Cass. pen., sez. VI 29-05-2007 (10-05-2007), n. 21182 Obbligo di trasmissione degli atti al tribunale del riesame – Comunicazione nei termini dell’avvenuto deposito degli atti presso l’ufficio attiguo del G.i.p.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Sulla base di plurime richieste del procedente Pubblico Ministero della locale D.D.A. in data 13.9.2006 il competente G.I.P. del Tribunale di Catanzaro emetteva ordinanza applicativa della misura della custodia cautelare in carcere (p.p. 3053/04 n.r. DDA contro L. R.A. + 54, denominato procedimento "(OMISSIS)") nei confronti di numerose persone indagate per reati di associazione per delinquere di stampo mafioso (imputazioni di cui ai capi 1 e 2 della rubrica) nonchè per innumerevoli reati di detenzione e porto illegali di armi da sparo, di estorsione aggravata (consumata o tentata), di reimpiego di denaro di illecita derivazione, di trasferimento illecito di valori, di usura e di altre fattispecie criminose; reati tutti, i secondi, qualificati dalla circostanza aggravante dell’essere stati commessi con modalità e/o finalità di natura mafiosa (D.L. n. 152 del 1991, art. 7), siccome attuati nell’alveo funzionale delle contestate condotte di criminalità organizzata mafiosa (c.d. reati fine). L’ordinanza cautelare costituisce l’evolutivo epilogo di operazioni investigative sviluppate in fase di indagini preliminari, approfondendo le emergenze di un anteriore complesso procedimento penale denominato "(OMISSIS)", già approdato alla sede dibattimentale. In particolare gli additivi elementi indiziari raccolti in ordine agli esiti di precedenti operazioni di intercettazione telefonica ed ambientale (ulteriormente estese nel corso delle attuali indagini), integrati da accertamenti documentali, da specifici servizi di polizia giudiziaria e dai contribuiti informativi di "collaboratori" di giustizia (il più delle volte rappresentati dalle vittime di ripetuti episodi di intimidazione estorsiva) hanno portato in luce – secondo il paradigma accusatorio – l’esistenza di un sodalizio criminoso di natura mafiosa (capo 1) denominato "clan La Rosa", facente capo ad L.R.A. e a suoi familiari ed operante nel territorio del comune di (OMISSIS) e zone contigue nonchè di un coevo omologo sodalizio (capo 2) denominato "famiglia Mancuso", articolato in due "ramificazioni" facenti capo l’una a G. e Ma.Di. e l’altra a C., A. e Ma.Pa., operante nella più estesa area, costiera ed interna, della provincia di (OMISSIS).
Sodalizi mafiosi che, attraverso molteplici fatti delittuosi attuati dalle loro varie diramazioni, nel sinergico convergere di illeciti interessi (sebbene in più casi fonte di conflittualità "interne" ai singoli assetti organizzativi), tendono ad assumere ed espandere un capillare controllo delle realtà produttive e commerciali nel territorio della provincia vibonese.
All’odierno ricorrente M.G. con l’ordinanza custodialcautelare è stato contestato il delitto di reimpiego di denaro proveniente da delitti consumati nel quadro operativo delle anzidette associazioni mafiose (art. 648 ter c.p., D.L. n. 152 del 1991, art. 7), perchè -"a partire dagli anni 80 con permanenza del reato "- gestiva il locale discoteca "(OMISSIS)" sito in (OMISSIS) (munito di licenze di esercizio intestate a sua sorella M. C.), impiegando nell’amministrazione finanziaria del locale illeciti capitali provenienti da Ma.Gi. e L.T. A., con l’aggravante di aver agito "per agevolare l’attività della cosca di cui al capo 1) e al capo 2)" (associazioni di natura mafiosa).
2.- Avverso l’ordinanza cautelare del 13.9.2006 il M. interponeva istanza di riesame, deducendo precarietà e debolezza degli elementi indiziari delineati nei suoi confronti e l’insussistenza di esigenze cautelari legittimanti la misura restrittiva.
