Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 22-06-2011) 29-07-2011, n. 30350

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con ordinanza deliberata in data 26 ottobre 2010, depositata in cancelleria il 17 novembre 2010, il Tribunale di Napoli confermava l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei confronti di S.M. in data 29 settembre 2010 dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Napoli per i reati contestati con i capi che seguono:

– capo C), corruzione in atti giudiziarì ai sensi degli artt. 321 e 319 ter c.p.p., commesso fino al dicembre 2002, per aver consegnato la somma di Euro 100.000 ed altra somma non precisata a due periti ( F.A. e B.A.) incaricati dalla Corte di Assise di Napoli di procedere nell’agosto 2002 alla identificazione delle voci di Bi.An. e T.V., imputati di omicidio, perchè rendessero falsa perizia, escludendo che le voci registrate in alcune conversazioni telefoniche e ambientali fossero a loro riconducibili; reato aggravato dal fatto di aver operato l’indagato per favorire il sodalizio mafioso.

– capo D), delitto di falsa perizia ai sensi dell’art. 373 c.p., per essere concorso con i nominati due periti nella falsa perizia, commesso fino al dicembre 2002;

– capi E) ed F), delitti di falsa testimonianza e favoreggiamento, commessi fino al 5 giugno 2000, per aver cooperato (con L.T., O., M., R. e Bi.Fr.) nel costruire un falso alibi al L.T., volto a ottenere l’assoluzione per il duplice omicidio Ro. – Ri., commesso il 27 marzo 1990, inducendo M.G. ad un falsa testimonianza.

Tutte e quattro i reati venivano ritenuti aggravati dal fatto che l’indagato aveva favorito l’associazione camorristica facente capo ai Bi..

Il Tribunale, in via di premessa, chiariva, quanto alle prime due imputazioni di corruzione finalizzata alla falsa perizia e di concorso nella medesima falsità, che l’avv. S., difensore di Bi.Fr. capo storico del clan dei casalesi, come emerso dalle dichiarazioni della collaboratrice di giustizia C.A., compagna del predetto Bi., aveva proposto di corrompere il perito fonico, in modo che redigesse una falsa perizia escludendo che le voci registrate in alcune conversazioni telefoniche e ambientali fossero riconducibili a Bi.An. e T.V., imputati del reato di omicidio. L’indagato avrebbe poi provveduto in tal senso con danaro consegnato dalla stessa donna. La perizia in questione, rilevava inoltre il Giudice delle indagini preliminari, era risultata del tutto erronea. Quale riscontro alle propalazioni della C. venivano indicate le dichiarazioni dei collaboratori D.B., A.F. e le dichiarazioni dell’ispettore di polizia G. C., che aveva curato le intercettazioni nell’anno 2000 e che si era detto assolutamente sicuro della riconoscibilità della voce del Bi., per il suo carattere gutturale. I Pubblici Ministeri avevano affidato nuovo accertamento fonico sulle voci di Bi. e T., peraltro nel frattempo assolti con sentenza irrevocabile, a un collegio di periti che concludevano, in uno con i consulenti tecnici coordinati dall’ing. P., sulla attribuibilità delle voci ai predetti imputati. Inoltre, citando il contenuto dichiarativo di alcuni collaboratori ( B.D. e Sp.Or.), veniva evidenziato che l’avv. S. si era reso disponibile come latore di messaggi e ordini provenienti da imputati mafiosi, tra cui Bi.Fr., da far pervenire ad altri componenti dell’organizzazione. Venivano anche richiamate le dichiarazioni del collaboratore Di Caterino Emilio che riferiva la circostanza che l’indagato era stipendiato, per esercitare le difese, con 5.000 Euro mensili, versate da Bi.

