T.A.R. Lombardia Milano Sez. IV, Sent., 31-08-2011, n. 2126

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La Questura di Milano ha respinto l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno e contestuale conversione in permesso per motivi di lavoro autonomo presentata dal ricorrente in quanto egli risulta condannato nel 2008 per un reato connesso all’uso di sostanze stupefacenti.

Contro il suddetto atto il ricorrente solleva i seguenti motivi di ricorso.

I) Eccesso di potere per difetto di motivazione, di istruttoria e mancata e carente istruttoria valutazione dei presupposti per violazione dell’art. 5 c. 5 D. Lgs. 286/1998 e art. 9 c. 5 D. Lgs. 286/1998 in quanto mancherebbe la valutazione in merito alla durata del soggiorno ed all’inserimento sociale, lavorativo e familiare del ricorrente. Egli avrebbe una solida attività professionale, stabilità abitativa, regolarità contributiva e permanenza pluriennale in Italia.

II) Travisamento dei fatti ed illogicità in quanto non sarebbe stata data la possibilità all’interessato di fornire la propria versione dei fatti.

La difesa erariale ha chiesto la reiezione del ricorso.

2. Il ricorso è infondato.

Per quanto riguarda gli effetti delle condanne penali sul titolo di soggiorno occorre ricordare che la Corte costituzionale, con la sentenza 16 maggio 2008 n. 148, ha ribadito che "il cosiddetto automatismo espulsivo "altro non è che un riflesso del principio di stretta legalità che permea l’intera disciplina dell’immigrazione e che costituisce, anche per gli stranieri, presidio ineliminabile dei loro diritti, consentendo di scongiurare possibili arbitri da parte dell’autorità amministrativa" (ordinanza n. 146 del 2002)".

Questa regola incontra nella legge due eccezioni individuate dalla stessa pronuncia del giudice delle leggi il quale ha evidenziato che " con i decreti legislativi n. 3 e n. 5 dell’8 gennaio 2007 – rispettivamente, di attuazione delle direttive 2003/109/CE relativa allo status di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo e 2003/86/CE relativa al ricongiungimento familiare – il legislatore ha dato rilievo, in via generale, a ragioni umanitarie e solidaristiche idonee a giustificare il superamento di cause ostative al rilascio o al rinnovo dei titoli autorizzativi dell’ingresso o della permanenza nel territorio nazionale da parte degli stranieri".

A queste due ipotesi si aggiunge una terza, individuata dall’art. 5 c. 5 del D. Lgs. 286/1998, secondo il quale "il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, esso è revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l’ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 22, comma 9, e sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio e che non si tratti di irregolarità amministrative sanabili". Secondo la giurisprudenza l’ipotesi dei "nuovi elementi sopravvenuti che consentano il rilascio del permesso di soggiorno" nonostante la condanna penale sussiste in casi eccezionali nei quali la condanna risulta particolarmente risalente nel tempo ed isolata così che si possa ritenere che nel frattempo lo straniero abbia dato dimostrazione di un comportamento corretto e rispettoso delle leggi (TAR Lombardia, Brescia, I, 16 aprile 2008 n. 384).

Nel caso in questione non sussiste alcuna di queste situazioni particolari che escludono la rilevanza automatica della condanna penale.

Il ricorrente non ha chiesto il permesso di soggiorno di lungo periodo né risulta che abbia esercitato il ricongiungimento familiare. Da ultimo la condanna risulta emanata nell’anno 2008 e quindi non è risalente nel tempo con la conseguenza che non può ritenersi che sussista spazio per la valutazione di fatti sopravvenuti.

A ciò si aggiunge che la situazione lavorativa di cui il ricorrente dà prova risulta essere assai precaria in quanto l’attività artigiana da lui svolta è gravata da debiti contributivi soggetti a riscossione coattiva, il ricorrente ha presentato nel 2010 una dichiarazione di disoccupazione e da ultimo ha presentato una dichiarazione di assunzione ma la contribuzione INPS risulta nettamente inferiore al minimo legale negli ultimi due anni.

In questa situazione risulta impossibile una giudizio prognostico per lui favorevole in merito alla sua situazione personale successiva alla condanna, dovendo ritenersi, per contro, che la persona che è in possesso di redditi legali inferiori al minimo vitale nel periodo successivo alla condanna non dimostri una condotta di vita conforme alle leggi.

Anche il secondo motivo va respinto in quanto dall’atto risulta che il ricorrente ha partecipato al procedimento aperto per l’emanazione dell’atto impugnato né sussiste un particolare obbligo dell’amministrazione di motivare l’atto oltre a quanto in esso indicato.

In definitiva quindi il ricorso va respinto.

Sussistono comunque giustificati motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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