Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 15-07-2011) 29-07-2011, n. 30246 Lettura di atti, documenti, deposizioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Roma con sentenza in data 11 febbraio 2010 condannava A.G. n. in (OMISSIS) – previa concessione delle attenuanti generiche equivalenti alla recidiva specifica ed infraquinquennale, alla pena di anni sei e mesi sei di reclusione ed Euro 16000,00 di multa per i reati unificati (capo B) di ricettazione di una autovettura, nonchè (capo C) di lesioni personali e (capo D) di sfruttamento della prostituzione minorile di T.G. (fatti commessi tra inizio dicembre 2008 e il 16.12.2008); invece lo assolveva dalla imputazione di violenza sessuale in danno della predetta T..

La sentenza di condanna evidenziava come prove le dichiarazioni, ritenute attendibili e non prive di riscontri, rese dalle parti offese A. – lesioni – e T. – sfruttamento della prostituzione nonchè da M.L.; dichiarazioni tutte acquisite ex art. 512 c.p.p..

Le attività investigative – riferiva il tribunale – avevano tratto origine dalla querela sporta dallo A. per l’episodio contestato al capo c) della rubrica, verificatosi il 13 dicembre 2008, documentato dal certificato di pronto soccorso (primo riscontro esterno) e denunciato alla polizia giudiziaria il 16 successivo.

A. si recava dai Carabinieri unitamente al connazionale M. e le dichiarazioni rese da entrambi davano impulso al servizio di appostamento serale conclusosi con il fermo di A. G..

In particolare, il M. riferiva ai CC di essere preoccupato per la sorte del figliastro minorenne, allontanatosi dai familiari con la diciassettenne L. (figlia di C.M.) e notoriamente in compagnia dell’imputato, conosciuto col nome di " E.", che gestiva le donne che facevano le prostitute per strada.

In merito all’aggressione, A. precisava ai CC che L. era con " E." dentro una Golf di colore blu davanti al bar vicino alla metro (OMISSIS); sapendo che E. fa fare la vita di strada, la prostituzione, ad alcune ragazze, anche minorenni, si era preoccupato di allertare la madre della ragazza; dopo due giorni, incontrato E., era stato colpito con calci e pugni dall’imputato che chiedeva: "Che fai? Mi vendi? Perchè non ti sei fatto i fatti tuoi? Così mi mandi anche in galera"; per le percosse subite si recava all’ospedale romano (OMISSIS), dove i sanitari gli diagnosticavano un trauma cranio-facciale giudicato guaribile in giorni 5 s.c. come da cartella clinica di Pronto Soccorso, con ingresso alle ore 22,18 del (OMISSIS) 2008.

A seguito delle denunce sporte, i CC facevano contattare il menzionato " E." dal M. che, col pretesto di dover parlare delle vicende del figliastro, fissava un appuntamento sul Lungotevere San Paolo. Giunti sul posto, gli operanti trovavano A.G. in attesa, indicato dagli stessi denunciami come la persona conosciuta col nome di " E.".

L’imputato era vicino alla FIAT Punto targata (OMISSIS), oggetto della ricettazione ascritta al capo B); a bordo del veicolo, lato passeggero, era seduta la giovane T.G.; l’ A., dopo che i CC mostravano la paletta distintiva, si dava alla fuga in direzione della vettura, ma veniva bloccato ed identificato; gli accertamenti sull’automobile davano esito positivo poichè risultava inserita al terminale come veicolo oggetto di furto; la T., sprovvista di documenti, risultava minorenne in quanto nata il (OMISSIS), già segnalata in occasione di pregressa attività di meretricio e per un tentativo di furto commesso a Firenze; nella sua borsetta venivano sequestrati due preservativi.

2. Avverso questa pronuncia l’imputato proponeva appello chiedendo la derubricazione del reato di ricettazione in quello di furto.

Chiedeva inoltre l’assoluzione dalla imputazione di sfruttamento della prostituzione della minore, sull’assunto che le dichiarazioni della giovane non erano attendibili e comunque non era mai stata riferita alcuna azione di persuasione, induzione o violenza da parte sulla T., che aveva ammesso di svolgere volontariamente l’attività di prostituta.

Censurava la sentenza impugnata perchè contraddittoria laddove aveva assolto l’imputato dalla accusa di violenza sessuale, fondata sulle dichiarazioni della giovane, ma aveva poi condannato l’imputato per il reato ex art. 600 bis c.p., sempre sulla base delle dichiarazioni della giovane; infine la pena era eccessiva.