M., C.B. e L.G.. L’ordinanza menzionava altresì le propalazioni di P.R. che rammentava come, durante un comune periodo di detenzione con Cr.Gi., avesse appreso che il padre di quest’ultimo, Giuseppe, si era lamentato di non aver beneficiato della perizia fonica artefatta. Infine venivano valorizzate le conversazioni intercettate tra il Cr. e la moglie F., quanto all’intervenuto aggiustamento della perizia, di cui il Cr. non aveva beneficiato e le dichiarazioni di Cantone Francesco che confermava le accuse all’indagato, proprio perchè i Cr. gli avevano riferito quanto accaduto, specificando chi aveva gestito la corruzione. I giudici della cautela concludevano rilevando come l’azione di corruzione potesse essere attuata solo da persona intranea e dotata di capacità tecnica ed autorevolezza, onde poter contattare un professionista di livello universitario qual era il perito corrotto.

Quanto alle altre imputazioni, concernenti la falsa testimonianza e il favoreggiamento attinenti l’alibi falso di L.T.A., all’epoca collaboratore di giustizia, l’accusa aveva ipotizzato che il La Torre avesse dato mandato all’avv. S. di realizzare un falso alibi grazie all’imprenditore M., sfruttando il fatto che l’omicidio di cui era imputato il La Torre fosse stato commesso proprio il giorno dell’onomastico, risultato mai festeggiato prima, del medesimo soggetto. Secondo il L.T., M. avrebbe dovuto sostenere di aver subito, nel corso della festicciola per detto onomastico, un tentativo di estorsione ad opera del La Torre, in ora e giorno non compatibili con l’omicidio. Il S. inoltre, sempre a dire del L.T., aveva pensato anche a un riscontro dell’alibi attraverso un regalo che recasse la data dell’omicidio. Le dichiarazioni del La Torre venivano riscontrate da s.m. che riferiva del colloquio avuto con O. S., che gli spiegò il meccanismo dell’alibi organizzato anche con l’aiuto dell’avv. S..

1.2. – In merito alle esigenze cautelari il Tribunale le individuava nel pericolo di reiterazione dei fatti. Veniva per vero evidenziato che il tipo di condotta tenuta dall’indagato si era espletata come disponibilità nei confronti delle associazioni criminali disponibilità che non poteva ritenersi venuta meno con la sola sospensione dall’albo professionale.

2. – Avverso il citato provvedimento, tramite i propri difensori avv.ti Francesco Saverio Fortuna e Claudio Botti, ha interposto tempestivo ricorso per Cassazione il S., chiedendone l’annullamento. L’avv. Botto contesta la sussistenza delle esigenze cautelari, considerato che l’indagato è stato sospeso dalla professione e che lo stesso ha chiesto di essere cancellato dall’albo ed evidenzia il tempo che divide dai fatti. Il ricorso a firma avv. Fortuna sviluppa sei motivi;

a) viene eccepita la violazione di norme processuali, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), quanto alla mancata considerazione del tempo trascorso dai fatti; i fatti di cui ai capi C) e D) sono stati commessi fino al dicembre 2002, verosimilmente nell’estate di quell’anno, mentre i fatti che attengono al falso alibi risalgono al 2000. Per queste ultime contestazioni specifiche, mentre gli ulteriori rilievi di disponibilità dell’indagato nei confronti della consorteria cui fa riferimento il giudice del riesame sono a contenuto generico e non formalizzati in un capo di imputazione, si doveva tenere conto del tempo decorso, idoneo a superare la presunzione di pericolosità. b) violazione di norme processuali, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), per la inutilizzabilità parziale degli atti depositati dai pubblici ministeri; i rappresentanti della pubblica accusa hanno depositato copiosa ulteriore documentazione che era nella disponibilità dell’Ufficio ben prima che fosse stata richiesta la misura cautelare. Il difensore non è stato in grado di poter esaminare tale documentazione, nei termini fissati dal giudice ad horas, con il che si sarebbe concretizzata la violazione del contraddittorio. c) violazione della legge processuale, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), con riferimento alla L. n. 82 del 1991, art. 16 quater, e alla L. n. 45 del 2001, art. 14, quanto alla utilizzabilità delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia; il giudice avrebbe dovuto controllare se dette dichiarazioni siano state rese dopo la scadenza del termine di 180 giorni. d) violazione della legge processuale, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), in relazione all’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, artt. 195 e 197 bis c.p.p. non essendo consentito utilizzare a riscontro delle propalazioni di un collaboratore di giustizia dichiarazioni di altri collaboratori de relato, quando non sia possibile accertare l’intrinseca attendibilità della fonte originaria. In particolare, le dichiarazioni della C. fanno riferimento a Cr.Gi. e a congiunti di questo, senza l’indicazione della fonte di conoscenza. La totale mancanza di specificità sui tempi e sulle modalità del fatto di corruzione del perito impediscono di escludere che la notizia sia stata conosciuta per il flusso circolare di informazioni corrente in contesti di criminalità organizzata. e) travisamento del fatto, motivazione manifestamente illogica e contraddittoria, omessa motivazione, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), in relazione all’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, con riguardo ai capi C) e D) dell’imputazione. Il giudice non ha fornito adeguata contezza in relazione alle specifiche deduzioni difensive, avendo ritenuto che una valutazione generale parcellizzata potesse ovviare alla mancanza di gravita e precisione degli indizi.

