Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 14-07-2011) 29-07-2011, n. 30240

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 13 luglio 2010, la Corte d’Appello di Milano confermava la sentenza in data 17 marzo 2010 con la quale, a seguito di giudizio abbreviato, il G.I.P. di quella città condannava G.Z. per i reati di maltrattamenti in famiglia e sequestro di persona in danno della figlia minore e della convivente, nonchè di violenza sessuale in danno di quest’ultima.

Avverso tale pronuncia il predetto proponeva ricorso per cassazione, deducendo, con un unico motivo, il vizio di motivazione.

In particolare, rilevava che la Corte territoriale avrebbe riportato le considerazioni espresse dal giudice di prime cure senza pervenire ad una motivazione coerente rispetto alle risultanze probatorie acquisite, in quanto le dichiarazioni rese dalla persona offesa e dagli altri testimoni, valorizzate ai fini dell’affermazione di penale responsabilità, che riferivano su circostanze indirettamente apprese, risulterebbero contrastate dalle dichiarazioni di altri testi e dalle dichiarazioni rese dallo stesso imputato.

Difettavano inoltre, a suo dire, gli elementi costitutivi del reato di maltrattamenti in famiglia e della violenza sessuale.

Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile perchè basato su motivi manifestamente infondati.

Occorre premettere che la consolidata giurisprudenza di questa Corte ha inequivocabilmente chiarito che il controllo sulla motivazione demandato al giudice di legittimità resta circoscritto, in ragione della espressa previsione normativa, al solo accertamento sulla congruità e coerenza dell’apparato argomentativo con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo e non può risolversi in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti (si vedano ad esempio, limitatamente alla pronunce successive alle modifiche apportate all’art. 606 c.p.p. dalla L. n. 46 del 2006, Sez. 6 n. 10951, 29 marzo 2006; Sez. 6 n. 14054, 20 aprile 2006; Sez. 6 n. 23528, Sez. 3 n. 12110, 19 marzo 2009).

Ciò posto, deve rilevarsi, in primo luogo, che il ricorrente ripropone in questa sede questioni già sottoposte all’esame del giudice del gravame e da questi puntualmente affrontate e risolte.

Invero, la sentenza impugnata riporta nel dettaglio le risultanze del giudizio di primo grado delineando non soltanto la dinamica della vicenda ma anche le valutazioni effettuate dal giudice di prime cure in ordine alla rilevanza del materiale probatorio acquisito.

Esaminando poi i motivi di appello, incentrati sulla mancanza di prova circa la sussistenza dei fatti contestati e sul trattamento sanzionatorio, la Corte territoriale chiarisce in maniera pienamente convincente le ragioni per le quali doveva pervenirsi ad un giudizio di infondatezza dei motivi medesimi.

E così si precisava che le dichiarazioni della persona offesa, ex convivente dell’imputato, risultavano connotate da linearità e coerenza, assenza di intenti ritorsivi e mancanza di interessi specifici, posto che la predetta non aveva neppure ritenuto di costituirsi parte civile.

Puntuali riscontri alle predette dichiarazioni venivano rinvenuti nelle testimonianze rese dalla sorella della donna e dal nuovo fidanzato della stessa, il cui contenuto veniva illustrato ed esaminato con accuratezza.

L’attendibilità della persona offesa veniva ritenuta comprovata anche dalle dichiarazioni del datore di lavoro della donna, il quale indicava le date di assenza per ferie o malattia, queste ultime coincidenti con il periodo in cui la stessa, dopo essere stata violentemente percossa dall’imputato, si era rifugiata presso la sorella.

La Corte territoriale rinviene inoltre ulteriori elementi di riscontro anche nella documentazione relativa all’intervento, in una occasione, del personale di polizia e nelle dichiarazioni dei testi indicati dalla difesa, sull’attendibilità dei quali, peraltro, si era già speso il giudice di prime cure evidenziandone i limiti, anche rispetto alle ammissioni dello stesso imputato.

Alla accurata valutazione del compendio probatorio segue una altrettanto meticolosa analisi della qualificazione giuridica dei singoli episodi pervenendo ad una condivisibile valutazione di correttezza.

La sentenza impugnata, in definitiva, risulta supportata da una tenuta logica ed una solidità strutturale che le consentono di superare indenne il vaglio di legittimità cui è stata sottoposta sulla base di un ricorso la cui infondatezza risulta, pertanto, di macroscopica evidenza e la cui finalità, pur a fronte del denunciato vizio d motivazione, è evidentemente quella di prospettare una lettura alternativa dei dati processuali acquisiti ed impeccabilmente valutati dai giudici del gravame.

Ne consegue la dichiarazione di inammissibilità e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonchè al versamento in favore della Cassa delle Ammende, di una somma determinata, equamente, in Euro 1.000,00 tenuto conto del fatto che non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità".(Corte Cost. 186/2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *