T.A.R. Toscana Firenze Sez. II, Sent., 29-08-2011, n. 1315

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La società ricorrente svolge un’attività di trasformazione e commercializzazione di prodotti chimici ottenuti anche attraverso il recupero e il trattamento di rifiuti speciali (pericolosi e non) che, dopo essere stati sottoposti a processi chimicofisici di trasformazione, vengono ceduti per il reimpiego in altri processi produttivi.

A tal fine la società ha ottenuto l’iscrizione in forma semplificata nel registro istituito ai sensi del d.m. 12 giugno 2002, n. 161, relativo alle imprese che effettuano il recupero di rifiuti pericolosi. In particolare, la deducente aveva conseguito l’iscrizione per le categorie 5.2.3 lett. a) e 5.2.3 lett. c) dell’allegato al citato d.m., ovvero per l’attività di recupero del solfato e del cloruro ferroso ai fini del reimpiego nell’industria e nella depurazione di acque industriali.

A seguito dell’avvio di un procedimento di revisione delle categorie di iscrizione alla deducente veniva mantenuta solo l’iscrizione nella prima delle sopra menzionate categorie.

Conseguentemente la deducente inoltrava alla Sezione regionale dell’Albo dei Gestori ambientali, nel frattempo individuato come autorità competente in materia di iscrizioni per il cd. regime semplificato, la richiesta di ripristinare la precedente abilitazione.

Dopo avere comunicato, sulla scorta di un parere reso dal Ministero dell’ambiente, che la società avrebbe potuto proseguire la sua attività esclusivamente con le modalità e per i quantitativi previsti al punto 5.2.3 lett. a) del d.m. n. 161/2002, con l’atto indicato in epigrafe la Provincia di Pisa provvedeva a formalizzare il rinnovo dell’iscrizione al registro delle imprese abilitate solo per tale ultima categoria, precludendole così lo svolgimento dell’attività di recupero di cui alla categoria 5.2.3 lett. c), a partire dal 17 agosto 2009.

Contro tale atto ricorre la società in intestazione chiedendone l’annullamento, previa sospensione, con vittoria di spese e deducendo i motivi che seguono:

1. Violazione e falsa applicazione dell’articolo 216 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e dei principi generali in tema di disciplina delle attività di recupero dei rifiuti pericolosi. Violazione e falsa applicazione dei decreti del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare del 5 aprile 2006, n. 186 e 5 febbraio 1998. Violazione e falsa applicazione del d.m. del Ministero dell’ambiente n. 161/2002 e delle "Norme tecniche generali per il recupero di materia dei rifiuti pericolosi" contenute nell’allegato 1, sub allegato 1 e nell’allegato 2 del citato decreto.

Eccesso di potere per falso presupposto di fatto e diritto. Difetto di presupposti. Eccesso di potere per illogicità ed ingiustizia manifesta. Eccesso di potere per erroneità e difetto della motivazione.

2. Violazione e falsa applicazione dell’art. 19 della l. n. 241/1990 e dei principi generali in tema di dichiarazione di inizio attività. Violazione e falsa applicazione degli artt. 214 e 216 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152. Violazione e falsa applicazione dei decreti del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare del 5 aprile 2006, n. 186 e 5 febbraio 1998. Violazione e falsa applicazione del d.m. del Ministero dell’ambiente n. 161/2002 e delle "Norme tecniche generali per il recupero di materia dei rifiuti pericolosi" contenute nell’allegato 1, sub allegato 1 e nell’allegato 2 del citato decreto.

Si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata opponendosi all’accoglimento del gravame.

Con ordinanza n. 793 depositata il 1 ottobre 2009 veniva accolta la domanda incidentale di sospensione dell’efficacia dell’atto impugnato.

Alla pubblica udienza del 30 marzo 2011 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

Motivi della decisione

Con il ricorso in esame viene impugnato l’atto in epigrafe con cui la Provincia di Pisa, nel rinnovare l’iscrizione della società ricorrente al "registro delle imprese per attività di recupero rifiuti", non ha consentito l’iscrizione della medesima con riferimento alla categoria 5.2.3 lett. c), di cui all’allegato 1 del DPR n. 161/2002.

