Cass. pen., sez. II 13-04-2007 (02-04-2007), n. 15118 Mediatore – Somma di denaro trattenuta a titolo di provvigione – Prima della stipula, in forma scritta, del contratto, anche preliminare.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

MOTIVI DELLA DECISIONE
M.F. è stato condannato con sentenza del G.I.P. di Torino in data 21 febbraio 2001 per appropriazione indebita in danno di Mi.Fe..
Gli si addebitava di aver trattenuto – a suo dire a titolo di mediazione – la somma di 25 ml. di L. sui 30 ml. complessivamente consegnatigli da Mi.Fe. all’atto della formulazione di una proposta d’acquisto immobiliare a Intercostruzioni S.p.a.; il M., mediatore immobiliare che aveva messo in contatto le parti, avrebbe dovuto versare la somma in questione alla società venditrice, a titolo di caparra confirmatoria, in caso di effettiva conclusione dell’affare. Il M. si era difeso sostenendo che il contratto era stato effettivamente concluso, e che pertanto egli aveva diritto alla sua provvigione, della quale si era soddisfatto trattenendo parte della somma depositatagli fiduciariamente dal Mi.. In particolare, sosteneva che la proposta originariamente rivolta dal Mi. a Intercostruzioni S.p.a. era stata seguita da una controproposta della società venditrice con un lieve aumento di prezzo e modificazione di altre clausole, e che il Mi. avrebbe approvato per iscritto la nuova proposta di Intercostruzioni s.p.a..
La sentenza di condanna veniva appellata dall’imputato con la riproposizione delle medesime difese esposte al G.I.P., che venivano tuttavia disattese dalla Corte d’Appello di Torino, che in data 14 novembre 2005 confermava la sentenza impugnata. Rilevava la Corte territoriale che la tesi difensiva secondo cui il contratto si era concluso non poteva essere accreditata, poichè non v’era la prova dell’accettazione per iscritto della controproposta di Intercostruzioni s.p.a. da parte del Mi., ed anzi la successiva corrispondenza intercorsa tra le parti rivelava la rispettiva convinzione di non essersi reciprocamente vincolati. Posto che solo la conclusione del contratto – in veste preliminare o definitiva – segnava la nascita del diritto del mediatore alla provvigione, il M. non poteva disporre ad alcun titolo della somma che gli era stata fiduciariamente affidata solo perchè divenisse caparra confirmatoria in caso di sigla del preliminare. La Corte d’Appello respingeva altresì il motivo concernente il difetto di dolo, che il M. sosteneva con un parere del suo difensore in data 8 marzo 2000, nel quale si affermava che tra le parti era stato raggiunto un accordo sostanziale, idoneo generare la nascita del diritto alle provvigioni da parte del mediatore. Egli aveva trattenuto i 25 ml. confidando nel suo buon diritto e nell’affidabilità del parere del proprio legale. Contro la seconda sentenza di merito ricorre il M. a questa Suprema Corte con due motivi:
1. violazione degli artt. 1326 e 1362 c.c. per aver erroneamente ritenuto che nel caso di specie non si fosse realizzata la conclusione del contratto, e illogicità della motivazione nel punto in cui nega l’accettazione della controproposta di Intercostruzioni s.p.a da parte del Mi. per facta concludentia. Il ricorrente sostiene che il Mi. aveva dato esecuzione alla controproposta proveniente da Intercostruzioni s.p.a., e che tale comportamento equivaleva a conclusione del contratto (pagg. 4 e 5 del ricorso). La contraria affermazione della Corte d’Appello risulterebbe peraltro illogica e contraddittoria. Illogica, perchè fondata sulla valutazione di un documento (risposta di Intercostruzioni al legale del Mi. in data 7 febbraio 2000) posteriore alla pretesa conclusione del contratto, e quindi oggetto di valutazione solo eventuale; contraddittoria, perchè non teneva conto della lettera del legale del Mi., al quale la lettera del 7 febbraio 200 replicava, in cui si dichiarava di recedere dal contratto, dando perciò per scontato che il contratto fosse stato concluso.
Infine, il M. lamenta la mancata positiva valutazione dell’approvazione scritta del Mi. alla proposta di aumento del prezzo (da 800 a 820 ml. di L.) proveniente da Intercostruzioni s.p.a., che la Corte territoriale aveva ricollegato al disconoscimento della scrittura da parte del Mi..
2. Violazione degli artt. 51 e 59 c.p., in relazione alla mancata applicazione della scriminante putativa dell’esercizio di un diritto.
Subordinatamente al mancato accoglimento del primo motivo, il M. argomenta la sua buona fede col parere legale in data 8 marzo 2000, di cinque giorni anteriore alla data del commesso reato ipotizzato nella rubrica. Quel parere aveva legittimamente radicato in lui l’opinione che la ritenuta conclusione del contratto avesse fatto nascere il suo buon diritto alla percezione della provvigione, e tale convincimento non poteva essere ascritto ad alcuna condotta illecita o imprudente, avendo egli richiesto preventivamente lumi ad un professionista del quale non aveva motivi per diffidare. Peraltro, anche ove si fosse ritenuto il carattere colposo dell’erronea convinzione di esercitare il proprio diritto, nulla gli si sarebbe potuto ascrivere di penalmente rilevante, essendo necessario il dolo per integrare la fattispecie di appropriazione indebita.
Il ricorso è infondato.
