T.A.R. Calabria Catanzaro Sez. I, Sent., 25-08-2011, n. 1156 Lavoro subordinato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

I ricorrenti impugnano il provvedimento con il quale la Prefettura di Catanzaro ha rigettato l’istanza volta ad ottenere la legalizzazione del lavoro irregolare svolto dal B.S. nel territorio italiano.

L’avversato provvedimento si fonda sulla circostanza che vede il lavoratore extracomunitario condannato ex art. 14, comma 5 ter del d. lgs 286/98.

A sostegno del proposto ricorso si deduce violazione dell’art. 1 ter comma 13, lett. c) della legge n. 102 del 2009 con riferimento agli artt. 380 e 381 c.p.p. e conseguente eccesso di potere per erroneità della motivazione. Affermano in sostanza i ricorrenti la non ostatività del reato di cui al citato art. 14, comma 5 ter del testo unico dell’immigrazione al perfezionamento dell’emersione.

Si è costituita in giudizio l’intimata Amministrazione affermando la infondatezza del proposto ricorso e concludendo perché lo stesso venga respinto.

Alla pubblica udienza del 23 giugno 2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Il ricorso è fondato e va, pertanto, accolto.

Ritiene, infatti, il Collegio di dover condividere l’arresto giurisprudenziale sul punto di cui è questione, di cui alla recentissima sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 10 maggio 2011 n. 8.

Com’è noto, l’art. 1ter, comma 13, lett. c), della legge n. 102 del 2009 inibisce la regolarizzazione dei lavoratori extracomunitari condannati, anche con sentenza non definitiva, compresa quella pronunciata a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 c.p.p., per uno dei reati previsti dagli articoli 380 (arresto obbligatorio in flagranza) e 381 (arresto facoltativo in flagranza) del medesimo codice. Secondo un diffuso orientamento, tra i detti reati va ricompreso il delitto di violazione dell’ordine del questore di lasciare il territorio nello Stato, previsto dall’art. 14, comma 5ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, per il quale risulta nella specie condannato l’extracomunitario odierno ricorrente, punito con una pena edittale fino a quattro anni di reclusione e per il quale è previsto l’arresto obbligatorio.

Secondo altre pronunce, tale delitto, oltre a non essere espressamente menzionato nelle due disposizioni di rinvio ( artt. 380 e 381 c.p.p.), non potrebbe pacificamente ascriversi tra quelli di cui all’art. 380 c.p.p., per difetto della previsione di una pena edittale non inferiore nel minimo a cinque anni, e neppure tra quelli di cui all’art. 381, in quanto comportante l’arresto obbligatorio.

La citata decisione dell’Adunanza Plenaria ha osservato come detto contrasto interpretativo abbia perduto di attualità e di rilevanza ai fini della definizione del giudizio, ricordando come già con le ordinanze n. 912917 del 21 febbraio 2011 l’Adunanza Plenaria, delibando, in sede meramente cautelare, analoghe vertenze, aveva dato atto della complessità intrinseca del problema interpretativo, segnalando – fra l’altro – che sulla sua soluzione poteva incidere anche il decorso del termine (il 24 dicembre 2010) per il recepimento della Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 16 dicembre 2008 n. 2008/115/CE (recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare). E’ quindi intervenuta la Corte del Lussemburgo con sentenza 28 aprile 2011 in causa C61/11 PPU.

Premesso che – afferma la sentenza – sussistono le condizioni per ritenere l’immediata applicabilità della Direttiva 2008/115, posto che è inutilmente decorso il termine fissato per il recepimento da parte dello Stato Italiano, e che le disposizioni di cui agli artt. 15 e 16 si presentano sufficientemente precise ed incondizionate (parag. 4546), la decisione così conclude: "… la direttiva 2008/115, in particolare i suoi artt. 15 e 16, deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa di uno Stato membro, come quella in discussione nel procedimento principale, che preveda l’irrogazione della pena della reclusione al cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare per la sola ragione che questi, in violazione di un ordine di lasciare entro un determinato termine il territorio di tale Stato, permane in detto territorio senza giustificato motivo.".