Con l’epigrafata ordinanza del 10.10.2006 il Tribunale del riesame di Catanzaro rigettava il gravame e confermava l’ordinanza coercitiva, ritenendo:
a) concludenti e gravi gli indizi di colpevolezza raccolti a carico del ricorrente, desumibili: 1. dalle dichiarazioni collaborative rese da C.D. e G.G. (imprenditori che avevano eseguito negli anni lavori di sistemazione dei locali della discoteca); 2. dalle dichiarazioni di R.S. (iniziale socio del M. nella gestione della discoteca); 3. dalle dichiarazioni di Me.Ag. (asseveranti risalenti connivenze o legami criminali del M. con ambienti mafiosi della provincia di (OMISSIS), in particolare con Ma.Gi.); 4. dai contenuti di una conversazione avvenuta nel gennaio 2002 (intercettata nell’ambito del procedimento (OMISSIS)) tra certo S.D. ed un ignoto interlocutore, nella quale si accenna al disinteresse del M. per l’andamento della discoteca (OMISSIS), dato suffragante la sua posizione di prestanome di Ma.Gi.; elementi, tutti, idonei ad accreditare la tesi accusatoria dell’avere l’indagato "impiegato nell’attività commerciale capitali provenienti da L.R.A. e M. G. al fine di agevolare le cosche mafiose alle quali i predetti appartengono";
b) non dirimente la circostanza addotta dalla difesa del M. secondo cui la Corte di Appello di Catanzaro nell’ambito di procedimento per l’applicazione di misure di prevenzione patrimoniali promosso nei confronti di Ma.Gi. aveva disposto (con decreto del 13.1.2006) il dissequestro e la restituzione al M. (quale terzo interessato) della discoteca (OMISSIS), tale decisione essendo intervenuta in presenza del solo dato indiziante della menzionata conversazione dello S.;
c) sussistenti esigenze cautelari connesse al pericolo di reiterazione dell’attività criminosa (avendo il M. espresso l’intenzione di riaprire la discoteca) ed efficacemente fronteggiabili con la sola misura custodiate carceraria (ex art. 275 c.p.p., comma 3, in ragione della contestata aggravante della condotta realizzata con finalità di agevolazione mafiosa).
3.- Contro l’illustrata ordinanza del Tribunale del riesame di Catanzaro hanno proposto rituali ricorsi personalmente l’indagato M.G. ed il difensore del medesimo avv. Enzo De Caro.
3/A. Con il ricorso personale il M. enuncia i seguenti sette motivi di censura.
1. Violazione dell’art. 309 c.p.p., commi 5 10, determinante nullità dell’ordinanza del riesame, per omessa o intempestiva trasmissione prima al G.I.P. disponente la misura cautelare e poi al Tribunale del riesame dei supporti magnetici (bobine) relativi alle intercettazioni ordinate nel procedimento (OMISSIS) e nell’odierno procedimento.
2. Violazione dell’art. 63 c.p.p., con conseguente inutilizzabilità delle corrispondenti dichiarazioni contra alios rese da G. G., sul rilievo che le assunte spontanee dichiarazioni del G. andavano interrotte, potendosi configurare nei suoi confronti elementi del reato (false attestazioni di conformità a norme di sicurezza dell’impianto elettrico del locale (OMISSIS) nonchè reato di cui all’art. 371 ter c.p.).
3. Efficacia preclusiva, in virtù del generale principio del ne bis in idem (art. 649 c.p.p.), del giudicato costituito dal menzionato decreto della Corte di Appello di Catanzaro 13.1.2006 disponente il dissequestro della discoteca (OMISSIS) e la sua restituzione ad esso M..