Il contratto in funzione del quale il mediatore aveva messo in contatto le parti riguardava una compravendita immobiliare, soggetta a previsione di forma scritta ad substantiam sia quanto al definitivo (art. 1350 c.c.) sia quanto al preliminare (art. 1351 c.c.). Poichè questi due strumenti sono gli unici atti giuridici attraverso i quali era legittimamente possibile dare una pratica attuazione agli interessi sostanziali delle parti, la stipulazione in forma scritta coincideva necessariamente anche con la nozione di conclusione dell’affare cui l’art. 1755 c.c. subordina il diritto del mediatore alla provvigione. In tale senso si è espressa anche questa Corte (cfr. Cass. Civ., Sez. 3^, sent. n. 10553 del 19 luglio 2002, secondo cui ai fini del riconoscimento del diritto del mediatore alla provvigione, può essere considerata atto conclusivo dell’affare la stipula di un contratto preliminare, ma non allorchè quest’ultimo, relativo ad una compravendita immobiliare, sia nullo per difetto del requisito della forma scritta").
Il requisito della forma scritta ad substantiam rende irrilevante ogni discussione relativa ai pretesi comportamenti concludenti del Mi., i quali non avrebbero mai potuto surrogare il negozio solenne attraverso il quale doveva essere esternata la volontà positiva delle parti.
Rettamente dunque la sentenza impugnata ha negato la conclusione del contratto (e dell’affare rilevante ex art. 1755 c.c.), dopo aver rilevato sia che il comportamento delle parti escludeva che la loro volontà si fosse consolidata attorno a un contenuto condiviso, sia che non v’era prova della forma scritta. A tale proposito il primo motivo di ricorso evoca cumulando tale circostanza ai pretesi fatti concludenti l’approvazione scritta da parte del Mi. del nuovo prezzo indicato da Intercostruzioni s.p.a., mediante una postilla sottoscritta sulla controproposta della società venditrice. Tale approvazione sarebbe stata provata per mezzo della produzione di una copia del documento, disconosciuta dal Mi. e perciò non presa in considerazione dalla Corte d’Appello. In linea di principio, l’efficacia probatoria di una scrittura privata prodotta in copia nel processo penale è regolata da norme affatto diverse da quelle vigenti nel processo civile. In particolare, per quel che qui interessa, nè il disconoscimento della conformità della copia all’originale, nè il disconoscimento della paternità della scrittura da parte del soggetto indicato come suo autore producono di per sè gli effetti previsti dal diritto civile (art. 2719 c.c. e art. 214 c.p.c. e seg.), consistenti nell’impossibilità di utilizzare il documento come prova in favore di chi lo ha prodotto.
Dal disposto dell’art. 234 c.p.p., comma 2, si deduce al contrario che anche la copia è liberamente valutabile dal giudice penale, se l’originale sia smarrito o distrutto o sia comunque irrecuperabile.
Sotto questo profilo, la motivazione della Corte territoriale che svaluta l’efficacia di quel documento mediante la meccanica applicazione della norma civilistica sul disconoscimento appare insoddisfacente, sebbene posta a supporto di conclusioni condivisibili. In realtà l’incapacità di quel documento a dar conto della conclusione del contratto può affermarsi nel processo penale sulla base di un’altra caratteristica sostanziale la cui evocazione in questa sede va a correggere ed integrare la motivazione del giudice di merito: come si evince dalla stessa strutturazione del motivo di ricorso del M., che invoca in primis i fatti concludenti, e solo di rincalzo richiama una pretesa approvazione scritta che sarebbe in realtà per sè sola del tutto insuperabile e risolutiva, l’approvazione del Mi. non riguarda la proposta di Intercostruzioni, ma uno dei suoi elementi, ovvero il prezzo, mentre restavano impregiudicate e non ancora risolte questioni come il termine di stipulazione del definitivo e la destinazione d’uso del fabbricato. Non si era ancora definito l’incontro delle volontà, e l’approvazione di uno solo degli elementi della proposta poteva valere come puntuazione contrattuale, ma non come adesione alla controproposta. Peraltro il significato meramente interinale di quella scrittura è stato esattamente percepito e descritto dallo stesso ricorrente, il quale non la invoca come prova della conclusione del contratto, ma come elemento ulteriore di credibilità della tesi (come si è visto, inadeguata a superare il precetto sulla forma solenne) che affida ai fatti concludenti la prova della stipulazione.
Relativamente al secondo motivo, una volta escluso che il M. potesse vantare un qualche diritto alla provvigione, e che quindi ricorresse la scriminante di cui all’art. 51 c.c. l’analisi deve concentrarsi sulla prospettata ipotesi della putatività ex art. 59 c.c.. Il ricorrente sostiene di aver fatto affidamento su un parere legale che affermava la natura contrattuale dell’accordo intervenuto tra il Mi. e Intercostruzioni s.p.a., ma tale circostanza non può in alcun modo giovargli. Anzitutto, la valutazione espressa in quel parere, che non dava alcun risalto alla necessità della forma scritta, era palesemente sospetta, specie per un addetto ai lavori quale il M., e non poteva quindi indurre alcun legittimo dubbio circa la mancata conclusione del contratto. In secondo luogo, la finalità della prestazione legale e l’interesse di chi la richiede ne orientano e determinano il contenuto in modo assolutamente decisivo, sicchè esso non può imputarsi con certezza ad una sfera di pensiero e di interessi esterna al suo fruitore. E’ in particolare per questo suo specifico profilo che il parere legale non può – in linea generale – essere equiparato a uno di quei fatti strettamente oggettivi che possono determinare la supposizione erronea circa l’esistenza di una causa di giustificazione.
Il gravame risulta pertanto infondato, con la consequenziale condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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