Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 16-06-2011) 29-07-2011, n. 30257

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Con la decisione in epigrafe indicata la Corte d’appello di Genova, in parziale riforma della sentenza del 2 dicembre 2005 emessa dal Tribunale di Massa, appellata dall’imputato e dalle parti civili, riconosciuta la sussistenza delle circostanze attenuanti generiche, ha ridotto la pena ad anni uno e mesi quattro di reclusione nei confronti di P.G., imputato del reato di calunnia, confermando nel resto le statuizioni civili.

L’imputato, con denuncia presentata alla procura della Repubblica di Massa il 7.2.1997 e con successiva opposizione alla richiesta di archiviazione del 20.5.1997, aveva accusato M.E., Me.Ma. e R.V., tutti appartenenti alla polizia di Stato, di averlo malmenato, minacciato, ingiuriato e trattenuto in questura indebitamente, accuse risultate false in quanto dirette al solo scopo di precostituirsi una scusante nel procedimento penale nel quale era indagato per resistenza a pubblico ufficiale.

2. – L’imputato, tramite il suo difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione per i seguenti motivi.

Innanzitutto denuncia la manifesta illogicità della motivazione della sentenza che al riconoscimento esplicito circa la possibilità che uno degli agenti possa aver "perso la pazienza" e reagito in modo poco professionale alle provocazione dell’imputato non fa derivare alcuna conseguenza, neppure sotto il profilo dell’elemento soggettivo del reato, limitandosi a concedere le attenuanti generiche.

Con il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 541 c.p.p., in quanto la Corte territoriale avrebbe fatto riferimento alle spese processuali delle parti civili nella motivazione, ma non anche nel dispositivo.

Con una successiva memoria il difensore dell’imputato ha eccepito l’avvenuta prescrizione del reato.

3. – Il ricorso è inammissibile.

3.1. – Preliminarmente deve respingersi l’eccezione di prescrizione del reato, in quanto nella specie trova applicazione la vecchia disciplina contenuta negli artt. 157 e seg. c.p., che per il reato di calunnia prevede il termine massimo di prescrizione di quindi anni, sicchè il reato in questione, consumato il 7.2.1997, non risulta fino ad oggi estinto.

Infatti, ai fini dell’operatività delle disposizioni transitorie della nuova disciplina della prescrizione, introdotta dalla L. n. 251 del 2005, la pronuncia della sentenza di condanna di primo grado determina la pendenza in grado d’appello del procedimento, pendenza che è condizione ostativa all’applicazione retroattiva delle norme più favorevoli (Sez. un., 29 ottobre 2009, n. 47008, D’Amato). Nel caso in esame la sentenza di primo grado è del 2 dicembre 2005, per cui al momento di entrata in vigore della nuova disciplina (8.12.2005) pendeva già l’appello.

3.2. – Con il primo motivo di ricorso l’imputato ha dedotto il vizio di motivazione, proponendo una ricostruzione alternativa dei fatti rispetto a quanto sostenuto in sentenza.

Occorre ribadire che, ai sensi di quanto disposto dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il controllo di legittimità sulla motivazione non concerne nè la ricostruzione dei fatti nè l’apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile, cioè l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato e l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. Peraltro, l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente ("manifesta illogicità"), cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze. In altri termini, l’illogicità della motivazione, deve risultare percepibile ictu oculi, in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali. Inoltre, va precisato, che il vizio della "manifesta illogicità" della motivazione deve risultare dal testo del provvedimento impugnato, nel senso che il relativo apprezzamento va effettuato considerando che la sentenza deve essere logica "rispetto a se stessa", cioè rispetto agli atti processuali citati nella stessa ed alla conseguente valutazione effettuata dal giudice di merito, che si presta a censura soltanto se, appunto, manifestamente contrastante e incompatibile con i principi della logica.

I limiti del sindacato della Corte non sono mutati neppure a seguito della nuova formulazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), intervenuta a seguito della L. 20 febbraio 2006, n. 46, là dove si prevede che il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve mirare a verificare che la motivazione della pronuncia sia "effettiva" e non meramente apparente, cioè realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; non sia "manifestamente illogica", in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; non sia internamente "contraddittoria", ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi del suo ricorso per Cassazione: cd. autosufficienza) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico.

Alla Cassazione, infatti, non è tuttora consentito di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti magari finalizzata, nella prospettiva del ricorrente, ad una ricostruzione dei medesimi in termini diversi da quelli fatti propri dal giudice del merito. Così come non sembra affatto consentito che, attraverso il richiamo agli "atti del processo", possa esservi spazio per una rivalutazione dell’apprezzamento del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamento riservato in via esclusiva al giudice del merito. In altri termini, al giudice di legittimità resta preclusa – in sede di controllo della motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa: un tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto. Pertanto la Cassazione, anche nel quadro nella nuova disciplina, è e resta giudice della motivazione.

Nel caso in esame dalla sentenza si apprende che la vicenda trae origine da un incidente stradale provocato dal P., alla guida della sua autovettura, con a bordo l’amico R.; a seguito del violento incidente, nel quale erano state coinvolte altre autovetture, era immediatamente intervenuta una pattuglia della polizia di Stato composta da M., Me. e R.. A questo punto, secondo quanto riferito dall’imputato nella sua denuncia, il R. lo avrebbe strappato dall’abitacolo dell’autovettura, facendolo sbattere con la testa contro il montante; inoltre, lo avrebbe ingiuriato chiamandolo "stronzo, bastardo" e puntandogli l’arma contro; poi lo avrebbe perquisito, minacciato e percosso; a questo punto il Me. lo avrebbe colpito al volto; dopo l’arrivo di un’altra pattuglia vi sarebbe stato un altro litigio con scambi di colpi; sarebbe stato, quindi, ammanettato e condotto in questura, dove avrebbe ricevuto un pugno al volto dal Me. perchè si era rifiutato di sottoscrivere il verbale.

I giudici d’appello hanno ritenuto infondate queste accuse sulla base delle numerose testimonianze acquisite nel corso del dibattimento di primo grado, che hanno dimostrato l’inattendibilità di quanto dichiarato dall’imputato. In particolare, la Corte territoriale ha ritenuto di dover correggere la motivazione della sentenza di primo grado là dove aveva sostenuto che, ferma la responsabilità dell’imputato, "il comportamento delle persone offese (in particolare del Me. e del R.) non sia stato del tutto impeccabile e immune da censure", sostenendo che probabilmente vi furono "uno o due schiaffi dei poliziotti al P.". I giudici di apello ritengono che a causa della precedente condotta di guida dell’imputato e dell’atteggiamento arrogante dello stesso, è possibile che uno degli agenti abbia "perso la pazienza" reagendo poco professionalmente alle provocazioni verbali del p., ma in ogni caso deve escludersi che ciò possa essere ricondotto alle fattispecie penali indicate nella denuncia presentata dall’imputato.

Si tratta di una motivazione che appare logica e coerente con gli elementi di prova acquisiti, sicchè le censure proposte si rivelano del tutto infondate, oltre che inammissibili nella parte in cui mirano a fornire una lettura alternativa dei fatti.

3.3. – Con riferimento alla denunciata omissione contenuta nella sentenza d’appello, che non ha fatto menzione nel dispositivo della condanna dell’imputato alla rifusione delle spese in favore delle parti civili costituite, si rileva che il ricorrente non ha alcun interesse a dolersi di un tale vizio della sentenza.

4. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso, consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e a versare una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, che si ritiene equo determinare in Euro 1000,00 in considerazione delle questioni trattate.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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