Viene, altresì, contestato il parere reso nell’occasione, su richiesta della Provincia, dalla Direzione generale della qualità della vita del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.

Il ricorso non è suscettibile di accoglimento.

Con il primo motivo la ricorrente si duole della violazione dell’art. 216 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, dei decreti del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare del 5 aprile 2006, n. 186 e 5 febbraio 1998, nonché del d.m. del Ministero dell’ambiente n. 161/2002, con particolare riguardo alle "Norme tecniche generali per il recupero di materia dei rifiuti pericolosi" contenute nell’allegato 1, sub allegato 1 dello stesso decreto.

Ciò in quanto la normativa sopra rubricata, ed in particolare quella contenuta nell’allegato 1, sub allegato 1 e nell’allegato 2, non individuerebbe un campo di applicazione soggettivo e riservato per chi svolge l’attività di cui alla lettera c), bensì i possibili destinatari dei prodotti ottenuti a seguito del trattamento di recupero, ovvero l’attività che può essere svolta a seguito del trattamento dei suddetti rifiuti. In altri termini, la disposizione non indica chi può svolgere l’attività di recupero, bensì i soggetti ai quali possono essere destinati i suddetti prodotti. Ne conseguirebbe che l’attività di recupero dei solfati e cloruri ferrosi come reagenti per la depurazione di acque industriali non può essere riservata ai soli gestori degli impianti di depurazione, ma deve ritenersi, al contrario, consentita anche alle imprese che, come la Impec s.r.l., siano in grado di trattare simili categorie di rifiuti per poi destinarli esclusivamente alla fornitura dei gestori dei predetti impianti.

La tesi non può essere seguita.

L’art. 216 del Codice dell’ambiente detta norme per l’esercizio, con procedure semplificate, delle operazioni di recupero dei rifiuti attraverso l’iscrizione in un apposito registro, tenuto dalla provincia, delle imprese che effettuano la comunicazione di inizio di attività, e che avviene entro il termine di 90 giorni da tale comunicazione.

Quest’ultima deve contenere, tra l’altro, l’indicazione del rispetto delle norme tecniche e delle condizioni specifiche relative al tipo di rifiuto trattato; il possesso dei requisiti soggettivi richiesti per la gestione dei rifiuti; le attività di recupero che si intendono svolgere e le caratteristiche merceologiche dei prodotti derivanti dai cicli di recupero.

"La provincia, qualora accerti il mancato rispetto delle norme tecniche e delle condizioni di cui al comma 1, dispone, con provvedimento motivato, il divieto di inizio ovvero di prosecuzione dell’attività, salvo che l’interessato non provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro il termine e secondo le prescrizioni stabiliti dall’amministrazione" (art. 216, comma 4).

Il decreto del Ministero dell’ambiente 12 giugno 2002, n. 161, contenente il "Regolamento attuativo degli artt. 31 e 33 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22", (che all’epoca disciplinava l’individuazione delle attività di trattamento recupero dei rifiuti pericolosi ammessi alle procedure semplificate, ora riprodotti all’articolo 116 del d.lgs. n. 152/2006) all’allegato 1, sub allegato 1, con riferimento alla tipologia di materiale "soluzioni di solfato ferroso e cloruro ferroso; soluzioni da incisione dei circuiti stampati" ammette tra le attività di recupero: "5.2.3 a) industria chimica e siderurgica per la produzione di: ossidi e sali di ferro, sali di rame, di ammoniaca e di acido cloridrico; b) rigenerazione acidi e produzione e rigenerazione di soluzioni per incisione di circuiti stampati; c) utilizzo come reagente per depurazione acque industriali, se esente da elementi non abbattibili dall’impianto di depurazione".