4. Violazione dell’art. 270 c.p.p. in relazione agli artt. 267 e 268 c.p.p., determinante "inutilizzabilità di tutte le captazioni ambientali e telefoniche poste a fondamento dell’impugnata ordinanza", sul rilievo dell’asserita carenza di congrua motivazione del decreto autorizzativo di intercettazioni ambientali a bordo dell’autovettura di S.D. e delle ragioni di urgenza esecutiva del decreto richiedenti il ricorso ad impianti captativi non in disponibilità della Procura della Repubblica di Catanzaro.
5. Inosservanza dei principi di valutazione della prova dichiarativa fissati dall’art. 192 c.p.p., ed insufficienza ed illogicità della motivazione, sul rilievo dell’incongruo vaglio, temporale e logico, delle propalazioni dei collaboranti testimoni C. e G. con specifico riferimento all’origine sicuramente lecita della gestione della discoteca (OMISSIS) da parte del ricorrente (avviata nel (OMISSIS) in società di fatto con L.R.S., successivamente cedente a terzi la propria quota di partecipazione) nonchè alla palese irragionevolezza dell’assunto accusatorio secondo cui il M. avrebbe gestito il locale come presunto prestanome degli esponenti di due cosche malavitose ( L.R.A. e Ma.Gi.) operanti sul territorio in situazioni di palese conflittualità tra di loro (come si rileva nella stessa ordinanza del G.I.P. 13.9.2006 applicativa della misura cautelare).
6. Erronea applicazione del D.L. n. 152 del 1991, art. 7, non essendo configurabile nei fatti criminosi contestati con il capo 14) della rubrica la circostanza aggravante dell’azione agevolatrice di sodalizi mafiosi in difetto di una accertata oggettiva finalizzazione (profilo su cui il Tribunale di Catanzaro non ritiene di soffermarsi) della asserita condotta di reimpiego di capitali illeciti all’agevolazione delle associazioni mafiose del L.R. e/o del Ma..
7. Inesistenza di esigenze cautelari legittimanti l’adozione della misura carceraria ed il suo protrarsi, vuoi per insussistenza dell’aggravante ex D.L. n. 152 del 1991, art. 7 e – quindi – della presunzione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3, vuoi comunque per la concreta superabilità di siffatta presunzione, ove si consideri che la discoteca (OMISSIS) è chiusa dal (OMISSIS), che in ogni caso l’esercizio della stessa ha (aveva) carattere stagionale (aperta nei soli mesi estivi), che i presunti illeciti finanziatori della gestione ( L.R. e Ma.) sono detenuti per effetto del contestato titolo associativo (capi 1 e 2 della rubrica).
3/B. Con il ricorso presentato dal difensore avv. De Caro si eccepiscono i seguenti tre vizi "motivazionali" del provvedimento impugnato.
1. Mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione in riferimento alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante della mafiosità della condotta criminosa attribuita al M. (D.L. n. 152 del 1991, art. 7). Il Tribunale ha omesso di motivare su questo specifico profilo, trascurando di chiarire le ragioni fondanti l’effettività del contegno agevolatore dell’indagato in favore delle cosche dei presunti finanziatori L.R. e Ma., nulla deducendo sulla reale entità dei supposti capitali illeciti investiti nella gestione della discoteca (OMISSIS), sulla loro concreta riconducibilità alle delittuose imprese dei sodalizi mafiosi, sul reale fatturato e sulla produttività della discoteca, giudicando in definitiva automaticamente applicabile l’aggravante de qua per il solo fatto dell’avvenuta supposta agevolazione di un appartenente ad associazione mafiosa.
2. Erronea applicazione (e connessa carenza di motivazione sul punto) dell’art. 648 ter c.p.. Anche dopo l’uscita di L.R.S. dalla società di fatto formata con il M. per la conduzione della discoteca (OMISSIS) (anni (OMISSIS)) il ricorrente ha proseguito l’attività commerciale nei confini della legalità, non essendovi prova che egli abbia realmente ricevuto denaro di illecita provenienza dai capi-cosca Ma. e L.R., atteso che "anche a voler credere alle dichiarazioni accusatorie in atti ognuno dei soci avrebbe pagato autonomamente i fornitori secondo la propria quota".