Peraltro è stata ritenuta inopinatamente falsa la perizia, quando fu solo erronea e conseguentemente i giudici della cautela avrebbero sbagliato nel ritenere che vi fosse stata corruzione del perito e che tale fatto fosse addebitabile all’indagato, in assenza di riscontro alle dichiarazioni della C.. Non sarebbe stato chiarito in che modo il S. sia stato in grado di poter avvisare Bi.Fr. della decisione di corrompere un perito utilizzando danaro della C., Nè si precisa per quale motivo una perizia falsa, che doveva servire per il solo Bi., abbia poi giovato anche i T., rimasto tuttavia, per ipotesi accusatoria, estraneo al patto corruttivo. f) vizio della motivazione, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in relazioni alle imputazioni sub E) ed F). Non vi sarebbe prova del coinvolgimento del S., atteso che egli non fece al M., in sede di esame dibattimentale, la domanda di maggior rilievo, vale a dire quella che attiene alla data e all’ora dell’incontro tra lui ed il L.T., nella ricorrenza di (OMISSIS); nè possono costituire riscontro le dichiarazioni false o generiche di O.S. (cognato del L.T.) e s.m..

3. – Con motivi aggiunti, depositati in cancelleria in data 11 aprile 2011, l’avv. Francesco Saverio Fortuna ha riproposto, approfondendoli, taluni profili già espressi in ricorso, ed in particolare ha sottolineato il fatto che non erano stati trasmessi al Supremo Collegio i motivi scritti e gli allegati depositati dai difensori il 21 ottobre 2010 nella Cancelleria del Tribunale del Riesame di Napoli e neppure la memoria difensiva prodotta alla udienza del 26 ottobre. La mancata trasmissione di tale documentazione a sua opinione rendeva impossibile alla Corte di legittimità verificare se il Tribunale del riesame abbia risposto, con argomenti logici e coerenti alle censure espresse negli atti difensivi, giusta anche la documentazione prodotta.

E’ stata poi eccepita l’inutilizzabilità delle conversazioni telefoniche di cui ai decreti 911, 3985 e 3777 del 2006, poichè non autorizzati dal gip, atteso che l’autorizzazione era limitata ai colloqui in carcere tra il ricorrente e Bidognetti Michele. Veniva rilevato che altre richieste autorizzative erano state respinte per via del fatto che il reato era prescritto. Veniva ribadita ia mancanza di riscontri esterni alle propalazioni della C..

Vengono adombrate ragioni di rancore dei collaboranti con l’avv. S., per motivi diversi e di varia natura. Viene poi ricordato che analoga ordinanza a carico di B.M., per il reato di falsa perizia e di corruzione in atti giudiziari, fu annullata dallo stesso Tribunale del riesame di Napoli, in ragione delle insufficienza del quadro indiziario ed in particolare dell’insufficienza delle dichiarazioni della C., non debitamente riscontrate. Viene aggiunto che le dichiarazioni del La Torre sono assolutamente inaffidabili, atteso che è conclamata la sua infedeltà, essendogli stato revocato il programma di protezione, avendo ammesso di aver costruito a tavolino le accuse contro terzi.

