T.A.R. Toscana Firenze Sez. II, Sent., 29-08-2011, n. 1332

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato il 5 e depositato il 18 giugno 2009, la A.A. S.r.l. (già A.S. S.r.l.), conduttrice di un fondo di circa 3000 mq ubicato all’interno del sito di interesse nazionale di Massa Carrara, proponeva impugnazione avverso il decreto del 2 marzo 2009, adottato dal Ministero dell’Ambiente all’esito della conferenza di servizi decisoria relativa alla bonifica del predetto S.I.N., con cui, rilevata la situazione di inquinamento della falda idrica sottostante all’area in questione, le era stato ordinato di porre in essere immediate misure di messa in sicurezza di emergenza consistenti nella realizzazione di una serie di pozzi di emungimento e nel successivo trattamento delle acque così captate, in modo da impedire il diffondersi della contaminazione verso l’esterno, nonché di presentare entro trenta giorni un progetto di bonifica della falda. La società ricorrente, ripercorse in fatto le vicende del fondo, interessato fino al 1990, e per oltre cinquant’anni, da attività di lavorazione del carbon coke e successivamente sottoposto ad una bonifica che non aveva tuttavia coinvolto la falda acquifera, si affidava in diritto a tre motivi e concludeva per l’annullamento dell’atto impugnato, previa sospensione dell’efficacia.

Costituitosi in giudizio il Ministero dell’Ambiente, unitamente a quelli dello Sviluppo Economico e della Salute, con ordinanza del 2 – 3 luglio 2009 il collegio accordava la misura cautelare richiesta.

Nel merito, la causa veniva discussa e trattenuta per la decisione nella pubblica udienza del 14 aprile 2011, preceduta dal deposito di documenti e memorie difensive.

Motivi della decisione

La società A.A. S.r.l., già A.S. S.r.l., impugna il decreto direttoriale del 2 marzo 2009 con cui il Ministero dell’Ambiente, approvando ai sensi dell’art. 14ter co. 6bis e 9 della legge n. 241/90 le prescrizioni stabilite dalla conferenza di servizi decisoria del 10 febbraio precedente, le ha ordinato di adottare immediate misure di messa in sicurezza di emergenza e di procedere, successivamente, alla presentazione di un progetto di bonifica relativo alle acque di falda sottostanti l’area demaniale ove la predetta ricorrente svolge la propria attività. Come accennato in narrativa, l’area in questione è compresa all’interno del sito di interesse nazionale (S.I.N.) di Massa Carrara, individuato ai fini della bonifica a norma dell’art. 252 del D.Lgs. n. 152/06; l’ordine di messa in sicurezza e bonifica non è peraltro indirizzato alla sola ricorrente, ma riguarda, contestualmente, i titolari delle diverse attività operanti nella medesima area.

Con il primo motivo di gravame, la società ricorrente lamenta che il Ministero avrebbe omesso l’istruttoria finalizzata all’individuazione dei responsabili e delle fonti dell’inquinamento, limitandosi ad addossare l’onere di bonifica all’attuale utilizzatore del terreno senza, peraltro, curarsi di instaurare un corretto contraddittorio procedimentale. La ricorrente contesta, in ogni caso, la riferibilità a sé delle sostanze rinvenute nelle acque di falda, che sostiene provengano dall’attività svolta sul fondo dal precedente proprietario, la Italiana Coke.

Con il secondo motivo, è dedotta la contraddittorietà ed illogicità delle conclusioni raggiunte dalla conferenza di servizi del 10 febbraio 2009, le quali non terrebbero in alcun conto i risultati dello studio affidato all’ICRAM (ora ISPRA) a seguito dell’accordo di programma intervenuto il 28 maggio 2007 fra lo stesso Ministero dell’Ambiente, la Regione Toscana, la Provincia di Massa e Carrara ed i Comuni di Massa e Carrara: detto studio, diretto a individuare una soluzione unitaria e coordinata per la bonifica dell’intero S.I.N. attraverso la realizzazione di una rete di pozzi di emungimento ed un unico depuratore, non prevedrebbe, infatti, la realizzazione di alcun pozzo sul terreno oggi occupato dalla ricorrente. La ricorrente si duole, inoltre, della genericità delle prescrizioni ricevute, le quali non chiarirebbero adeguatamente la tipologia di interventi di m.i.s.e. da eseguire, oltre a non indicare le ragioni della mancata adesione alle conclusioni di cui al sopra citato studio ICRAM; e le medesime critiche vengono estese alla prescrizione afferente la trasmissione del progetto di bonifica della falda.

Con il terzo motivo, infine, la A.A. ribadisce la contraddittorietà dell’operato del Ministero, nella misura in cui l’urgenza degli interventi di messa in sicurezza viene prospettata, nel provvedimento impugnato, sulla scorta di dati conosciuti dall’amministrazione sin dall’anno 2004. L’iniziativa ministeriale sarebbe, inoltre, violativa del precetto di cui all’art. 97 Cost., rappresentando un inutile aggravio del procedimento alla luce sia del più volte menzionato studio di fattibilità.

I motivi, che saranno esaminati congiuntamente, sono fondati.