Al fine di interpretare la suddetta disposizione, la Provincia di Pisa indirizzava al Ministero dell’ambiente un quesito che la Direzione generale per la qualità della vita del Ministero, con nota del 30 aprile 2009, esitava precisando che l’attività di recupero di cui al punto 5.2.3, lett. c) "riguarda, invece, gli impianti di depurazione dei reflui per i quali l’allegato 2 fissa come quantità massima ammissibile 3600 t/anno" e concludendo che "si ritiene pertanto che l’impianto di che trattasi possono usufruire del regime agevolato solo qualora gestisco annualmente solfato ferroso e cloruro ferroso nella quantità massima di 1700 t/anno".

Conseguentemente, con il provvedimento impugnato, la provincia di Pisa invitava la società ricorrente a proseguire l’attività unicamente con le modalità e per i quantitativi previsti al punto5.2.3, lett. a).

Nella fase cautelare nel giudizio, la sezione aveva ritenuto di accogliere la domanda incidentale di sospensione di detto provvedimento a motivo dell’insufficienza delle ragioni esplicitate dall’amministrazione per sorreggere il diniego al rilascio dell’autorizzazione di cui trattasi.

Nondimeno, ad una lettura più attenta della norma, il Collegio è dell’avviso che la locuzione utilizzata dal più volte citato decreto ministeriale, ossia "c) utilizzo come reagente per depurazione acque industriali, se esente da elementi non abbattibili dall’impianto di depurazione", non possa essere interpretata nel senso divisato dalla ricorrente.

La finalità perseguita con la procedura semplificata di iscrizione all’albo delle imprese che trattano, ai fini del loro utilizzo, i rifiuti pericolosi è quella di consentire, nei rigorosi limiti precisati, alcune attività di autosmaltimento e di recupero dei rifiuti, specificamente individuate, con l’esonero da procedure lunghe e complesse come quelle che riguardano il rilascio dell’autorizzazione ordinaria.

Per comprendere appieno la portata della normativa nazionale è utile rammentare che essa è stata introdotta in recepimento dell’art. 11, comma 1, della direttiva 75/442/CE (come modificata dalla direttiva CE 91/156) che stabilisce: "possono essere dispensati dall’autorizzazione di cui all’art. 9 o all’art. 10: a) gli stabilimenti o le imprese che provvedono essi stessi allo smaltimento dei propri rifiuti nei luoghi di produzione e b) gli stabilimenti o le imprese che recuperano rifiuti", nonché in forza dell’art. 3, comma 2 della direttiva CE 91/689 secondo cui "…uno Stato membro può dispensare dalle autorizzazioni previste dall’art. 10 della dir. CE 91/156 gli stabilimenti o le imprese che provvedono al recupero dei rifiuti pericolosi: qualora detto Stato membro adotti norme generali che fissano i tipi e le quantità di rifiuti in questione e le condizioni specifiche (valori limite di sostanze pericolose contenute nei rifiuti, valori limite di emissione, tipo di attività)…".

Ne scaturisce, ad avviso del Collegio, da un lato la tassatività e tipicità delle operazioni di recupero per le quali la procedura semplificata è consentita, dall’altro l’opzione del legislatore comunitario e nazionale in favore dello smaltimento (vedasi in proposito l’art. 215 cod. amb. che espressamente parla di "autosmaltimento") e del recupero come fasi di gestione intermedie finalizzate ad immettere il prodotto ottenuto dal processo di recupero come sostitutivo della materia prima nel ciclo produttivo, fatte salve le eccezioni in cui il rifiuto recuperato può essere commercializzato.

Dunque, tenuto conto del dettato normativo come sopra interpretato, e del parere reso dal Ministero dell’ambiente, trasmesso in copia alla ricorrente, non può dirsi sussistente il lamentato difetto di motivazione.

Il secondo motivo si incentra ancora sulla violazione degli artt. 214 e 216 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e dell’art. 19 della l. n. 241/1990 nel presupposto che l’attività interdetta alla ricorrente doveva comunque ritenersi consentita per effetto del decorso dei novanta dalla comunicazione di inizio di attività alla provincia, come stabilito espressamente dal comma 1 dell’art. 216.

L’assunto non coglie nel segno.

