T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, Sent., 31-08-2011, n. 1288

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il ricorso in esame, E.S. s.r.l. censura la legittimità dei provvedimenti conclusivi del procedimento di acquisizione degli impianti di illuminazione pubblica di proprietà della stessa E.S. s.r.l. cui il Comune di Casalromano ha dato impulso adottando la deliberazione n. 18 del 29 aprile 2010, deducendo le seguenti censure:

1. violazione delle disposizioni disciplinanti il procedimento di riscatto degli impianti di cui all’art. 24 del R.D. 2578/1925 e agli artt. 9, 10 e 11 del DPR 902/86 e, più precisamente delle disposizioni che impongono, a fronte della posizione di soggezione in cui viene a trovarsi il concessionario rispetto al riscatto, il rispetto del termine annuale di preavviso;

2. violazione dell’art. 24 del R.D 2578/1925 e degli artt. 9, 10 e 11 del DPR 902/86 e, più precisamente delle disposizioni che impongono la necessità di un accordo fra le parti prima in ordine allo stato di consistenza degli impianti e poi, in relazione alla determinazione dell’indennizzo. Nel caso di specie il riscatto è stato disposto prima della determinazione definitiva dell’indennità dovuta che, essendo stata contestata, doveva essere preventivamente determinata in via definitiva dal Collegio arbitrale. Ciò si porrebbe in contrasto con la legge che, secondo parte ricorrente, subordinerebbe il riscatto all’avvenuto pagamento dell’indennità che, in analogia alla normativa espropriativa, dovrebbe essere considerato presupposto necessario. Pertanto – così come nell’espropriazione per pubblica utilità, secondo il CGA, il decreto di esproprio non potrebbe essere adottato se non sia stata precedentemente pagata l’indennità di espropriazione -, altrettanto dovrebbe essere nel caso di specie, posto che sempre di un atto ablatorio si tratterebbe nella sostanza;

3. eccesso di potere e travisamento e sviamento di potere, in quanto, nel caso di specie, il riscatto non sarebbe direttamente preordinato all’affidamento del servizio mediante pubblica gara, non essendo stata indetta alcuna procedura ad evidenza pubblica; procedura che avrebbe potuto essere bandita anche in assenza di disponibilità degli impianti.

Il Comune, costituitosi in giudizio, ha, in primo luogo, evidenziato di aver dato avvio al procedimento di riscatto già con la deliberazione della Giunta comunale n. 90 del 3 dicembre 2009 (anch’essa comunicata ad E.S. s.r.l.).

Ciò premesso esso ha eccepito l’inammissibilità del gravame rivolto contro gli atti di acquisizione in autotutela della disponibilità degli impianti, senza aver impugnato la suddetta deliberazione consiliare, nella quale il Comune ha manifestato la volontà di procedere al riscatto.

Le censure relative al procedimento di determinazione dell’indennità sarebbero inammissibili, in quanto quest’ultima deve essere quantificata, in mancanza di accordo, in sede arbitrale.

Il ricorso sarebbe altresì inammissibile nella parte in cui tende a censurare la gestione diretta del servizio nelle more dello svolgimento della gara, in quanto trattasi di profili successivi al riscatto che non potrebbero incidere sulla legittimità dello stesso.

Tutte le doglianze sarebbero, inoltre, infondate, in quanto il procedimento seguito sarebbe pienamente conforme alle disposizioni di legge.

In vista della pubblica udienza, parte ricorrente ha dapprima ritenuto, in ragione delle scarne difese del Comune, di potersi limitare a richiamare quanto già dedotto nel ricorso.

Successivamente, pur in assenza di memorie da parte del Comune, la ricorrente ha depositato una "memoria di replica" nella quale ha evidenziato come gli atti impugnati sarebbe illegittimi perché:

– adottati senza rispettare i termini legislativamente imposti ed in particolare il termine di un anno di cui all’art. 9 del DPR 902/86;

– lesivi della spettanza dell’equa indennità dovuta per legge;

– integranti una limitazione della proprietà privata al di fuori dello scopo previsto dalla norma (e cioè l’indizione di una gara pubblica per la gestione del servizio).

Alla pubblica udienza del 14 luglio 2011 la causa, su conforme richiesta dei procuratori delle parti, è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

Il ricorso in esame non può trovare positivo apprezzamento.

A prescindere, infatti dalla circostanza per cui la volontà di procedere al riscatto è stata manifestata per la prima volta dal Comune mediante l’adozione della deliberazione della Giunta comunale n. 90 del 3 dicembre 2009, recante "avvio del procedimento di riscatto degli impianti di illuminazione pubblica di proprietà E.S. s.r.l." e non risulta comunque essere stata impugnata la successiva deliberazione del Consiglio comunale n. 18 del 29 aprile 2010, che tale scelta ha confermato, deve essere rigetta la prima doglianza, avente ad oggetto il preteso mancato rispetto del termine di un anno di preavviso per l’esercizio del riscatto.

