Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 22-06-2011) 29-07-2011, n. 30291 Aggravanti comuni motivi abietti o futili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con sentenza deliberata in data 20 ottobre 2010 la Corte di assise di appello di Bologna – in parziale riforma della sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Modena in data 26 marzo 2010, nel senso che veniva esclusa l’aggravante di cui all’art. 61, n. 11 bis e venivano ritenute con giudizio di prevalenza le già concesse circostanze attenuanti generiche- condannava l’imputato O.M. per il reato di omicidio e per il reato di porto di coltello, alla pena ad anni 14 di reclusione.

Secondo la ricostruzione del fatto operata nella sentenza gravata O.M., nel corso di un alterco con E.A.M. per motivi legati al commercio di sostanza stupefacente, lo colpiva più volte al torace con un coltello con lama lunga quasi 20 centimetri, cagionandone la morte.

I giudici di merito si basavano, per l’affermazione di colpevolezza, sulle seguenti emergenze disponibili: 1) le ammissione dello stesso imputato che non aveva negato di aver aggredito la vittima; 2) l’accertamento medico legale che aveva ricostruito la dinamica dell’aggressione, evidenziando il carattere penetrante delle ferite, la lunghezza delle ferite, tutte deponenti per una forza viva impressa sufficiente a vincere la peculiare resistenza delle ossa nella zona emitoracica attinta; 3) le dichiarazioni testimoniali di tale E.F., che aveva rammentato frasi pronunciate dell’ O. chiaramente espressive di volontà omicidiaria. Il delitto veniva ritenuto consumato con dolo d’impeto e per motivi abietti, perchè il movente era da ricondursi al ricavo per una partita di stupefacente.

Veniva esclusa la provocazione e la pena veniva ritenuta congrua con una base più alta del minimo edittale a causa dell’indole violenta dell’imputato, del movente e dei precedenti penali fatti registrare dallo stesso.

2. – Avverso detta sentenza , tramite il proprio difensore, l’imputato ha interposto tempestivo ricorso per cassazione, censurando una parziale e contraddittoria valutazione delle risultanze processuali , soprattutto in punto mancata qualificazione del reato in termini di violazione art. 584 cod. pen.. Inoltre è stato contestato che l’aggravante dei motivi futili sia stata ritenuta, laddove la contesa sarebbe stata motivata da gravi offese che la vittima avrebbe lanciato all’imputato. Di qui la contestazione anche per una parziale e contraddittoria valutazione delle risultanze processuali in punto esclusione della provocazione. Immotivata infine sarebbe stata la scelta di determinare la pena su una base più alta del minimo edittale.

Motivi della decisione

Il ricorso va dichiarato inammissibile per la sua palese genericità, avendo fatto riferimento nei motivi ad argomentazioni già spese in secondo grado su cui è intervenuta una solida motivazione a confutazione , del tutto trascurata dal ricorrente.

Il fatto fedelmente ricostruito grazie ai contributi suindicati, esattamente interpretati, non poteva certamente essere qualificato come omicidio preterintenzionale laddove, come è noto, la differenza tra l’omicidio preterintenzionale e quello volontario passa attraverso l’elemento psicologico, nel senso che nell’ipotesi di reato di cui all’art. 584 cod. proc. pen. l’agente deve escludere qualsiasi previsione anche indiretta dell’evento morte (ex pluribus Sez. 1, 30.6.2009, n. 30304, Montagnoli, Sez. 1^). Ora, nel caso di specie i giudici di merito hanno correttamente desunto che l’ O. era animato da un dolo omicidiario diretto, ancorchè d’impeto, da una pluralità di dati di sicura ed inequivoca incidenza dimostrativa, quali la sede colpita (emitorace), la penetrazione e la lunghezza delle ferite, la forza impressa nell’incidere il corpo della vittima, le frasi pronunciate dall’imputato ("vado a prendere un coltello per ammazzarlo") prima del delitto e dopo il delitto, allorquando si vantava con enfasi della propria azione. Pertanto la valutazione della condotta in termini di omicidio volontario è stata aderente ai dati acquisiti e suona assolutamente corretta sotto il profilo giuridico, non prestandosi alle censure elevate.

Sull’aggravante di cui art. 61 c.p., n. 1, è stato ineccepibilmente ritenuto che la contesa tra l’ O. e la vittima sia intervenuta per motivi connessi al commercio di una partita di stupefacente, secondo quanto dallo stesso imputato riferito, e quindi di natura abietta, atteso che la spinta al delitto ha avuto origine da un reato e dunque si configura come espressione di un sentimento spregevole, consistente nella determinazione ad uccidere pur di conseguire il prezzo del turpe mercato (Sez. 1^ 19.12.2001, n. 12473 , Vaccaro).

Detto ciò va aggiunto che l’aggravante testè trattata e ritenuta è incompatibile con l’invocata attenuante della provocazione, sul presupposto che non possono coesistere due stati d’animo contrastanti, dei quali l’uno esclude l’ingiustizia dell’azione dell’antagonista (Cass. Sez. 5^, 26.1.2010, n. 17686, Matei), con il che ancora deve ritenersi corretta la valutazione dei giudici di merito sul punto.

Quanto infine alla doglianza sulla mancata motivazione sulla misura della pena, deve essere sottolineato che la Corte territoriale ha – contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa- ancorato la sua valutazione alla incapacità di autocontrollo manifestata dall’imputato, al precedente registrato per reato in materia di stupefacente, al fatto di avere l’ O. commesso il reato per motivi legati a questo illecito commercio, quadro questo che ha offerto ampia ragione dell’intervenuta inflizione di pena superiore al minimo edittale. Nessun deficit motivazionale è quindi apprezzabile nella sentenza impugnata.

Si impone quindi la dichiarazione di inammissibilità del ricorso ; a tale declaratoria, riconducibile a colpa del ricorrente , consegue la condanna al pagamento delle spese del procedimento e di somma che congruamente si determina in Euro 1000,00 a favore della cassa delle ammende , giusto il disposto dell’art. 616 c.p.p., così come deve essere interpretato alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 186/2000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al pagamento della somma di Euro 1.000,00 alla cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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