Orbene, si ricorderà che il legislatore italiano, nell’esercizio di una facoltà espressamente stabilita dalla Direttiva n. 115 del 2008 (art. 4, comma 3, in tema di disposizioni più favorevoli), ha previsto il beneficio della emersione del lavoro irregolare, con effetto estintivo di ogni illecito penale e amministrativo (art. 1ter, comma 11, l. n. 102 del 2009), a favore di una limitata cerchia di lavoratori, ma anche dei rispettivi datori di lavoro, che li impiegano per esigenze di assistenza propria o di familiari non pienamente autosufficienti o per lavoro domestico.

Tale misura, tuttavia, non può essere concretamente accordata dall’Amministrazione ove sia stata emessa condanna dello straniero interessato per il reato di cui all’art. 14, comma 5ter, più volte citato, che, come si è visto, punisce lo straniero che non abbia osservato l’ordine del questore di lasciare il territorio dello Stato.

Ma, come ha appunto osservato la citata Adunanza Plenaria, la previsione di tale fattispecie penale, e le conseguenti condanne, non sono più compatibili con la disciplina comunitaria delle procedure di rimpatrio.

"In conformità, infatti, all’orientamento costantemente seguito dalla Corte di Lussemburgo (a partire dalla sentenza Simmenthal in causa 106/77), e dalla stessa Corte costituzionale italiana (con la sent. n. 170 del 1984 e successive), anche la recentissima sentenza comunitaria afferma che è compito del giudice nazionale assicurare la "piena efficacia" del diritto dell’Unione, negando l’applicazione, nella specie, dell’art. 14, comma 5ter, in quanto contrario alla normativa dettata dalla Direttiva n. 115 del 2008, suscettibile di diretta applicazione.

"L’effetto di tale diretta applicazione- ha puntualizzato la Corte – non è quindi la caducazione della norma interna incompatibile, bensì la mancata applicazione di quest’ultima da parte del giudice nazionale al caso di specie, oggetto della sua cognizione, che pertanto sotto tale aspetto è attratto nel plesso normativo comunitario." (Corte Cost. n. 168 del 1991).

Deve concludersi che l’entrata in vigore della normativa comunitaria ha prodotto l’abolizione del reato previsto dalla disposizione sopra citata, e ciò, a norma dell’art. 2 del codice penale, ha effetto retroattivo, facendo cessare l’esecuzione della condanna e i relativi effetti penali.

Tale retroattività non può non riverberare i propri effetti sui provvedimenti amministrativi negativi dell’emersione del lavoro irregolare, adottati sul presupposto della condanna per un fatto che non è più previsto come reato".

Né l’esposta conclusione trova ostacolo nella circostanza per cui l’atto impugnato risulta adottato antecedentemente al mutamento della normativa.

Sempre la citata Plenaria n. 8 del 2001 ha condivisiblmente ritenuto che "Il principio tempus regit actum esplica la propria efficacia allorché il rapporto cui l’atto inerisce sia irretrattabilmente definito, e, conseguentemente, diventi insensibile ai successivi mutamenti della normativa di riferimento. Tale la circostanza, evidentemente, non si verifica ove, come nella specie, siano stati esperiti gli idonei rimedi giudiziari volti a contestare l’assetto prodotto dall’atto impugnato.

Non diversamente da quanto accade a seguito dell’accoglimento della questione incidentale di legittimità costituzionale, benché sulla base di una differente ricostruzione dei rapporti tra le diverse fonti coinvolte, è da ritenere che le disposizioni espunte dall’ordinamento per effetto della diretta applicabilità di norme comunitarie non possano più essere oggetto di applicazione, anche indiretta, nella definizione di rapporti ancora sub judice".

Il ricorso deve quindi essere accolto poiché fondato e, per l’effetto, va annullato il provvedimento impugnato.

Sussistono tuttavia giuste ragioni per compensare integralmente fra le parti le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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