Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 04-05-2011) 28-07-2011, n. 30091

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

B.F. è stato condannato per il reato di bancarotta fraudolenta documentale dalla Corte d’Appello di Potenza, in conferma della sentenza emessa in primo grado dal tribunale di Matera, perchè, in qualità di legale rappresentante dell’impresa societaria "Alderi s.r.l.", fallita in data (OMISSIS), sottraeva le scritture contabili al fine di procurare a se o ad altri ingiusto profitto e di arrecare pregiudizio ai creditori.

Sulla affermazione dell’imputato di essere una semplice testa di legno, la Corte aveva ritenuto non provata detta circostanza e comunque ritenuto che ciò non avrebbe escluso la responsabilità del B., gravato comunque di un dovere di vigilanza e di controllo.

Contro la predetta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il B.: con il primo motivo deduce illogicità della motivazione in ordine all’omessa rinnovazione parziale del dibattimento, che sarebbe servita a far emergere la qualità di mero amministratore formale del B..

Con il secondo motivo, deduce inesistenza di motivazione sull’esistenza del dolo in capo all’imputato, sostenendo che, al più, il B. potrebbe essere ritenuto responsabile del meno grave reato di bancarotta documentale semplice (2171. fall.).

Per i suddetti motivi chiede la cassazione della sentenza.

Motivi della decisione

I due motivi di ricorso sono strettamente collegati, in quanto l’eventuale accertamento del ruolo solo formale del B. all’interno della società, per il quale l’odierno ricorrente aveva già chiesto supplemento istruttorio (rigettato dalla corte di Potenza), esplica evidenti effetti sulla qualificazione della sua condotta, ai fini della sussistenza del reato di bancarotta documentale semplice o fraudolenta.

La differenza fra le ipotesi previste dalla L. Fall., art. 216, comma 1, n. 2, e art. 217 cpv., risiede principalmente nella modalità con cui si atteggia l’elemento soggettivo. Nel primo caso – salva l’ipotesi di cui all’ultimo periodo, per la quale è ritenuto sufficiente il dolo generico (cfr. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 21872 del 25/03/2010 Ud., Rv. 247444: "L’integrazione del reato di bancarotta fraudolenta documentale di cui alla seconda ipotesi dell’ari 216, comma primo n. 2, L. fall, richiede il dolo generico, ossia la consapevolezza che la confusa tenuta della contabilità renderà o potrà rendere impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio, in quanto la locuzione "in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari "connota la condotta e non la volontà dell’agente, sicchè è da escludere che essa configuri il dolo specifico") – il dolo è specifico, ossia l’autore della condotta mira ad uno scopo ben preciso, che è quello di procurare a sè o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori; nel caso previsto dall’art. 217, invece, è richiesta solo la volontarietà della condotta (o, nel caso di reato omissivo per mancato controllo, la conoscenza della condotta altrui) ed è anche sufficiente la semplice colpa. (Per la punibilità della bancarotta documentale semplice anche in caso di semplice colpa, si veda Cassazione penale, sez. 1^, 31 maggio 2001, n. 27048).

L’art. 2392 c.c., anche nella nuova formulazione, fissa un principio di ordine generale, secondo cui l’amministratore deve vigilare sulla gestione ed impedire il compimento di atti pregiudizievoli, oltre che attenuarne le conseguenze dannose. Se ne inferisce una posizione di garanzia del bene giuridico penalmente tutelato, con il corollario, ineludibile, che in capo agli amministratori si profila la responsabilità alla stregua dell’art. 40 cpv. c.p.c., se i detti obblighi siano stati disattesi.

Questa stessa sezione ha già affermato non solo che gli amministratori formali della società rispondono penalmente alla stregua del paradigma normativo di cui all’art. 40 cpv. c.p.c., (omissione di impedimento dell’evento in dipendenza dall’obbligo di vigilanza), in concorso con l’amministratore di fatto, per gli illeciti commessi dallo stesso, ma anche che ad integrare il dolo dell’amministratore legale è sufficiente la generica consapevolezza che il secondo compie una delle condotte indicate nella L. Fall., art. 216, senza che sia necessario che tale consapevolezza investa i singoli episodi delittuosi, potendosi configurare l’elemento soggettivo sia come dolo diretto, che come dolo eventuale Cassazione penale, sez. 5^, 19 giugno 2008, n. 38712, CED 242022; conf. sez. 5, 01/07/2002, n. 29896).

