Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 16-06-2011) 29-07-2011, n. 30267

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

1. – Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Catanzaro, in sede di riesame, ha confermato il provvedimento del 26 novembre 2010 con cui il G.i.p. del Tribunale di Catanzaro aveva disposto la misura cautelare in carcere nei confronti di B.F. con riferimento ai reati di associazione per delinquere di stampo mafioso (capo 1) e associazione finalizzata al traffico di stupefacenti (capo 43), nonchè per alcuni episodi di estorsione aggravati dalla L. n. 203 del 1991, art. 7, (capi 14, 16 e 17) e di spaccio (capo 46), revocando la misura cautelare solo in relazione al delitto di detenzione illegale di armi (capo 2).

2. – Nell’interesse di B.F. ha presentato ricorso per cassazione il suo difensore di fiducia, contestando la ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.

Con riferimento alla tentata estorsione ai danni di F. E. (capo 14) il ricorrente assume la carenza degli elementi indiziari, in quanto ritiene insufficiente l’intercettazione telefonica cui ha fatto riferimento l’ordinanza: i giudici avrebbero equivocato il tenore della conversazione in cui B.F. non tentava di estorcere denaro al giostraio, ma chiedeva un aiuto economico attraverso il cambio di alcuni assegni. In ogni caso, mancherebbe la minaccia del male ingiusto per la configurabilità del reato.

Stessa situazione anche per il tentativo di estorsione ai danni di C.C. (capo 16): dalle dichiarazioni della persona offesa non emergerebbe alcun coinvolgimento di B.F. nelle intimidazioni e minacce, anche perchè è sempre rimasto distante dai luoghi in cui si verificava il fatto, come è risultato anche dalle riprese delle videocamere.

Riguardo alla estorsione di C.A. (capo 17), si sostiene che non ricorra la fattispecie astratta di cui all’art. 629 c.p., e, in subordine, che possa semmai ipotizzarsi il semplice tentativo.

Vengono ritenuti generici e equivoci gli elementi di prova a sostengo della detenzione di stupefacente (capo 46): la frase che avrebbe pronunciato l’imputato dopo la perquisizione dell’autovettura ("fanno la perquisizione a tutta la macchina ma io ce l’avevo addosso") non può essere considerato elemento dimostrativo della detenzione di droga.

Per quanto concerne il reato di associazione per delinquere finalizzato al traffico di stupefacenti (capo 43) il ricorrente deduce il vizio di motivazione. L’esistenza del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, viene affermata mutuandone la struttura e l’organizzazione da quella contestata al capo 1; il ricorso alle intercettazioni non riesce ad indicare le modalità operative dell’associazione e i giudici attribuiscono ad un programma della società criminale episodi singoli di cessione di stupefacenti che non possono essere attribuiti all’organizzazione; inoltre, le dichiarazioni dei collaboratori non risultano riscontrate.

Con riferimento al reato associativo di cui al capo 1 il ricorrente contesta innanzitutto la stessa esistenza dell’associazione, di cui l’ordinanza non avrebbe fornito le caratteristiche; inoltre, rileva che gli elementi probatori sarebbero costituiti da dichiarazioni accusatorie non riscontrate rese da collaboratori di giustizia ovvero dai risultati delle intercettazioni utilizzate come prove anzichè come fonti di prova.

2.1. – Successivamente il difensore dell’imputato ha depositato motivi aggiunti con cui eccepisce rinutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni effettuate presso l’abitazione della convivente di B.M. – K.E. – in quanto la polizia giudiziaria avrebbe sostituito le originarie apparecchiature di captazione con nuovi apparecchi noleggiati da una ditta privata senza alcuna autorizzazione da parte dell’autorità giudiziaria.

Inoltre, si deduce la perdita di efficacia dell’ordinanza cautelare ex art. 310 c.p.p. per la mancata trasmissione integrale dell’atto di convalida del decreto di intercettazione.

Infine, si censura l’ordinanza del Tribunale per con riferimento alle dichiarazioni dei collaboratori S.G., D.N.O. e B.F. ritenute erroneamente tra esse riscontrate, nonostante si tratti di racconti contraddittori e disomogenei.

Motivi della decisione

3. – L’ordinanza deve essere annullata con rinvio per quanto riguarda il capo 1 dell’imputazione provvisoria, relativa al reato associativo.

Il Tribunale ricava i gravi indizi di colpevolezza in ordine al ruolo di vertice ricoperto dall’indagato nell’associazione sulla base di una conversazione registrata il 10.12.2006 attraverso una intercettazione ambientale presso l’abitazione della cognata, K.E.. Si tratta dell’unico elemento indiziario che viene utilizzato dal Tribunale per sostenere l’appartenenza dell’indagato all’associazione, con un ruolo di vertice: dai brani di conversazione riportati nell’ordinanza emerge il coinvolgimento dell’imputato in fatti criminosi, tuttavia tali indizi non assumono quella gravità richiesta dalla legge per poter ritenere che abbia svolto un ruolo di rilievo nell’ambito dell’organizzazione, in quanto i dialoghi intercettati mancano di univocità circa l’intraneità del B. nel gruppo criminale e, soprattutto, non emerge il ruolo che lo stesso avrebbe ricoperto nel sodalizio. Invero, il Tribunale indica nelle dichiarazioni di D.N.O. un’altra fonte d’accusa, ma omette di riferirne, anche sommariamente, il contenuto, sicchè in accoglimento del motivo di ricorso deve riconoscersi il dedotto vizio di motivazione su questo capo dell’imputazione.

