T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, Sent., 31-08-2011, n. 1287

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

Con il ricorso in esame, E.S. s.r.l. censura la legittimità dei provvedimenti conclusivi del procedimento di acquisizione degli impianti di illuminazione pubblica di proprietà della stessa E.S. s.r.l. – posto in essere dal Comune di Orzivecchi, dando avvio al medesimo con preavviso del 19 dicembre 2008 – deducendo le seguenti censure:

1. violazione delle disposizioni disciplinanti il procedimento di riscatto degli impianti di cui agli artt. 10 e 11 del DPR 902/86 e, più precisamente delle disposizioni che impongono la necessità di un accordo fra le parti prima in ordine allo stato di consistenza degli impianti e poi, in relazione alla determinazione dell’indennizzo. Nel caso di specie, il Comune ha chiuso il procedimento di riscatto prima ancora di instaurare il giudizio arbitrale e comunque senza aver corrisposto alcuna indennità ed anzi, avendo previsto che nessuna somma sia dovuta a favore di E.S., mentre sarebbe il Comune ad essere creditore della somma di Euro 103.882,45, il che integrerebbe un’ipotesi di esproprio senza indennizzo;

2. violazione dell’art. 24 del R.D 2578/1925. La legge subordinerebbe il riscatto all’avvenuto pagamento dell’indennità che, in analogia alla normativa espropriativa, dovrebbe essere considerato presupposto necessario. Pertanto, così come nell’espropriazione per pubblica utilità (cfr la richiamata pronuncia del CGA, 25 maggio 2009, n. 483), il decreto di esproprio non potrebbe essere adottato se non sia stata precedentemente pagata l’indennità di espropriazione, altrettanto dovrebbe essere nel caso di specie, posto che, nella sostanza, sempre di un atto ablatorio si tratterebbe;

3. carenza dei presupposti per l’adozione di un’ordinanza contingibile ed urgente e assenza delle condizioni legittimanti l’esercizio del potere di autotutela ex art. 823 cod. civ., nonché carenza dei presupposti di legge per l’esercizio del riscatto, in considerazione della mancata indizione di una procedura ad evidenza pubblica. Nel caso di specie, infatti, il Comune non avrebbe in alcun modo manifestato la volontà di procedere all’affidamento del servizio indicendo, all’uopo, un’apposita gara pubblica: condizione questa che da sempre è stata ritenuta necessaria, in prospettiva, per legittimare l’esercizio del riscatto. Nella fattispecie il Comune sembrerebbe, considerata anche la pretesa di conoscere tutti i dati relativi ai contratti in essere, intendere subentrare nella gestione diretta del servizio, in violazione dei principi alla base della nuova disciplina che espressamente precluderebbero tale soluzione all’ente locale.

In mancanza della costituzione dell’Amministrazione intimata, la ricorrente si è limitata, in vista della pubblica udienza, a richiamare quanto già precedentemente sostenuto nel ricorso.

Alla pubblica udienza del 14 luglio 2011 la causa, su conforme richiesta del procuratore di parte ricorrente, è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

Il ricorso in esame non può trovare positivo apprezzamento.

Secondo quanto dedotto da parte ricorrente con la prima censura, il procedimento seguito dal Comune avrebbe dovuto essere interrotto per effetto del mancato raggiungimento di un accordo con E.S. s.r.l. sulla quantificazione dell’indennità dovuta per il riscatto.

A tale proposito il Collegio, con pronunce da cui non si ravvisa ragione alcuna di discostarsi (tra le altre cfr. sentenza n. 2618/10 di questo Tribunale, confermata dal Consiglio di Stato con sentenza 14 giugno 2011, n. 3607), ha già chiarito come il procedimento di riscatto risulti essere indipendente rispetto al subprocedimento specificamente preordinato alla quantificazione dell’indennità dovuta. Anche il Consiglio di Stato, nella citata sentenza n. 3607/11 ha precisato che il riscatto "non è in alcun modo subordinato al previo raggiungimento di un accordo tra le parti sullo stato di consistenza o sulla quantificazione dell’indennizzo, dovendosi altrimenti giungere alla irragionevole conclusione che la parte privata avrebbe la possibilità di impedire il fatto il riscatto non accordandosi con l’amministrazione.".

