatiche e dannose. Ciò non toglie che va rigorosamente accertata la ricorrenza dei presupposti oggettivi e soggettivi richiesti ai fini del trasferimento, da individuarsi nel riconoscimento, da parte della compente A.S.L., dell’handicap in situazione di gravità dell’assistito; nell’insussistenza di ricovero a tempo pieno di quest’ultimo presso strutture ospedaliere o simili; nella relazione di parentela o affinità entro il terzo grado con il dipendente; nella continuità dell’assistenza; nella inesistenza di altri parenti o affini che abbiano usufruito della medesima normativa o che siano comunque in grado di sopperire alle esigenze del portatore di handicap (cfr. T.A.R. Lazio, sez. I, 4 febbraio 2010, n. 1464).

Ciò premesso, l’avversato provvedimento di rigetto del ricorso gerarchico si fonda sul disconoscimento della sussistenza, nella specie, sia del requisito della continuità della assistenza (sulla scorta della tesi per cui il trasferimento ex art. 33 comma 5 può essere accordato al solo lavoratore che già assista con continuità il disabile), per l’oggettiva lontananza che intercorre tra sede di servizio del lavoratore e domicilio del disabile che di quello della esclusività dell’assistenza, non essendo emerse dalle dichiarazioni di parenti ed affini una loro oggettiva impossibilità alla prestazione assistenziale.

Quanto al profilo della continuità della prestazione assistenziale, come condivisibilmente si legge nel provvedimento impugnato, l’art. 33, comma 5, della legge n. 104/1992, avvalendosi di una discrezionalità legislativa conforme alla Costituzione (v. Corte cost., 29 luglio 1996, n. 325), ha accordato il beneficio in questione a chi già "assista con continuità"un parente o un affine entro il terzo grado disabile, e non invece a chi inoltri la domanda di trasferimento per futuri fini di assistenza (cfr. T.A.R. Lazio, I Sezione, 9 novembre 2009 n. 10939). Occorre allora rilevare che il ricorrente è stato assunto nel 2002 e che la situazione di handicap del soggetto necessitante l’assistenza è del maggio 2006 ed ancora che il ricorrente ha svolto servizio in posizione di distacco presso la Casa circondariale di Catanzaro per il solo periodo dal settembre 2008 al settembre 2009.

Difetta, quindi il requisito della continuità atteso che all’insorgere della situazione di disabilità necessitante assistenza il ricorrente svolgeva la propria attività lavorativa a Messina, cioè presso una sede di servizio che per distanza (da Girifalco in provincia di Catanzaro) e caratteristiche della stessa prestazione lavorativa del personale dell’amministrazione penitenziaria impedisce di ipotizzare che lo stesso rendesse assistenza continua al nonno della propria moglie. Né detto assunto è superabile in ragione del periodo di lavoro prestato a Catanzaro, proprio per la temporaneità che intrinsecamente caratterizza istituti quali il distacco (nella specie, limitato ad un anno). Il distacco, infatti, è per definizione istituto contingente, e quindi di per sé inidoneo – salvo casi eccezionali che, come si è visto, non risultano nella fattispecie – a concretare il requisito della continuità dell’assistenza in atto al momento dell’istanza (cfr. T.A.R. Lazio, n. 10939/2009 cit.).

Quanto al profilo della esclusività della prestazione assistenziale, la giurisprudenza amministrativa ha già avuto occasione di evidenziare che l’esclusività si configura anche in caso di presenza di parenti potenzialmente idonei a prestare l’assistenza ma a ciò impediti da particolari situazioni di ostacolo (sulla necessità di specifici impedimenti, desunti da elementi oggettivi, v. Cons di Stato, sez. VI, n. 4182/2007); ma tra le predette posizioni il Collegio non ritiene possano collocarsi normali impegni di lavoro o motivi di salute genericamente indicati presenti in famiglia, poiché essi non assurgono al rango di particolari ed oggettivi impedimenti all’assistenza (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 30 giugno 2010, n. 4172). Si consideri che, nella specie, il figlio dello stesso disabile dichiara di non poter assistere il proprio genitore per generici e non meglio indicati "motivi di lavoro".

Risultano, pertanto, legittime entrambe le ragioni addotte dall’amministrazione a sostegno dell’atto impugnato, in disparte peraltro (poiché espressamente posta solo in sede di memoria dall’Avvocatura dello Stato) la questione della stessa ricorrenza nel caso di specie di un rapporto di coniugio, parentela o affinità entro il grado richiesto dalla legge ex art. 33 comma 3 della legge n. 104 del 1992 per essere il disabile di che trattasi nonno della moglie del soggetto richiedente il beneficio.

Conclusivamente, ribadite le svolte considerazioni, il Collegio respinge il ricorso poichè infondato.

Sussistono tuttavia giuste ragioni per compensare integralmente fra le parti le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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