Se non è dubbia, nella giurisprudenza di questa Corte, la responsabilità per omissione dell’amministratore di diritto che non abbia compiutamente adempiuto i doveri di salvaguardare l’integrità del patrimonio sociale ( art. 2394 c.c.), di vigilare sul generale andamento della gestione, di adoperarsi per impedire il compimento di atti pregiudizievoli ed eliminarne o attenuarne le conseguenza dannose ( art. 2392 c.c.) (cfr. Cass. sez. 5^, 27 maggio 1996, Perelli, rv 205058), dal punto di vista soggettivo si richiede almeno la generica consapevolezza della condotta di sottrazione attuata dall’amministratore effettivo e tale consapevolezza non può essere semplicemente desunta dal fatto che il soggetto abbia acconsentito a ricoprire formalmente la carica di amministratore (Cass. Sez. 5^, 26 novembre 1999, Dragomir, rv. 215199; Sez. 5^, 20 ottobre 1994, De Focatiis, rv 199876); dunque, il profilo oggettivo della responsabilità dell’amministratore di diritto può essere certamente ancorato all’art. 40 c.p., ma il profilo soggettivo della sua responsabilità va accertato caso per caso, valutando il significato probatorio dell’intero contesto della sua azione (Cassazione penale, sez. 5^, 05 maggio 2009, n. 31142) ed accertando se l’amministratore di diritto era consapevole delle altrui pratiche sottrattive e delle finalità ulteriori perseguite con tali condotte, ovvero semplicemente aveva accettato il rischio – omettendo ogni controllo – che l’amministratore di fatto sottraesse i libri contabili.

Tornando alla fattispecie oggi in discussione, si prende atto che il ricorrente non contesta la sussistenza oggettiva del reato contestato, bensì la sua compartecipazione soggettiva; in particolare, sostiene il ricorrente che l’amministratore di diritto, quale garante del bene giuridico penalmente tutelato dalla L. Fall., artt. 216 e 217, possa rispondere del reato commesso dall’amministratore di fatto solo in quanto sia riscontrabile nei suoi confronti il dolo tipico del delitto commesso.

Si pone, dunque, la complessa problematica della compatibilita del dolo eventuale con il dolo specifico, ossia se il dolo eventuale possa essere solo generico (e cioè la mera accettazione del rischio che si verifichi un determinato evento), ovvero se possa caratterizzare anche un reato di dolo specifico. Ritiene questa Corte – conformandosi ai precedenti di legittimità (Cassazione penale, sez. 3^, 12 marzo 2008, n. 15633; Cassazione penale, sez. 6^, 27 giugno 2007, n. 35814; Cassazione penale, sez. 2^, 06 giugno 2007, n. 25436 – che la specificità del dolo, che richiede la funzionalità della condotta ad un determinato evento ulteriore, faccia propendere per la soluzione negativa; ed in effetti nei reati a dolo specifico l’autore non solo vuole l’evento oggettivo, ma la sua volontà è diretta in modo specifico a raggiungere, attraverso quell’evento, una finalità ulteriore. Nel dolo eventuale, invece, l’autore semplicemente si rende conto che dalla sua condotta può verosimilmente verificarsi un determinato evento, e pertanto accetta il rischio dell’alta probabilità di verificazione; ma proprio perchè non è direttamente voluto l’evento principale, non si può nemmeno dire che quest’ultimo sia voluto dall’agente come tramite per il raggiungimento della finalità specifica ed ulteriore richiesta dalla norma penale. Dunque, il B. – qualora fosse accertata la sua qualifica di amministratore esclusivamente formale – potrebbe essere ritenuto responsabile del reato di cui all’articolo 216 della legge fallimentare solo ove si ritenesse non solo che egli era consapevole della sottrazione, bensì anche che avesse contezza dello scopo che l’autore materiale del reato (i.e. l’amministratore di fatto) si prefiggeva con la sua condotta.

Da quanto esposto, e considerato che la sentenza non motiva in modo adeguato sia sulla corrispondenza tra la qualifica formale e quella sostanziale del B. all’interno della società, sia, soprattutto, in ordine all’elemento soggettivo dell’odierno ricorrente in relazione alla sottrazione delle scritture contabili, consegue l’annullamento ed il rinvio alla corte d’appello di Catanzaro per i necessari approfondimenti della motivazione.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata, con rinvio alla corte d’appello di Catanzaro per nuovo esame.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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