È pur vero che tale termine, come sostenuto dalla ricorrente, era stato introdotto dal legislatore a tutela della posizione di subordinazione al diritto potestativo del concedente di esercitare il diritto di riscatto dell’impianto realizzato per la gestione del servizio affidato in concessione.

Tuttavia, va rilevato come l’art. 24 del r.d. 15 ottobre 1925 n. 2578, secondo cui il potere di riscatto deve essere esercitato con il preavviso di un anno, trovi applicazione per le concessioni di servizi già affidati ai privati che vengono a risolversi prima della naturale scadenza contrattuale (Consiglio Stato, sez. V, 10 maggio 1994, n. 451).

Nel caso di specie, l’originaria concessione biennale, affidata all’appellante senza gara nel 1993, era scaduta al momento dell’acquisizione degli impianti a seguito dell’esercizio del riscatto e non poteva considerarsi tacitamente prorogata in base ad una apposita clausola della convenzione, in quanto prima della scadenza era entrato in vigore l’art. 6 della legge 24 dicembre 1993 n. 537, che ha introdotto il divieto di rinnovo tacito dei contratti delle pubbliche amministrazioni per la fornitura di beni e servizi, con la previsione – inserita in sede di successive modifiche – della nullità dei contratti stipulati in violazione del predetto divieto.

A seguito dell’entrata in vigore della citata disposizione deve ritenersi che non possano sopravvivere le clausole di rinnovo tacito di contratti o convenzioni, potendo al massimo porsi la questione della possibilità di procedere – in base a clausole espresse – al rinnovo con provvedimento esplicito (Consiglio Stato, sez. V, 11 maggio 2004, n. 2961 ha ritenuto che il divieto coinvolge solo le manifestazioni di volontà espresse in modo non formale o tacitamente dalle pubbliche amministrazioni e che è, invece, ammissibile che un contratto venga prolungato con provvedimento espresso in base ad una clausola preventivamente conosciuta in sede di affidamento del servizio con procedura di evidenza pubblica).

Rinnovo esplicito che è mancato nel caso di specie, con la conseguenza che, non essendovi stata, dopo l’entrata in vigore della legge 537/93, una valida proroga della convenzione, il proseguimento del rapporto è avvenuto in via di mero fatto: ciò impedisce l’applicabilità del citato art. 24 nella parte in cui tutelava il legittimo concessionario con la previsione di un termine annuale di preavviso che avrebbe dovuto precedere l’esercizio del diritto di riscatto, ma limitatamente all’ipotesi, non configurabile nel caso di specie, della risoluzione anticipata della concessione ancora in corso di validità.

Non può ritenersi sussistere, infatti, una legittima pretesa del concessionario che ha continuato nella gestione in forza di una proroga di fatto, in contrasto con l’ordinamento, a che ad una tale situazione sia posto termine con il preavviso di un anno a suo tempo riservato dalla legge all’ipotesi di risoluzione anticipata dalla convenzione legittimamente in essere.

Respinta la prima doglianza, secondo la ricostruzione di E.S. s.r.l., l’avvenuta contestazione dello stato di consistenza redatto dal Comune, avrebbe dovuto indurre quest’ultimo a soprassedere alla prosecuzione dell’iter procedimentale sino alla definizione del contenzioso arbitrale sulla quantificazione dell’indennità dovuta per il riscatto.

La tesi non appare condivisibile.

A tale proposito il Collegio, con pronunce da cui non si ravvisa ragione alcuna di discostarsi (tra le altre cfr. sentenza n. 2618/10 di questo Tribunale, confermata dal Consiglio di Stato nella sentenza 14 giugno 2011, n. 3607), ha già chiarito come il procedimento di riscatto risulti essere indipendente rispetto al subprocedimento specificamente preordinato alla quantificazione dell’indennità dovuta, che passa attraverso la redazione dello stato di consistenza degli impianti. Anche il Consiglio di Stato, nella citata sentenza n. 3607/11 ha precisato che il riscatto "non è in alcun modo subordinato al previo raggiungimento di un accordo tra le parti sullo stato di consistenza o sulla quantificazione dell’indennizzo, dovendosi altrimenti giungere alla irragionevole conclusione che la parte privata avrebbe la possibilità di impedire il fatto il riscatto non accordandosi con l’amministrazione.".