4. – E’ stata presentata ulteriore memoria, per l’udienza del 29.4.2011, con cui è stata ribadita la contestazione sul fatto che mancavano agli atti i ricorsi e le memorie presentate al tribunale del riesame, sono stati ribaditi i profili di nullità ed inutilizzabilità degli atti depositati dal pm solo all’udienza camerale del riesame, sul tempo decorso, sulla prescrizione maturata per i fatti di cui ai capi f) ed e), sulla inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, sulla inattendibilità intrinseca della C., sulla inesistenza di solidi dati fattuali idonei a comprovare che S. si prestava a ricevere e trasmettere messaggi, visto che i colloqui che egli aveva avuto con i suoi assistiti erano stati monitorati da tempo. Viene ribadito che per Bi.Mi. venne annullata l’ordinanza di custodia cautelare basata sulla stessa piattaforma indiziaria, vengono ripetuti i profili di incongruenza e contraddittorietà delle rivelazioni della C.; si ribadisce la circolante delle notizie tra i vari collaboranti, che vi è il fondato rischio che abbiano parlato non per scienza diretti ma per conoscenza appresa dagli organo di stampa. Infine, viene ribadito che non si deve parlare di falsa perizia, ma di perizia con conclusioni sbagliate. Anche sul collaborante La Torre vengono ribadite le ragioni di inaffidabilità conclamata in plurime sentenze, che sono state richiamate, e nel provvedimento di revoca del programma di protezione.

5. – All’udienza del 29 aprile veniva differita la trattazione del ricorso, onde acquisire gli atti del tribunale del riesame, che sono pervenuti a questa Corte.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato solo per quanto riguarda il profilo delle esigenze cautelari, mentre deve esser rigettato per quanto riguarda il profilo della gravita indiziaria.

– Non è apprezzabile alcuna lesione del diritto processuale in ragione del fatto che all’udienza di discussione del riesame interposto dall’indagato il pm abbia riversato nuovi atti, diversi da quelli a sostegno della misura cautelare e trasmessi al gip per la richiesta cautelare, onde meglio resistere alle istanze difensive, senza che possa rilevare il fatto che si trattasse di risultati investigativi che già erano nella disponibilità del pm al momento della richiesta cautelare, atteso che il sistema riconosce al pm un potere di gestione degli atti e di progressivo disvelamento degli stessi, da correlare con plurime esigenze di segretezza, in vista di nuovi esiti investigativi e dì tutela delle fonti di prova, soprattutto in contesti di particolare esposizione delle stesse, quale quello di cui si discute. Del resto è bene ricordare che è assolutamente pacifico, essendo stato reiteratamente affermato da questa Corte, in tema di riesame dei provvedimenti che dispongono misure cautelari, che il tribunale ai fini della decisione può tener conto – ai sensi dell’art. 309 c.p.p., comma 9 – delle nuove acquisizioni probatorie effettuate dal pm, anche se sfavorevoli all’interessato successive alla richiesta della misura cautelare ed infatti il tribunale ai sensi della disposizione citata, decide "anche sulla base degli elementi addotti dalle parti nel corso dell’udienza" (v. ex pluribus sez. 3^, 25.6.2010, n. 27592 Ricci). E’ stato precisato nel citato arresto che " l’interpretazione dell’art. 309 nei sensi sopra riportati non viola la pienezza del contraddittorio, poichè il pm non è obbligato ad un’anticipata discovery delle sopravvenute acquisizioni probatorie intervenute nel corso delle indagini, a meno che non siano favorevoli all’indagato, così come non è inibito alla difesa di produrre al giudice del riesame nuovi atti e documenti a favore del proprio assistito". Vi è poi copiosa giurisprudenza di questa Corte più propensa ad ammettere la produzione degli elementi indiziari preesistenti, che non di quelli acquisiti successivamente (Sez. 3^, 11.2.2010, n. 15108, Sabatelli; Sez. 6^ 9.3.2004, n. 15899, Fallace), ancorchè l’art. 309 c.p.p., comma 9, debba essere interpretato nel senso che al pm è fatto obbligo di presentare al tribunale del riesame le risultanze a favore dell’indagato, ma che egli può presentare nuovi elementi sfavorevoli sia preesistenti che sopravvenuti, per le ragioni che sono state sopraesposte. Nessuna violazione è quindi apprezzabile nell’operato del tribunale tanto più che nel caso di specie alle difese venne concesso un termine, seppure molto breve, per prender contezza sommaria degli atti prodotti, termine che verosimilmente non poteva essere più dilatato a causa della natura perentoria dei tempi in cui il riesame deve essere trattato. Il motivo che è stato dedotto sul punto non può quindi essere accolto.