Le emergenze processuali al più portano in luce pagamenti parziali effettuati dal L.R. o dal Ma. nell’interesse della discoteca, che non elidono gli esborsi personalmente effettuati dal M.. Il Tribunale non considera, poi, che i pagamenti effettuati ineriscono in ogni caso a prestazioni realmente eseguite dai fornitori dell’esercizio (come dimostrano le stesse dichiarazioni del C. e del G.) e che l’agevole individuazione di tali fornitori (anche nei casi in cui siano stati pagati dal L.R. o dal Ma. oltre che dal M.) contraddice la stessa struttura della fattispecie incriminatrice laddove l’obiettivo del reimpiego illecito di capitali criminosi è quello di occultare o far perdere le tracce dell’origine di questi capitali. Nè, d’altro canto, i giudici del riesame hanno indagato l’elemento soggettivo del reato che sarebbe stato commesso dal M., integrato dalla (prova della) consapevolezza della provenienza delittuosa del denaro presuntivamente impiegato dal L.R. e dal Ma. nella cogestione della discoteca.
3. Insussistenza di esigenze cautelari nei termini già esposti con l’ultimo motivo del ricorso personale del M..
3/c Con memoria integrativa depositata il 3.5.2007, illustrata in discussione dal codifensore avv. Militerni, si ritorna in particolare sulla configurabilità del reato di cui all’art. 648 ter c.p., evidenziandosi come scrupolosi accertamenti bancari e patrimoniali svolti dalla Guardia di Finanza e dall’Ufficio Prevenzione della Questura di Vibo Valentia, i cui risultati sono confluiti nel procedimento di prevenzione definito con il citato decreto 13.1.2006 della Corte di Appello di Catanzaro (dissequestro della discoteca) non abbiano mai portato in luce il nome o la posizione del M. quale persona coinvolta in dinamiche finanziarie di matrice mafiosa.
A ciò si aggiunge che la documentata situazione di difficoltà economica del M. (che per ben due volte ha dovuto acquisire prestiti mediante la cessione del quinto del suo stipendio di tecnico di laboratorio della ASL di (OMISSIS)) è in contrasto con il lucro che egli avrebbe potuto e dovuto conseguire da una fraudolenta gestione del locale, attuata mediante la sua asserita interposizione nel reimpiego o "pulitura" di denaro di origine delittuosa nell’attività di gestione dell’esercizio commerciale.
4.- Vanno giudicati manifestamente infondati i sottoelencati motivi di censura.
Il secondo motivo del ricorso personale del M., atteso che l’addotta e meramente formale inosservanza del disposto di cui all’art. 63 c.p.p. nel corso delle spontanee sommarie informazioni testimoniali rese dal collaboratore di giustizia (persona offesa di più episodi di estorsione) G.G. non è idonea, nel caso concreto (ed a prescindere dal discutibile profilarsi di contegni penalmente apprezzabili del G., che riconduce i propri comportamenti ad un suo generale stato di coazione e minaccia mafìose), a vanificare la piena utilizzabilità a fini cautelari delle dichiarazioni eteroaccusatorie dal medesimo rilasciate.
Il primo ed il quarto motivo del ricorso personale del M., dal momento che la perdita di efficacia della misura cautelare non è correlabile alla mancata trasmissione al Tribunale del riesame dei supporti magnetici contenenti le conversazioni intercettate e degli stessi decreti autorizzativi delle intercettazioni, tale inefficacia potendosi verificare solo in caso di omessa trasmissione di tutti gli atti a suo tempo presentati al G.I.P. ai sensi dell’art. 291 c.p.p..
Nel caso di specie si impongono due considerazioni.