La norma appena citata precisa, infatti, che l’esercizio delle operazioni di recupero dei rifiuti può essere intrapreso, decorsi novanta giorni dalla comunicazione di inizio di attività alla provincia, "a condizione che siano rispettate le norme tecniche e le prescrizioni specifiche di cui all’articolo 214, commi 1, 2 e 3"

Inoltre, il comma 4 dello stesso art. 216 dispone che "La provincia, qualora accerti il mancato rispetto delle norme tecniche e delle condizioni di cui al comma 1, dispone, con provvedimento motivato, il divieto di inizio ovvero di prosecuzione dell’attività, salvo che l’interessato non provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro il termine e secondo le prescrizioni stabiliti dall’amministrazione".

Diversamente, quindi, dalla generale previsione contenuta nell’art. 19, comma 3, l. n. 241/1990 l’amministrazione non è temporalmente vincolata all’adozione di provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività" qualora accerti la carenza dei requisiti e dei presupposti stabiliti dall’art. 216 e dalla normativa di dettaglio ad esso connessa.

Se il mero decorso del termine di 90 giorni fosse, come inteso dalla ricorrente, preclusivo della possibilità di intervento della provincia, ne scaturirebbe un’inammissibile ampliamento dei poteri del privato anche in assenza dei presupposti per l’esercizio di quella che resta, in ogni caso, un’attività pericolosa.

La predetta interpretazione è confermata dall’orientamento del giudice penale secondo cui integra il reato di cui all’art. 256, comma 4, d.lgs. n. 152/2006 il mancato rispetto delle norme tecniche e delle prescrizioni specifiche previste per l’esercizio delle operazioni di recupero dei rifiuti in forma semplificata, anche nel caso in cui la Provincia non abbia svolto alcun controllo, né siano state dal medesimo Ente fissate specifiche prescrizioni e scadenze (Cass. pen., sez. III, 1 dicembre 2010, n. 654).

E d’altro canto, neppure può sostenersi che l’atto impugnato avrebbe dovuto essere preceduto da una diffida dell’Amministrazione a conformare l’attività svolta alla normativa vigente entro un dato termine, atteso che, nella fattispecie, il divieto si riconnette a situazioni di irregolarità non sanabili con l’intervento del privato, ma precluse in radice in ragione della natura dell’attività stessa (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 3 luglio 2009, n. 3709).

La censura è, quindi, infondata.

Per le considerazioni che precedono il ricorso deve, pertanto, essere respinto.

La società ricorrente ha proposto anche una domanda di risarcimento dei danni asseritamente patiti in conseguenza del provvedimento contestato.

Si rileva, in primo luogo, che, per ammissione della stessa interessata, gli effetti pregiudizievoli del provvedimento risultano quasi interamente elisi dalla sospensione dello stesso, pronunciata in sede cautelare dal Tribunale.

In ogni caso, l’affermata legittimità dell’atto da cui deriverebbe il danno lamentato, esclude che possa ritenersi la sussistenza di responsabilità in capo all’Amministrazione.

E’ noto, infatti, che ai fini dell’ammissibilità dell’azione per risarcimento dei danni per la lesione di interessi legittimi, l’accertamento dell’illegittimità dell’atto adottato dall’Amministrazione, è presupposto necessario, anche se non sufficiente, per la configurazione di una responsabilità, costituendo ulteriore passaggio necessario la prova dell’esistenza di un danno, che deve essere fornita dall’interessato (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. V, 11 maggio 2010 n. 2819; id., 6 agosto 2001 n. 4239; T.A.R. Lazio, sez. III, 07 giugno 2010, n. 15699).

L’azione risarcitoria va, pertanto, respinta.

Le spese di giudizio, tenuto conto della novità della questione e della complessità della vicenda, possono essere integralmente compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Respinge la domanda di risarcimento del danno.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 30 marzo 2011 con l’intervento dei magistrati:

Maurizio Nicolosi, Presidente

Bernardo Massari, Consigliere, Estensore

Pierpaolo Grauso, Primo Referendario
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *