Cass. civ. Sez. III, Sent., 21-12-2011, n. 27908

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

V.R., A., Pi. e B.P., eredi di B.V., convennero in giudizio dinanzi al Tribunale di Siracusa B.G. e R.A. chiedendo la condanna dei convenuti alla restituzione in loro favore della somma di L. 90.000.000, oltre interessi, agli stessi anticipata dal dante causa di essi attori, B.V., ed utilizzata per l’acquisto di un immobile.

Deducevano gli attori che tale somma era stata versata dallo stesso B.V. direttamente al venditore dell’immobile e che i convenuti non avevano restituito il prestito.

I medesimi convenuti contestavano le domande attrici, deducendo che il prezzo d’acquisto era stato da loro versato, per come risultava dal relativo atto pubblico, e che se anche B.V. avesse contribuito al pagamento dell’immobile, ciò aveva fatto in restituzione di prestiti ricevuti dal fratello, oltre che per regolare la gestione di beni comuni amministrati solo da lui.

Il Tribunale rigettava la domanda attrice affermando che non era stata fornita la prova di un contratto di mutuo erogato da B. V. ai coniugi B. – R..

Avverso la relativa sentenza proponevano appello V.R. e A., Pi. e B.P. chiedendo la riforma della sentenza impugnata e l’integrale accoglimento della domanda di restituzione della suddetta somma.

La Corte d’Appello ha rigettato l’appello e confermato la sentenza di primo grado.

Propongono ricorso per cassazione V.R. e B.A., P. e Pi. con tre motivi.

Resistono con controricorso R.A., An. e b.

a..

Motivi della decisione

Con il primo motivo del ricorso si denuncia "Violazione art. 360, n. 5, in relazione all’art. 112 c.p.c.. Errata qualificazione della domanda".

Secondo parte ricorrente la Corte d’Appello ha errato nella qualificazione giuridica della domanda proposta ritenendola diretta alla restituzione di un prestito ex art. 1813 c.c., piuttosto che diretta a ottenere il rimborso per le anticipazioni effettuate in esecuzione di un mandato ricevuto ed eseguito, in applicazione dell’art. 1720 c.c..

Il motivo deve essere rigettato.

Inopportunamente è richiamato l’art. 112 c.p.c., perchè tale disposizione non riguarda la diversa qualificazione della domanda.

Il vizio avrebbe dovuto essere denunciato come vizio di motivazione.

E comunque l’interpretazione della domanda giudiziale, consistendo in un giudizio di fatto, è incensurabile in sede di legittimità: la Corte di cassazione è abilitata all’espletamento di indagini dirette al riguardo soltanto allorchè il giudice di merito abbia omesso l’indagine interpretativa della domanda, ma non se l’abbia compiuta ed abbia motivatamente espresso il suo convincimento in ordine all’esito dell’indagine stessa (Cass., 11 marzo 2011, n. 5876; Cass., 5 ottobre 2009, n. 21228).

Con il secondo motivo si denuncia "Violazione art. 360, nn. 3, 4 e 5.

Falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., artt. 1720, 1719, 2697, 1417, 2722 c.c.. Omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia".

Si censura quella parte della sentenza in cui non ha eseguito "una corretta, puntuale, congrua ed integrale disamina di tutti gli elementi probatori acquisiti".

In particolare, si afferma, la sentenza non ha esaminato copia di una lettera datata 25 marzo 1998, avente valore di confessione stragiudiziale, con la quale i predetti coniugi ammettevano l’effettivo versamento dei 90 milioni; il verbale di interrogatorio formale reso dai coniugi in primo grado e la testimonianza di R.S..

Il motivo non è autosufficiente perchè non sono stati trascritti i capitoli di prova. E’ infatti privo di autosufficienza il ricorso fondato su motivo con il quale viene denunziato vizio di motivazione in ordine all’assunta prova testimoniale, omettendo di indicare nel ricorso i capitoli di prova non ammessi ed asseritamente concludenti e decisivi al fine di pervenire a soluzioni diverse da quelle raggiunte nell’impugnata sentenza (19 marzo 2007, n. 6440).

Con il terzo motivo si denuncia "Violazione art. 360, n. 4, in relazione all’art. 112 c.p.c.".

Secondo parte ricorrente la sentenza ha omesso di pronunciarsi su due domande ritualmente proposte in via subordinata dalla parte commettendo un error in procedendo per violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.

I ricorrenti sia in primo che in secondo grado hanno espressamente invocato, in via subordinata l’art. 2033 c.c., nel caso in cui fosse stata rigettata l’actio mandati per nullità del titolo e in via ancora più subordinata l’art. 2041 c.c..

Su queste domande, si afferma, la Corte ha completamente taciuto, mentre la giurisprudenza ha più volte espresso il principio in base al quale quando il contratto è nullo per difetto di forma ma abbia avuto comunque esecuzione, si realizza un indebito oggettivo ex art. 2033 c.c..

Il motivo non è autosufficiente.

In tema di ricorso per cassazione, ai fini della ammissibilità del motivo con il quale si lamenta un vizio del procedimento ( art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 4) per erronea individuazione del "chiesto" ex art. 112 cod. proc. civ. (nella specie, l’esistenza di un concorso dei danneggiati nella causazione del danno, ai sensi dell’art. 1227 cod. civ.), affermandosi che la deduzione della situazione di fatto pertinente alla richiesta è avvenuta sin dalla comparsa di costituzione in primo grado, è necessario che il ricorrente, alla luce del principio di autosufficienza dell’impugnazione, indichi le espressioni con cui detta deduzione è stata formulata nel giudizio di merito, non potendo a tal fine limitarsi ad asserire che si tratti di fatto pacifico allorchè neppure individui l’allegazione con la quale esso sarebbe stato introdotto e mantenuto nella controversia, posto che è pacifico soltanto il fatto che la parte abbia allegato, in modo tale che la controparte possa ammetterlo direttamente ed espressamente oppure in modo indiretto, attraverso l’affermazione di un fatto che lo presupponga (Cass., 30 aprile 2010, n. 10605).

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato con condanna di parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre rimborso forfettario delle spese generali ed accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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