Innanzitutto il gran numero di intercettazioni indicate nelle richieste di misure cautelari del pubblico ministero, effettuate nell’odierno procedimento ovvero provenienti da altri collegati procedimenti, e l’imponenza dei supporti documentali e tecnici ad esse intercettazioni connesse rende concretamente impraticabile – anche avuto riguardo al numero degli indagati sottoposti a misura cautelare ed alle corrispondenti istanze di riesame – la pedissequa trasmissione di copia di tutti gli atti inerenti le anzidette intercettazioni in relazione ad ogni singola istanza di riesame.
Ciò che rileva per gli effetti di cui all’art. 309 c.p.p., comma 5, è che sia adempiuto un onere di comunicazione alle parti private ed al giudice degli elementi probatori fondanti la misura cautelare e della pedissequa reale disponibilità per le medesime parti della relativa documentazione tecnica e storica (supporti magnetici, verbali di inizio e conclusione delle operazioni di ascolto, decreti autorizzativi e di proroga, ecc). La trasmissione degli atti al giudice del riesame, infatti, "risponde all’esigenza di mettere il giudice e la difesa nell’immediata disponibilità degli atti, onde poterli consultare senza intralci, esigenza pienamente assicurata con la semplice indicazione del luogo del loro deposito" (così Cass. Sez. 6^, sent. 6.2.2006 n. 7522, rv. 233646). Dagli atti che corredano l’odierna istanza di riesame è agevole evincere la pacifica giacenza della predetta documentazione presso l’ufficio del procedente G.I.P. del Tribunale di Catanzaro, cioè in ufficio spazialmente contiguo (stesso edificio) a quello del Tribunale del riesame di quel distretto giudiziario. In vero l’ordinanza applicativa di misure cautelari 13.9.2006 emessa dal G.I.P. chiarisce (parte 1^, pag. 4) che il p.m. ha espressamente indicato in un prospetto le attività tecniche di intercettazione effettuate nell’ambito dei diversi procedimenti, con l’indicazione per ciascuna attività del numero di RIT, della data di inizio e fine delle operazioni e del faldone in cui sono contenuti tutti i decreti autorizzativi.
In secondo luogo occorre evidenziare che, in assenza di una specifica e tempestiva richiesta di parte, l’eventuale mancata trasmissione al Tribunale del riesame dei decreti autorizzativi di operazioni di intercettazione non produce, per ciò solo, l’inutilizzabilità delle intercettazione, allorquando dagli atti emergano elementi certi dai quali sia altrimenti desumibile la sicura esistenza dei decreti medesimi. Ora ancora l’ordinanza cautelare 13.9.2006 precisa (parte 1, pag. 4): "le conversazioni telefoniche e ambientali riportate nella presente ordinanza sono state captate a seguito di regolari provvedimenti di autorizzazione e di proroga e quelle afferenti ad altri procedimenti sono state ritualmente acquisite, unitamente ai decreti che hanno disposto e prorogato le operazioni, in piena conformità alle vigenti disposizioni codicistiche". Circa l’asserita inutilizzabilità delle intercettazioni, deve osservarsi che il ricorrente si è limitato ad addurre in modo generico una mera ipotesi di illegittimità dei decreti autorizzativi ed esecutivi, di tal che la menzionata precisazione del G.I.P. in merito a regolarità di autorizzazioni e proroghe delle operazioni di captazione fonica introduce una presunzione di legittimità dei relativi decreti (il ricorrente, del resto, non ha indicato le specifiche ragioni della loro asserita illegittimità). Va poi soggiunto, con peculiare riferimento ai decreti esecutivi del P.M. ex art. 268 c.p.p., comma 3 (operazioni eseguite mediante impianti esterni alla Procura della Repubblica), che lo stesso ricorrente riconosce che il P.M. ha motivato "circa l’inidoneità allo scopo degli impianti presenti presso la locale Procura della Repubblica", ma non avrebbe puntualizzato le eccezionali ragioni di urgenza legittimanti siffatto ricorso ad impianti esterni. Senonchè l’urgenza della specifica modalità esecutiva delle intercettazioni è sufficientemente rappresentata e motivata in relazione al titolo dei reati indagati richiamato nel provvedimento e segnatamente all’essere in corso di svolgimento associazioni delinquenziali di natura mafiosa ed i reati ad esse strumentali.