– Quanto alla eccezione di inutilizzabilità delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, poichè rese oltre il centoottantesimo giorno dalla manifestazione della volontà di collaborare, la questione è stata definitivamente risolta dalle Sezioni Unite (sent.

25.9.2008, n. 1149 Magistris) secondo cui il limite non opera nella fase delle indagini preliminari, in particolare ai fini della emissione delle misure cautelari personali: il motivo dedotto sul punto è quindi manifestamente infondato.

– Quanto ai motivi che puntano sulla svalutazione del quadro indiziario, facendo leva sulla inaffidabilità dei chiamanti in correità e sulla insufficienza dei riscontri, laddove siano integrati da chiamate de relato, occorre puntualizzare quanto segue, entrando in medias res ed abbandonando le asserzioni di principio, stornanti dal vero nocciolo del thema decidendi. Quanto ai fatti sub C e D occorre rilevare che il Tribunale ha riconosciuto che fu la Carrino, nel 2007, ad aver rappresentato l’intervento a suon di denari, stimolato da Bi.Fr. padre di Bi.

A. e convivente della C., presso il perito che era stato incaricato di esaminare le voci nell’ambito di intercettazioni ambientali che avrebbero consentito di individuare gli autori dell’omicidio in danno di R.E. e C.G. nelle persone di Bi.An. e di T.V.. Il dato di fatto che è stato preso a decisivo riscontro delle dichiarazioni della C. è che la perizia che venne consegnata dal F. (perito nominato nel processo) nel 2002 ebbe ad escludere che le voci fossero riconducibili ai menzionati – tanto che gli stessi vennero assolti – laddove sulla base di perizia collegiale disposta successivamente alle dichiarazioni della C., è emerso che le conclusioni del F. erano inficiate da errori macroscopici, errori che fondatamente non venivano ritenuti frutto di mera trascuratezza (considerato che le conclusioni non erano state concordate con il collega B. che non aveva firmato la perizia e disconosceva la sigla apposta sull’elaborato e che l’ispettore G. aveva riferito sulla facile riconoscibilità della voce del Bi., per il suo carattere gutturale), tanto che il F. fu condannato in primo grado per il reato di falsa perizia.