La Corte d’appello di Roma con sentenza del 19 novembre 2010 ha confermato la sentenza del Tribunale di Roma in data 11.02.2010. 3. Avverso questa pronuncia l’imputato propone ricorso per cassazione con un unico motivo.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è articolato in un unico motivo con cui il ricorrente censura la sentenza impugnata per mancanza o manifesta illogicità della motivazione e per travisamento dei fatti e delle risultanze processuali.

Deduce che la ricostruzione dei fatti effettuata dalla Corte distrettuale e prima ancora dal tribunale ha trovato quale unico fondamento sole congetture non supportate da riscontri fattuali concreti.

In particolare mancherebbe il riscontro esterno dell’attività di prostituzione della minore.

2. Il ricorso è inammissibile.

Il ricorrente svolge considerazioni di mero fatto che esprimono null’altro che un dissenso valutativo quanto all’apprezzamento delle risultanze probatorie.

Si tratta pertanto di una censura di merito inammissibile in sede di legittimità. 2.1. D’altra parte la corte d’appello ha diffusamente motivato in ordine al convincimento raggiunto quanto alla responsabilità dell’imputato non senza premettere che nessuna censura era stata sollevata con riferimento ai provvedimenti dibattimentali di acquisizione ex art. 512 c.p.p. delle dichiarazioni e denunce rese durante le indagini anche e soprattutto dalla minore T., nè tanto meno con riferimento alla utilizzazione in sentenza del contenuto di tali dichiarazioni, essendosi limitato l’appellante a svolgere considerazioni solo sulla attendibilità dei dichiaranti.

Questa Corte (ex plurimis Cass., sez. 6^, 25 febbraio 2011 – 10 marzo 2011, n. 9665) del resto ha più volte affermato che la sopravvenuta imprevedibile irreperibilità dei soggetti le cui dichiarazioni siano già state ritualmente acquisite in sede predibattimentale, e dei quali non possa dirsi provata la volontà di sottrarsi all’esame dibattimentale, rientra nei casi di "accertata impossibilità oggettiva" che derogano alla regola della formazione della prova nel contraddittorio delle parti, compatibile con la garanzie dell’art. 6, comma 3, lett. d), della C.E.D.U..

Correttamente pertanto la Corte d’appello ha ritenuto che tale materiale dichiarativo fosse valutabile dal giudice, come ritualmente acquisito al fascicolo dibattimentale di primo grado.

2.2. La Corte distrettuale poi si è fatta carico anche della censura di contraddittorietà della sentenza, dedotta come motivo d’appello d’appello dall’imputato e riproposta altresì nell’unico motivo di ricorso per cassazione, per aver assolto l’imputato dalla contestazione di violenza sessuale ai danni della T., e di averlo poi condannato per sfruttamento della prostituzione, sempre sulla base delle dichiarazioni della giovane.

La Corte ha chiarito che il Tribunale aveva ben spiegato le ragioni che lo avevano condotto ad assolvere l’imputato dal capo A) chiarendo che l’assoluzione dalla contestazione di violenza sessuale non discendeva dalla ritenuta non attendibilità della giovane, bensì dal fatto (pacifiche essendo state in quel contesto di convivenza le congiunzioni carnali, ammesse dall’imputato) che il mancato esame diretto della giovane non aveva consentito di sondare l’effettiva portata della condotta dell’imputato, in punto di effettiva violenta imposizione dei rapporti.

Sussisteva invece il riscontro esterno della attività di prostituzione della minore e della agevolazione della stessa da parte dell’imputato, così come narrato dalla giovane, che aveva reso accuse precise e circostanziate sullo sfruttamento della prostituzione ascrivibile all’ A. che l’accompagnava sul luogo del meretricio e poi tornava a riprenderla, consegnandogli parte dei proventi dell’attività di prostituzione.

Quella della Corte d’appello è quindi una valutazione di merito assistita da motivazione sufficiente e non contraddittoria, anzi puntuale ed esaustiva, sicchè il motivo di ricorso, che tale convincimento contesta, rimane circoscritto ad un’inammissibile censura in fatto.

3. Pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile.

Tenuto poi conto della sentenza 13 giugno 2000 n. 186 della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di Euro mille alla Cassa delle Ammende.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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