Il terzo motivo del ricorso personale del M., non potendosi invocare alcuna preclusione di c.d. giudicato cautelare per effetto del Decreto 13 gennaio 2006 assunto dalla Corte di Appello di Catanzaro nel procedimento applicativo di misure di prevenzione patrimoniali nei confronti di L.R.A. e M. G., in ragione della palese diversità della regiudicanda del giudizio di prevenzione rispetto a quella (gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di cui all’art. 648 ter c.p.p.) del procedimento incidentale de libertate direttamente riguardante il M. e – deve aggiungersi – in ragione della maggiore ampiezza degli elementi probatori apprezzati nell’attuale procedimento evidenziati dal giudice del riesame (l’impugnata ordinanza segnala come il decreto della Corte territoriale abbia fatto precipuo riferimento al solo dato, allora disponibile, della ricordata conversazione tra S.D. ed un ignoto soggetto risalente al (OMISSIS)).
Il quinto motivo del ricorso personale del M., poichè – da un lato – il Tribunale del riesame ha adeguatamente valutato l’attendibilità e la spontaneità del percorso collaborativo intrapreso dai testimoni di accusa C.D. e G. G. e – da un altro lato – la asserita contraddittorietà di una azione favoreggiatrice ex art. 648 ter c.p., in vantaggio di due esponenti di cosche mafiose in conflitto tra loro è solo apparente, risolvendosi la stessa – come sembra potersi desumere dal testo dell’impugnata ordinanza del riesame riproducente dichiarazioni del C. e del G. (che hanno eseguito i rispettivi lavori presso la discoteca in anni diversi) – in termini di successione temporale e non già di concomitante cointeressenza di L.R. A. e di Ma.Gi. alle vicende finanziarie della discoteca (OMISSIS).
5.- Assistite da fondamento debbono ex adverso considerarsi – sul piano della completezza o idoneità della motivazione del provvedimento impugnato – le doglianze prospettate con il sesto motivo del ricorso personale del M. ed il primo motivo del ricorso dell’avv. De Caro, inerenti la ritenuta sussistenza della contestata aggravante della condotta agevolatrice di sodalizi mafiosi ex D.L. n. 152 del 1991, art. 7, nonchè con il secondo motivo del ricorso dell’avv. De Caro, ribadito nella memoria integrativa dell’avv. Militerni, inerente la sussistenza stessa dell’ipotizzata fattispecie di cui all’art. 648 ter c.p. o, se si preferisce, della concludenza e gravità degli indizi che ne dimostrerebbero la realizzazione. Tale seconda censura è ovviamente pregiudiziale da un punto di vista logico rispetto alla tematica dell’aggravante ex D.L. n. 152 del 1991, art. 7. Così è del pari evidente che l’analisi della ritenuta fondatezza degli indicati motivi di ricorso assorbe l’indagine relativa ai residui motivi di ricorso (settimo motivo del ricorso personale del M. e terzo motivo del ricorso dell’avv. De Caro) involgenti la sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3 (in rapporto alla presunzione di immanenza cautelare postulata dall’aggravante c.d. dell’agevolazione mafiosa ex D.L. n. 152 del 1991, art. 7).
In verità il denunciato provvedimento del Tribunale del riesame di Catanzaro, muovendo dai dati indiziari (dichiarazioni C. e G.) asseveranti una cogestione della discoteca (OMISSIS) o l’affiancarsi al M., supposto apparente conduttore dell’esercizio commerciale, del L.R. e del Ma. nella partecipazione alle spese e agli utili della discoteca, non correla adeguatamente tali dati alla struttura della fattispecie criminosa.