Il dato storicamente incontestabile non poteva non essere valutato come solido riscontro della veridicità del racconto della C. sull’intervenuta falsificazione della perizia, che valse l’assoluzione da un’accusa di duplice omicidio al Bi.. In detto quadro veniva inserito il dato registrato nel 2006, quindi prima della dichiarazione della Carrino, della intervenuta conversazione tra Cr.Gi. e la moglie ( F.), in cui il primo si lamentava di non aver potuto giovarsi "dell’aggiustamento della perizia". Dunque la base su cui si è incentrata l’accusa è stata ritenuta integrata – e non poteva essere altrimenti – da un dato certo, la falsità della perizia fonica a firma F., alla cui conoscenza si addivenne grazie alla collaborazione della C.. Sul ruolo assunto dal difensore S. nella vicenda corruttiva (essendo fondatamente stato escluso che la falsità della perizia fosse frutto di mero errore) il Tribunale addiveniva sulla base di una serie di elementi dichiarativi e i deduzioni di natura logica, condotte con linearità e senza cadute, concludenti nel senso che solo persona con competenze tecniche e statura professionale, idonea a contattare un perito nominato dall’A.G., poteva aver giocato il ruolo del mediatore nella corruzione. In questa cornice delineata da valutazioni di ordine logico, si collocano non solo il dato rappresentativo della C. (forte del riscontro obiettivo dell’accertata falsità), ma anche le indicazioni dei due collaboratori Piccolo e Cantone, che hanno riferito di avere appreso dai Cr. – i quali erano certo interessati ad assumere informazioni su quanto era accaduto – che era stato S. a gestire l’operazione di avvicinamento del perito a scopo corruttivo. La tendenza del Cr.Gi. a ritornare su tale episodio era stata del resto spiegata richiamando anche la conversazione intercettata con la Ferrara, da cui emergeva come per il Cr. fosse particolarmente bruciante il fatto di essere stato lui l’unico condannato per l’omicidio Co.. Tale compendio non può essere ritenuto incongruo e insufficiente quanto ad attitudine dimostrativa, con alto grado di probabilità, non solo dell’attività corruttiva messa in atto nei confronti del perito, ma anche del ruolo giocato dall’avv. S., pur trascurando i molteplici contributi informativi che sono pervenuti agli inquirenti da numerosi collaboratori che hanno descritto, all’unisono si badi, l’indagato come professionista "a disposizione" della famiglia Bi..

La solidità di questa struttura argomentativa, eretta su granitica base inferenziale, resiste alle plurime censure elevate dalle difese, che hanno utilizzato svariati argomenti per lo più in fatto e non spendibili in un giudizio di legittimità, comunque di scarsa incidenza per minare la indubbia valenza indiziaria del compendio che invero sono stati esaminati analiticamente dal tribunale dei riesame da pag. 18 a pag. 29 dell’ordinanza impugnata, che proprio per questa puntuale disamina non si espone alle censure di trascuratezza degli argomenti difensivi.

Lo stesso discorso, quanto a correttezza dell’iter seguito dal tribunale del riesame, va fatto per i reati di cui ai capi E ed F, enucleati sulla base del racconto del discusso collaboratore di giustizia La Torre Augusto, che peraltro in detta occasione ebbe a rappresentare un episodio che trovò riscontro nella sua realtà storica, seppure a distanza di molti anni. Infatti la Torre riferì di una falsa testimonianza resa da M.G., al fine di procurare a lui L.T. un falso alibi per sottrarlo alla condanna per omicidio. Falsa testimonianza effettivamente veicolata in un processo che vedeva il M. parte offesa di estorsione, imputata al medesimo L.T., per la quale il M. è stato condannato. Dunque anche in questo caso la voce del collaboratore ha trovato riscontro nella realtà e non poteva non essere valorizzato dai giudice della cautela. Quanto all’essere stato il S., avvocato all’epoca del L.T. unitamente dall’avv. R., ad aver ideato questo meccanismo stornante dalla verità, il Tribunale, con operazione assolutamente consentita, riteneva che a riscontrare la chiamata in reità concorrevano la dichiarazioni dell’ O., che personalmente rappresentò di essersi recato dal M. a portare il biglietto con le indicazioni su cosa dire in giudizio e di avere poi relazionato sul punto l’avv. S., nonchè le indicazioni di s.m. sulla circostanza di aver saputo dall’ O. al momento del fatto che era in corso la predisposizione di falso alibi, con la collaborazione del M. a la regia del S., ed infine le dichiarazioni rese in ultimo dall’avv. R., quanto al fatto di essere stato richiesto dal L.T., nel corso del processo che vedeva parte offesa il M., di porgere allo stesso domande sull’ora in cui egli M. sarebbe andato da lui, specificandogli che la risposta a quella domanda gli serviva per difendersi in altro processo.