Né appare condivisibile l’affermazione secondo cui il riconoscere legittimità all’iter procedimentale seguito dal Comune equivarrebbe a riconoscere cittadinanza ad un istituto che nel nostro ordinamento non potrebbe trovarla, quale un esproprio senza indennizzo. Non è revocabile in dubbio, infatti, che a fronte del riscatto sia previsto l’obbligo della corresponsione di un’indennità, per la corretta quantificazione della quale è previsto un autonomo subprocedimento, lo svolgimento del quale non sospende l’iter del procedimento di riscatto. La continuazione di quest’ultimo, quindi, in nessun modo fa venire meno il diritto del concessionario uscente alla percezione dell’indennizzo, ma è, al contrario, preordinato ad impedire che proprio il concessionario possa impedire e procrastinare il riscatto dell’impianto (e, quindi, l’affidamento della sua gestione ad altro soggetto), mediante la contestazione dell’indennizzo dovuto.

Peraltro è la stessa ricorrente a richiamare il Piano d’Azione per l’Energia approvato dalla Regione Lombardia ed in specie il passaggio dello stesso nel quale si precisa che "Se il proprietario non accetta l’indennizzo, questo viene accantonato a sua disposizione e viene avviata la procedura arbitrale….Contemporaneamente, con ordinanza sindacale, il Comune dichiara l’avvenuto riscatto e prende possesso dell’impianto.".

Poiché in nessun punto del ricorso viene contestato il fatto che il Comune abbia in concreto "accantonato" a disposizione di E.S. s.r.l. la somma determinata come indennità di riscatto, il comportamento del Comune appare, anche in questo caso, conforme ai principi fissati dalla Regione e richiamati da parte ricorrente.

Priva di fondamento è anche la censura, con cui l’appellante ha dedotto il vizio dello sviamento di potere, che risulterebbe integrato dall’aver il Comune ingiunto la riconsegna degli impianti senza aver contestualmente bandito una nuova gara per l’affidamento del servizio.

Invero deve rigettarsi l’eccezione di inammissibilità di tali doglianze, posto che, nello specifico caso in esame, con la loro proposizione non si cerca, invero, di far discendere l’illegittimità del riscatto da atti successivi, ma di collegare l’illegittimità della manifestazione di volontà preordinata al riscatto alla avvenuta dichiarazione dell’intenzione di procedere alla gestione diretta del servizio. In altre parole, parte ricorrente, tenta di sostenere che gli atti impugnati sarebbero illegittimi in quanto adottati non per addivenire alla gestione del servizio mediante un soggetto individuato con una pubblica gara (unica ipotesi per cui la legge ammetterebbe il riscatto unilaterale dell’impianto), bensì per procedere alla sua gestione diretta, con ciò integrando uno sviamento di potere. Posta la questione in tali termini essa appare, quindi, ammissibile.

Nel merito non si può trascurare di dare atto, a tale proposito, che, come evidenziato nella sentenza del Consiglio di Stato 3607/11, "il riscatto e l’effettiva consegna degli impianti non può che precedere il successivo affidamento del servizio". Ne consegue che deve ritenersi "tecnicamente arduo, se non impossibile, immaginare l’indizione di una gara contestualmente al provvedimento di riscatto, senza avere certezze sui tempi di esecuzione del provvedimento, sulla consistenza dei beni e, quindi, su elementi in base ai quali vanno redatti gli atti della gara".

Ciò precisato, la fondatezza del ricorso non può che essere vagliata alla luce dell’effettivo contenuto dei provvedimenti adottati. Nello specifico, la deliberazione del Consiglio comunale n. 18 del 29 aprile 2010 menziona espressamente la necessità per legge di affidare la gestione del servizio di illuminazione pubblica mediante metodo competitivo, così superando una situazione di affidamento diretto pluridecennale non più compatibile con l’ordinamento.

La successiva deliberazione della Giunta comunale n. 24 del 23 dicembre 2010 è ancora più chiara nel finalizzare la presa di possesso degli impianti alla contestuale indizione di un bando di gara per la prosecuzione del servizio.

Appare quindi dimostrato come l’espletamento dell’iter preordinato al riscatto degli impianti sia, quindi, stato preordinato al successivo affidamento della gestione del servizio ad un soggetto individuato con gara, nel rispetto della normativa comunitaria e di quella nazionale di recepimento di questa.

L’eventuale mancato rispetto di tale obiettivo potrà, quindi, se del caso, formare oggetto di autonomo ricorso avverso gli atti che saranno dall’Amministrazione adottati per la gestione del servizio in elusione della normativa sull’evidenza pubblica.

Le spese del giudizio seguono l’ordinaria regola della soccombenza, considerato che la controversia è stata radicata dopo che questo Tribunale aveva già fornito la chiave di lettura delle norme disciplinanti la fattispecie.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida, a favore del Comune, in Euro 3.000,00 (tremila/00), oltre ad IVA e C.P.A., nonché rimborso forfetario delle spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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