4. – L’annullamento con rinvio dell’ordinanza deve essere disposta anche per i capi 14 e 16, relativi ai due episodi di tentativo di estorsione.

4.1. – Nel caso dell’estorsione tentata ai danni di F. E. l’unico elemento indiziario è costituito dalla conversazione intercettata tra l’indagato e la K., da cui però emergono elementi non univoci sul reato contestato, avendo fatto l’indagato accenno ad assegni che il F. si era rifiutato di "cambiare", che non depongono per un rapporto necessariamente estorsivo; peraltro, il riferimento ai 4.000 Euro che il F. avrebbe dovuto dargli non costituisce, da solo, un elemento probatorio di gravità tale da giustificare il provvedimento cautelare.

4.2. – Ancora più carente la motivazione in ordine all’episodio ai danni di C.C., dal momento che dalla stessa ricostruzione dei fatti contenuti nell’ordinanza non risulta la partecipazione dell’indagato alle condotte estorsive, poste in essere materialmente da P.G. e P.F.; gli elementi per ritenere il concorso morale di B.F. nel tentativo estorsi vo non assurgono a livello di quella gravità indiziaria richiesta dall’art. 273 c.p.p., in considerazione della non univocità delle conversazioni dell’indagato oggetto di intercettazione e riportate nell’ordinanza.

5. – Nel resto il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

5.1. – I motivi con cui il ricorrente censura l’ordinanza per avere ritenuto sussistenti i gravi indizi per l’estorsione ai danni di C.A. sono del tutto generici, soprattutto in relazione all’ampia motivazione offerta dal Tribunale circa il pieno coinvolgimento dell’indagato in questo reato, coinvolgimento che viene sostenuto in maniera convincente e razionale in base alle stesse dichiarazioni rese dalla persona offesa, sottoposta al programma di protezione per i testimoni di giustizia.

Sebbene debba escludersi che l’indagato abbia interesse in questa fase cautelare alla qualificazione del reato come estorsione tentata e non consumata, deve tuttavia riconoscersi che, allo stato degli atti, il Tribunale ha correttamente ritenuto il reato consumato, dal momento che la persona offesa ha subito un danno patrimoniale dalla condotta degli autori dell’illecito.

5.2. – Del tutto infondato è il motivo con cui si deduce l’insufficienza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine all’episodio di trasporto di stupefacenti contestato al capo 46. La conversazione intercettata il 3.12.2007 tra l’indagato e la K. è stata correttamente ritenuta dal Tribunale inequivocabile circa il possesso dello stupefacente indosso a B. F. nel momento in cui avvenne il controllo da parte della polizia, che sottopose l’autovettura, su cui viaggiava assieme alla moglie, a perquisizione.

5.3. – Per quanto concerne il reato associativo di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, deve innanzitutto escludersi quanto sostenuto dal ricorrente circa un difetto della motivazione per avere ritenuto l’esistenza dell’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti come conseguenza dell’associazione di stampo mafioso. In questo caso le dichiarazioni dei collaboratori e i risultati delle intercettazioni sono riscontrati in termini oggettivi dall’esistenza degli specifici reati fine contestati all’indagato, sicchè correttamente il Tribunale ha affermato la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per il delitto di cui all’art. 74 cit.

Peraltro, dalle stesse intercettazioni emerge una struttura organi2zativa dell’associazione, con una rudimentale divisione di compiti, tra chi, come l’indagato, opera un controllo sul commercio degli stupefacenti e sulla riscossione del denaro, e chi si occupa dello spaccio della droga.

6. – Manifestamente infondate sono, infine, le doglianze contenute nei motivi aggiunti.

6.1. – La dedotta inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni presso la convivente dell’indagato per la sostituzione delle originarie apparecchiature di captazione non trova fondamento in alcuna norma processuale; inoltre, il ricorrente non rappresenta la rilevanza che la denunciata inutilizzabilità avrebbe sulla decisione impugnata.

6.2. – Deve escludersi che la mancata trasmissione integrale dell’atto di convalida del decreto di intercettazione comporti la perdita di efficacia dell’ordinanza cautelare, in quanto l’effetto caducatorio previsto dall’art. 309 c.p.p., commi 5 e 10, consegue solo alla mancata trasmissione al tribunale del riesame di tutti gli atti a suo tempo presentati al g.i.p. ex art. 291 c.p.p., e per trasmissione mancante deve intendersi quella riguardante l’atto nella sua integralità, in quanto ciò che si vuole assicurare è che in sede di riesame il controllo abbia ad oggetto lo stesso materiale probatorio utilizzato dal g.i.p. per disporre la misura cautelare.

Inoltre, non risulta dal ricorso se il detto atto di convalida sia già stato depositato ai sensi dell’art. 293 c.p.p., comma 3, e se, di conseguenza, la difesa sia stata già posta in grado di venire a conoscenza dell’atto che costituisce un presupposto dell’attività intercettativa.

6.3. – Infine, le critiche sui mancati riscontri delle dichiarazioni rese dai collaboratori devono ritenersi assorbite dal disposto annullamento relativo al reato associativo di cui al capo 1.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente ai capi 1, 14 e 16 e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Catanzaro.

Rigetta nel resto il ricorso.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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