Ciò sia sotto il profilo oggettivo, con peculiare riguardo ai reati presupposti dall’art. 648 ter c.p., ed alla effettività o pienezza dell’illecito reimpiego di denaro di provenienza delittuosa nella conduzione del locale riconducibile al M. o, quanto meno, per la parte riconducibile sicuramente anche al M..
Non sottacendosi la già segnalata stagionalità dell’esercizio (funzionante nei soli due o tre mesi estivi) e, per ciò stesso, limitante progetti di esteso reimpiego di capitali illeciti. Sia, ancora, sotto il profilo soggettivo con riferimento alla reale consapevolezza da parte del M. di avvalersi di capitali di illecita fonte.
Quanto al primo aspetto, premesso che ai presunti finanziatori occulti o, meglio, dissimulati del M., cioè gli esponenti mafiosi Ma.Gi. e L.R.A. (sebbene dal testo dell’ordinanza si comprende che i due non facevano molto per tener celata la loro partecipazione od ingerenza nella conduzione del locale, il che sembra contraddire finalità elusive di eventuali misure di prevenzione patrimoniali nei loro confronti) è contestato -con l’ordinanza custodiale del 13.9.2006 – il reato di fraudolento trasferimento di denaro ex art. D.L. n. 306 del 1992, art. 12 quinquies (rispettivamente capi 15 e 16 della rubrica), è agevole rilevare che i giudici del riesame non si spingono oltre constatazioni della storicità degli eventi riferiti dai testimoni C. e G. connotate da mera assertività ("il contegno dell’indagato appare qualificabile quale reimpiego… ", "appare incontestabile che l’indagato abbia impiegato… "), senza il concreto supporto di dati fattuali o documentali che escludano, in tutto o in parte, l’effettività sostanziale e non soltanto formale della gestione del locale ad opera del M.. Se in riferimento ai reati ascritti al L.R. e al Ma. (D.L. n. 306 del 1992, art. 12 quinquies) nulla è dato arguire dall’impugnata ordinanza in merito alla reale provenienza delittuosa dei capitali da entrambi investiti nell’amministrazione della discoteca, provenienza che non può considerarsi assistita da presunzione per il solo fatto della "mafiosità" dei due indagati poichè essa integra uno degli elementi strutturali della fattispecie sanzionata dall’art. 648 ter c.p., che necessita dunque di prova, diretta o indiretta, altrettanto sbrigativamente il Tribunale del riesame omette di fornire adeguata spiegazione dell’implausibilità della tesi difensiva del M. (ricorso avv. De Caro), secondo cui – dopo l’uscita dalla società di L.R.S. (cugino di L.R.A.)- egli si è trovato di fronte "al subentro di nuovi soci di fatto che non poteva che accettare "; situazione, questa di una nuova società di fatto (o di nuove società di fatto in successione temporale, ora con L.R. A., ora con Ma.Gi.), che troverebbe riscontro – per la difesa del ricorrente – nelle dichiarazioni degli stessi testimoni C. e G., dalle quali emergerebbe al più che "ognuno dei soci avrebbe pagato autonomamente i fornitori secondo la propria quota". Effettivamente dal tenore delle dichiarazioni dei due testi di accusa C. e G., per come riportate nell’ordinanza del Tribunale del riesame e prima ancora nella stessa ordinanza cautelare del G.I.P., si evince che il M. ha sempre pagato personalmente (con assegni propri o della sorella) almeno in parte i lavori da entrambi eseguiti nella discoteca. Nè può sottacersi che in particolare il G. segnala un singolare atteggiamento di L.R.A. (cui si rivolge, su suggerimento del M., per conseguire il saldo di lavori eseguiti nel 2002), che mostra particolare riluttanza nel pagare, contestando la somma richiesta da esso G.. Al riguardo deve aggiungersi che, se è vero – come si è chiarito – che il decreto di restituzione della discoteca al M. emesso dalla Corte di Appello di Catanzaro nel procedimento di prevenzione contro L.R. e Ma. non istituisce alcuna preclusione valutativa (giudicato), non è meno vero che