Nè si può ritenere che meriti positivo apprezzamento l’analogia introdotta da parte ricorrente rispetto al procedimento espropriativo ed in ragione della quale l’acquisizione al patrimonio degli impianti dovrebbe essere subordinata al previo pagamento dell’indennità. Posto che anche nel procedimento ablatorio l’adozione dell’atto traslativo della proprietà non è subordinata alla definizione e al pagamento dell’indennità contestata, bensì solo a quello dell’indennità così come determinata in via definitiva dall’Amministrazione, nel procedimento di riscatto degli impianti di illuminazione non si ravvisa alcuna norma che imponga una tale condizione. Non può essere intesa in tal senso, infatti, l’espressione di cui all’art. 24 del R.D. 2578/1925 secondo cui "quando i Comuni procedono al riscatto degli impianti debbono pagare ai concessionari un’equa indennità", la quale impone senz’altro l’obbligo al Comune di corrispondere tale somma, ma, anche alla luce del contenuto complessivo della norma, non pone il pagamento dell’indennità eventualmente contestata come condizione per poter dare ulteriore impulso al procedimento, non prevedendo, al contrario di quanto asserito da parte ricorrente, la contestualità tra riscatto e pagamento.

A nulla rileva la particolarità per cui, nel caso in esame, quantificato il valore residuo degli impianti in Euro 42.987,75 e dedotti gli importi relativi ad interventi di recupero degli impianti obsoleti e di oneri già versati dall’Amministrazione (per un importo di 146.870,20 Euro), l’unico creditore risulti essere il Comune.

La norma non può che essere letta, infatti, nel senso che un’indennità è dovuta se e nella misura in cui l’impianto da riscattare abbia ancora un valore residuo secondo i parametri di legge: effettuato il calcolo così come imposto dalla legge, quindi, se il risultato risulta essere negativo (ovvero il credito risulta essere a favore del Comune) ciò non può evidentemente precludere il prosieguo dell’iter per il riscatto, anche in pendenza di un giudizio arbitrale o nella mora della devoluzione della controversia agli arbitri.

Ne deriva la conclusione per cui, anche nel caso di specie, l’iter del procedimento può ritenersi essere stato rispettato e nessun esproprio senza indennizzo risulta essere stato integrato.

Nemmeno la terza doglianza appare fondata, atteso che il provvedimento impugnato non è qualificabile come un’ordinanza contingibile ed urgente: si tratta, infatti, di un ordine di rilascio degli immobili che nemmeno richiama il d. lgs. 267/00 e che ha come obiettivo il semplice completamento dell’iter procedurale di riscatto degli impianti.

Non era quindi necessario che, per l’adozione dello stesso, sussistessero i presupposti sottesi all’esercizio del potere extra ordinem.

In merito all’esercizio del potere di autotutela il Collegio ritiene sufficiente richiamare i propri precedenti (cfr., fra gli altri T.A.R. Brescia n. 490/2007), alla stregua dei quali "l’assoggettabilità degli impianti di distribuzione del gas al regime di autotutela previsto dall’art. 823 c.c. è confermato dall’art. 826, comma 3, secondo cui "fanno parte del patrimonio indisponibile…gli altri beni destinati a un pubblico servizio".

Dato tale principio, e considerato che anche l’impianto di illuminazione pubblica è senz’altro riconducibile alla categoria dei beni destinati a un pubblico servizio, anche in relazione a quest’ultimo risulta pertanto possibile il ricorso allo speciale potere di autotutela in parola, che, per giurisprudenza costante, non può essere limitato alla tutela dei beni appartenenti al demanio, ma deve essere esteso anche a quelli patrimoniali indisponibili (cfr. T.A.R. Lombardia Brescia, sez. II, 27 maggio 2010, n. 2165, Cons. Stato 6.12.2007, n. 6259 e 22.11.1993, n. 1164).

Accertata la conformità all’ordinamento dell’esercizio dell’autotutela, il ricorso in esame non può trovare accoglimento nemmeno sotto il profilo della mancata indizione di una gara ad evidenza pubblica per l’affidamento del servizio.

Premesso che, come chiarito dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 3607/2011, ogni considerazione sull’attività posta in essere dopo l’adozione dei provvedimenti impugnati "non può costituire parametro per valutare la legittimità degli stessi, potendo al più essere oggetto di contestazione in separati giudizi", anche a tale proposito questo Tribunale ha già avuto modo di affermare la legittimità della previsione della gestione diretta del servizio, mediante il subentro nei contratti già stipulati da E.S. s.r.l.. Ciò considerato che "non è possibile procedere contestualmente all’esercizio del riscatto e alla indizione di una gara" (così la sentenza del Consiglio di Stato n. 3607/11) a condizione che la gestione abbia natura transitoria, nelle more dell’individuazione del nuovo gestore: condizione che non può essere revocata in dubbio per il solo fatto che sia stata richiesta la conoscenza dei dati relativi ai contratti in essere, la quale si rende necessaria ai fini della predisposizione di un adeguato capitolato di gara.

Respinto il ricorso, le spese del giudizio possono trovare compensazione tra le parti in causa, attesa la complessità della questione e la novità della questione al momento della proposizione del ricorso.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Dispone la compensazione delle spese del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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