Il sistema delineato dagli artt. 242 e segg. del D.Lgs. n. 152/06, confermando il previgente assetto normativo, pone a carico dell’effettivo responsabile della contaminazione gli obblighi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati, obblighi il cui adempimento da parte dei soggetti interessati, ma non responsabili, è configurato come una semplice facoltà, al punto che, nel caso di mancata individuazione del responsabile, la legge stabilisce che le opere di messa in sicurezza e di bonifica non possano venire coattivamente addossate a terzi soggetti pur interessati, ma vadano realizzate dalle amministrazioni competenti; queste ultime sono assistite, per il recupero delle spese sostenute, da un onere reale e da un privilegio speciale sul fondo, che tuttavia – ad ulteriore conferma del collegamento necessario tra responsabilità dell’inquinamento e obbligo di bonifica – sono esercitabili nei confronti del proprietario incolpevole solo a seguito di provvedimento motivato che giustifichi, tra l’altro, l’impossibilità di accertare l’identità del soggetto responsabile, ovvero che giustifichi l’impossibilità di esercitare azioni di rivalsa nei confronti del medesimo soggetto, ovvero la loro infruttuosità.

Tale sistema risponde, com’è noto, al principio "chi inquina paga" di derivazione europea, che consiste nell’imputazione dei costi ambientali al soggetto che ha causato la compromissione ecologica illecita (fra le molte, cfr. Cons. Stato, sez. V, 16 giugno 2009, n. 3885). Nella fattispecie, al contrario, le indagini circa il superamento dei parametri di legge per manganese, nichel, arsenico, solfati, ammoniaca e benzene, riscontrato nella falda sottostante l’area su cui la ricorrente opera, non risultano accompagnate da adeguati approfondimenti in ordine alla effettiva imputabilità della contaminazione all’attività di A.A. S.r.l., a maggior ragione se si tiene conto del fatto che l’intera area del S.I.T. – e non soltanto la porzione occupata dalla ricorrente – è interessata dalla presenza degli stessi e di altri inquinanti. Le conclusioni raggiunte dalla conferenza di servizi in punto di accertamento della responsabilità non sono, dunque, suffragate da adeguata istruttoria, e finiscono per risolversi in una inammissibile equazione che dalla detenzione del fondo, passando per l’attività ivi esercitata, fa discendere l’obbligo di bonifica.

Altrettanto viziata risulta la determinazione del Ministero di imporre l’adozione di misure di messa in sicurezza d’emergenza volte ad impedire la diffusione della contaminazione della falda verso l’esterno. La scelta di fare luogo al confinamento della falda frazionato per ciascuno dei lotti ricadenti all’interno del S.I.T. di Massa Carrara contrasta, invero, con i risultati dello studio elaborato dall’ICRAM per conto dello stesso Ministero, secondo il quale, escluso il ricorso ad elementi di confinamento fisico, è possibile individuare per la m.i.s.e. una soluzione unitaria relativamente all’intero sito, attraverso la realizzazione di un unico sistema di confinamento idraulico; e poiché il primo punto all’ordine del giorno della conferenza di servizi decisoria del 10 febbraio 2009 attiene proprio alla discussione ed alla presa d’atto dei contenuti dello studio eseguito dall’ICRAM, in difetto di motivazione sul punto non è dato comprendere per quale ragione la conferenza abbia poi preferito seguire un’opzione in palese contrasto con le evidenze scientifiche disponibili ed, oltretutto, suscettibile di interferire con la soluzione prospettata come ottimale per l’intero S.I.T.. Si aggiunga che, ancora con riferimento allo studio ICRAM, nessuno dei pozzi che dovrebbero concorrere a formare l’unica barriera idraulica per la messa in sicurezza del S.I.T. cade all’interno dell’area occupata dalla ricorrente, dovendosi perciò escludere che gli obblighi imposti a quest’ultima possano trovare una qualche legittimazione sotto l’aspetto del contributo individuale alla più ampia opera di m.i.s.e. del sito di interesse nazionale.

L’impugnazione è altresì fondata relativamente alle censure con cui la ricorrente si duole di non essere stata messa in condizione di partecipare ai rilievi, dai quali è emersa l’esistenza della situazione di inquinamento della falda. Per consolidata giurisprudenza, pienamente condivisa dalla Sezione, nei procedimenti in materia di bonifica ambientale ai destinatari dei provvedimenti assunti dall’amministrazione deve essere infatti consentita la preventiva partecipazione al relativo procedimento, ivi compresa l’esecuzione degli accertamenti analitici, da eseguirsi in contraddittorio (cfr. T.A.R. Toscana, sez. II, 3 marzo 2010, n. 594; id. 6 maggio 2009, n. 762). D’altra parte, i Ministeri resistenti non hanno dato prova – ai sensi e per gli effetti dell’art. 21octies della legge n. 241/90 – che, se anche la ricorrente avesse partecipato ai rilievi, il contenuto del provvedimento finale non avrebbe potuto essere in concreto diverso.

In forza di tutto quanto precede, ed assorbito ogni residuo profilo di doglianza, il ricorso va dunque accolto con conseguente annullamento dell’impugnato ordine di m.i.s.e. e di bonifica, nonché degli atti ad esso presupposti e, segnatamente, del verbale della conferenza di servizi decisoria del 10 febbraio 2009, nella parte in cui si riferisce alla posizione della società ricorrente.

Le spese di lite seguono la soccombenza delle amministrazioni resistenti, e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso e per l’effetto annulla gli atti e provvedimenti impugnati.

Condanna le amministrazioni resistenti alla rifusione delle spese processuali, che liquida in complessivi euro 3.000,00, oltre al rimborso forfettario delle spese generali, ad I.V.A. e C.P.A. come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 14 aprile 2011 con l’intervento dei magistrati:

Maurizio Nicolosi, Presidente

Bernardo Massari, Consigliere

Pierpaolo Grauso, Primo Referendario, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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