il giudice del riesame si astiene da qualsiasi risposta in ordine agli elementi documentali, provenienti sì dal procedimento di prevenzione, ma riproposti nel procedimento incidentale di riesame, alla stregua dei quali il M. risulta intrattenere rapporti diretti con più fornitori che assumono di essere sempre stati pagati personalmente da lui anche nei periodi in cui nella gestione del locale si sarebbero affiancati (alla stregua del paradigma accusatorio) il Ma. e il L.R.. Il Tribunale liquida siffatti argomenti difensivi, limitandosi a rilevare con categoricità non surrogata da efficaci elementi dimostrativi che le doppie cessioni del quinto dello stipendio e le altre operazioni di pagamento o di raccolta di crediti compiute dal M. non appaiono incompatibili con la contestata condotta criminosa, dette operazioni potendo trovare giustificazioni diverse dalla necessità di fronteggiare le spese di gestione della discoteca (ma quali possano essere tali giustificazioni, in astratto o in concreto, non è dato comprendere, in difetto di qualsivoglia accertamento bancario e contabile nei confronti del M.) ed in ogni caso sanzionando la legge penale "l’impiego del denaro di origine delittuosa, indipendentemente dal risultato attivo o passivo di tale impiego".
Pur non disconoscendosi che quest’ultima notazione è conforme alla tipizzazione normativa della fattispecie di cui all’art. 648 ter c.p., emerge in tutta chiarezza la tautologia dell’argomentare del giudice del riesame catanzarese, laddove – come già evidenziato – l’origine delittuosa del denaro dei coindagati parzialmente utilizzato dal M. per le esigenze della discoteca (ancorchè, a dire il vero, il Ma. e il L.R. – a dire degli stessi C. e G. – intervengono sempre direttamente a supportare le spese del locale senza avvalersi a tal fine dell’interposizione del M.: ulteriore dato che lumeggia più l’esistenza di una società di fatto palese che non una fraudolenta trasmissione di capitali di illecita origine in vista del loro reimpiego o investimento) è ritenuta per scontata o presupposta, in luogo di una reale o persuasiva dimostrazione di tale natura.
Quanto all’elemento soggettivo del reato ascritto al M., deve analogamente prendersi atto che l’ordinanza impugnata non si diffonde sul grado di effettiva (e indispensabile) consapevolezza da parte del M. della delittuosa origine delle somme di denaro spese dai due coindagati nell’interesse della discoteca, tale consapevolezza dovendo desumersi – alla luce dell’impostazione del giudice del riesame – dal solo fatto della esponenziale autoreferenzialità mafiosa del L.R. e del Ma..
Le descritte carenze o insufficienze motivazionali del provvedimento impugnato si palesano anche per il conseguente assetto circostanziale del reato di reimpiego di capitali illeciti integrato dalla finalizzazione della contestata condotta criminosa all’agevolazione delle attività delle "cosche" di appartenenza del L.R. e del Ma.. In particolare non sono chiarite modalità e dinamiche che convincano della concreta e consapevole valenza favoreggiatrice delle attività (deve presumersi finanziarie) delle cosche dei due coindagati riferibile alla ipotizzata condotta criminosa attribuita al ricorrente.
Alla luce delle considerazioni fin qui sviluppate si impone una nuova e più approfondita analisi delle emergenze processuali integranti il compendio indiziario ex art. 273 c.p.p. e le connesse ragioni di coercizione cautelare inerenti la posizione del ricorrente M. G..
Analisi da condursi a cura del Tribunale del riesame di Catanzaro con riferimento, per gli effetti di cui agli artt. 623 e 627 c.p.p., alle concrete connotazioni strutturali del reato di reimpiego di capitali ascritto al M. prima passate in rassegna.
P.Q.M.
La Corte annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Catanzaro.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *