Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 22-06-2011) 29-07-2011, n. 30292

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con sentenza deliberata in data 12 luglio 2010 la Corte di Appello di Milano confermava la sentenza 2 ottobre 2009 del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Vigevano che aveva dichiarato J.R. responsabile del reato di tentato omicidio e porto ingiustificato di un bisturi, condannandolo alla pena di anni sette di reclusione e mesi sei di arresto.

Secondo la ricostruzione del fatto operata nella sentenza gravata J., nel corso di un alterco con A.L.I.A., lo feriva in modo molto profondo con due fendenti al volto ed al torace, usando un bisturi.

I giudici di merito richiamavano, onde pervenire alla formulazione del giudizio di responsabilità, il dato probatorio costituito: a) dalle dichiarazioni del testimone escusso A.M., che aveva visto due persone discutere animatamente , fino a che il prevenuto non si avventò addosso all’altro per colpirlo; b) dalla condotta dell’imputato che, una volta fermato, consegnava alle forze dell’ordine il bisturi; c) dal riconoscimento fotografico operato dalla parte lesa; d) dall’accertamento medico legale disposto, in esito al quale veniva ritenuta la compatibilità delle ferite riportate dalla vittima con lo strumento sequestrato e l’idoneità omicidiaria del colpo infetto alla gola.

2. – Avverso il citato provvedimento ha interposto tempestivo ricorso per cassazione l’imputato personalmente, chiedendone l’annullamento per violazione di legge e vizi motivazionali.

Con un primo motivo è stato eccepito il difetto di motivazione della sentenza, quanto al mancato riconoscimento della desistenza volontaria, posto che egli avrebbe abbandonato i suoi propositi mentre l’azione era ancora in corso poichè, dopo aver colpito la vittima , si allontanò in sella alla sua bicicletta.

Con un secondo motivo, è stata eccepita la nullità per l’utilizzo da parte del giudice delle dichiarazioni spontanee rese dal ricorrente al momento della perquisizione domiciliare alla PG benchè assunte senza la presenza di interprete in lingua araba.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile, in quanto manifestamente infondato.

Quanto al primo motivo, va detto che la Corte territoriale ha correttamente escluso la ricorrenza della desistenza volontaria, atteso che come è noto, per poterla ritenere, occorre che la determinazione del soggetto agente di non proseguire nell’azione criminosa insorga indipendentemente da cause esterne che impediscano comunque la prosecuzione dell’azione o la rendano vana (Sez. 2^, 29.9.2009, n. 41484 Pm contro Aloisio). Ciò posto nessun elemento probatoriamente accertato è stato evidenziato come indicatore della interruzione della condotta omicidiaria in termini di opzione soggettiva e non quale fattore esterno all’imputato, ma anzi è stato sottolineato dalla corte territoriale ce l’azione lesiva, integrante gli estremi del tentativo compiuto incompatibile con l’applicazione dell’art. 56 c.p., comma 3, era stata posta in essere per cagionare alla vittima il maggior danno possibile e che l’effetto esiziale non si era prodotto solo per mera casualità (la reazione della vittima).

Anche il secondo motivo non ha pregio, poichè la corte territoriale ha evidenziato l’utilizzabilità delle dichiarazioni rese nell’immediatezza dall’indagato spontaneamente alla polizia giudiziaria, ai sensi dell’art. 350 c.p.p., u.c. nel giudizio allo stato degli atti richiesto dall’imputato, sottintendendo come dette dichiarazioni risultate rese dall’interessato siano a lui riportabili (salvo ritenere un clamoroso falso ideologico ad opera dei verbalizzanti); e poichè dette dichiarazioni risultano essere state rese in lingua italiana, si deve ritenere che l’imputato fosse in grado di esprimersi nella nostra lingua e dunque non fosse necessaria la presenza dell’interprete, non potendo portare ad opinare diversamente il solo fatto che in sede di udienza preliminare l’imputato sia stato assistito da interprete, misura che ben poteva rispondere ad un eccesso di cautela e di per sè sola non comprova che J. non comprendesse nè parlasse, ancorchè non perfettamente, la nostra lingua.

Si impone quindi la dichiarazione di inammissibilità del ricorso; a tale declaratoria, riconducibile a colpa del ricorrente, consegue la condanna al pagamento delle spese del procedimento e di somma che congruamente si determina in Euro 1000,00 a favore della Cassa delle ammende, giusto il disposto dell’art. 616 c.p.p., così come deve essere interpretato alla luce della sentenza della corte costituzionale n. 186/2000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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