Anche in questo caso la valutazione del tribunale è assolutamente conforme al dettato normativo di cui all’art. 192 c.p.p., essendo stata ritenuta solida base indiziaria l’indicazione del c.d. pentito di un fatto riscontrato dal punto di vista fenomenico; quanto all’indicazione dell’autore del reato, la chiamata in correità è supportata dalle indicazioni del collaboratore O., che ebbe parte attiva nel progetto, dalle dichiarazioni del collaboratore s. (de relato, per aver appreso il fatto da O.) e dalle significative indicazioni dell’avv. R., codifensore del La Torre nel processo in cui venne costruito il falso alibi, con la collaborazione della parte offesa in quel processo. Anche in questo caso il quadro indiziario non poteva non essere appezzato in termini di gravità.

La valutazione di questa Corte deve del resto arrestarsi alla verifica del rispetto delle regole della logica e della conformità ai canoni legali, che presiedono all’apprezzamento dei gravi indizi di colpevolezza prescritti dall’art. 273 c.p.p., per l’emissione dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, senza poter attingere l’intrinseca consistenza delle valutazioni riservate al giudice di merito: la valutazione compiuta dal tribunale supera ampiamente questo vaglio.

Restano quindi assorbiti gli altri profili su cui la difesa ha argomentato (quali quelli sulle intercettazioni telefoniche che non concorrono a configurare il quadro indiziario come sopra delineato), ovvero il fatto che la misura cautelare per gli stessi fatti di corruzione a carico di Bi.Mi. sia stata annullata, attesa la diversa portata dei riscontri in quel particolare quadro indiziario.

Va ancora precisato che i fatti sono stati correttamente inquadrati nella logica del favoreggiamento della consorteria mafiosa e del suo capo, con il che correttamente elevata appare allo stato la aggravante relativa, a fronte della quale i reati in questione, seppure lontani nel tempo, non sono ad oggi prescritti.

Detto ciò, va affrontato l’ultimo profilo riguardante il permanere delle esigenze cautelari, sul quale la motivazione dell’ordinanza impugnata appare peccare dì astrattezza e carente, poichè il Tribunale sembra essersi posto in una stornante prospettazione avente come parametro di valutazione il reato di cui all’art. 416 bis c.p., dal quale il S. non è stato attinto, quanto meno con il provvedimento oggi scrutinato. Va infatti sottolineato che, se si guarda agli aspetti concreti, i pur gravi reati che gli sono stati addebitati traggono tutti la loro occasione nell’attività professionale da lui svolta, in qualità di difensore di soggetti legati alla consorteria mafiosa ed. camorra organizzata, cosicchè l’intervenuta sospensione dall’albo e l’intervenuta richiesta di cancellazione sono dati fattuali che non possono essere sottovalutati nell’ottica richiesta dall’art. 274 c.p.p., lett. c), per affermare il concreto pericolo di reiterazione, anche in ragione della lontananza decennale dai fatti. Il dato testuale dell’art. 292 c.p.p., lett. c), non poteva essere trascurato, atteso che secondo quanto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 40538 del 24.9.2009) la concreta e attuale sussistenza del pericolo di reiterazione delle condotte criminose va congruamente motivata non soltanto con il mero recepimento dei fatti contestati, lontani nel tempo, ma, soprattutto, con la esplicitazione di obiettivi elementi in forza dei quali sia possibile ipotizzare che l’indagato, tenuto anche conto della condotta serbata medio tempore, sia attualmente in condizione, una volta venuta meno la sua posizione strategica nell’economia dei reati cui si ha riguardo, di incidere negativamente nel consorzio sociale. L’ordinanza deve quindi essere annullata sotto questo unico profilo, con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Napoli.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alle esigenze cautelari e rinvia per nuovo esame sul punto al Tribunale di Napoli.

Rigetta nel resto il ricorso.

Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al Direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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