Cass. civ. Sez. III, Sent., 21-12-2011, n. 27907

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Svolgimento del processo

R.R. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Catanzaro la Regione Calabria, chiedendone la condanna al pagamento della somma di L. 312.463.0409, a titolo di ingiustificato arricchimento in relazione a opere eseguite su commissione della convenuta.

Costituitasi in giudizio, la Regione contestò le avverse pretese.

Con sentenza del 21 maggio 2005 il giudice adito accolse la domanda.

Proposto gravame dall’Ente, la Corte d’appello, in data 27 maggio 2008, in parziale riforma della decisione impugnata, ha rideterminato in Euro 14.889,82 il credito dell’attore.

Ha ritenuto il decidente, per quanto qui interessa, che, sulla base delle risultanze della prova orale, potevano ritenersi eseguite in favore della Regione Calabria le sole prestazioni riferite ai cantieri di Locri negli anni 1984, 1985 e 1986; che peraltro i mandati di pagamento emessi dall’Ente dovevano ritenersi assolti, benchè mancassero della sottoscrizione dei funzionari emittenti, posto che tra gli stessi ve n’erano alcuni che l’attore aveva ammesso, espressis verbis, di avere riscosso.

Per la cassazione di detta pronuncia ricorre R.R., formulando due motivi.

Resiste con controricorso la Regione Calabria.

Il collegio ha raccomandato una motivazione particolarmente sintetica.

Motivi della decisione

1.1 Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione degli artt. 132, 115 e 116 cod. proc. civ., mancanza insufficienza e contraddittorieta della motivazione. Sostiene che arbitrariamente il giudice di merito avrebbe presunto il pagamento dei mandati, pur in assenza del relativo atto di quietanza del creditore.

1.2 Con il secondo mezzo denuncia violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nonchè, ancora una volta, vizi motivazionali, in relazione all’assunto della Corte d’appello secondo cui poteva ritenersi dimostrata l’esecuzione di alcuni soltanto dei lavori fatturati dal R..

2 Il ricorso è inammissibile. Valga al riguardo considerare che le prospettate censure, le quali peraltro in buona parte sono volte a sollecitare una rivalutazione dei fatti e delle prove preclusa in sede di legittimità, sono gravemente carenti sul piano dell’autosufficienza. E invero il ricorrente, pur allegando, in chiave di violazione di legge e di vizi motivazionali, l’erronea valutazione dei documenti versati in atti, non ha adempiuto nè all’onere di indicare esattamente in ricorso in quale fase processuale e in quale fascicolo di parte si trovino i documenti in questione; nè all’onere di trascriverne o riassumerne nel ricorso il contenuto, così disattendendo il disposto dell’art. 366 cod. proc. civ., comma 1, n. 6 (Cass. civ. 4 settembre 2008, n. 22303).

3 A ciò aggiungasi che il ricorso, in ragione della data della sentenza impugnata (successiva al 2 marzo 2006 e antecedente al 4 luglio 2009), e in base al comb. disp. del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 27, comma 2 e L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58, deve ritenersi soggetto, quanto alla sua formulazione, alla disciplina di cui all’art. 360 cod. proc. civ., e segg., nel testo risultante dal menzionato D.Lgs. n. 40 del 2006. In base a tali norme, e segnatamente, in base all’art. 366 bis cod. proc. civ., nei casi previsti dall’art. 360, comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5, l’esposizione della censura va completata con la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione. (Cass., sez. un., 12 maggio 2008, n. 11652).

La giurisprudenza di questa Corte ha peraltro chiarito che la funzione propria del quesito di diritto, da formularsi a pena di inammissibilità del motivo proposto, è di far comprendere alla Corte di legittimità, dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (confr. Cass. civ. 25 marzo 2009, n. 7197). Di qui l’enucleazione, come fondamentale criterio di scrutinio della corretta formulazione del quesito stesso, della sua conferenza, rispetto alla fattispecie dedotta in giudizio, nonchè della sua rilevanza, ai fini della decisione del ricorso (confr. Cass. civ. 4 gennaio 2011).

Infine, pur nella riconosciuta ammissibilità di motivi di impugnazione nei quali si denunzino insieme vizi di violazione di legge e vizi motivazionali, è stata tuttavia affermata la necessità che il motivo si concluda con una pluralità di quesiti, ciascuno dei quali contenga un rinvio all’altro, al fine di individuare su quale fatto controverso vi sia stato, oltre che un difetto di motivazione, anche un errore di qualificazione giuridica del fatto (confr. Cass. sez. un. 31 marzo 2009, n. 7770; Cass. civ. 18 gennaio 2008, n. 976).

3 Venendo al caso di specie, i due motivi di ricorso, con i quali si denunciano, come detto innanzi, sia violazione degli artt. 132, 115 e 116 cod. proc., sia vizi motivazionali, si concludono con i seguenti quesiti: dica la Corte se la motivazione in ordine alla presunzione di avvenuto pagamento sulla scorta di mandati esibiti dalla Regione Calabria e non quietanzati, possa valere quale prova di estinzione del credito (primo motivo); dica la Corte se nessuna motivazione sia dato rinvenire, ovvero se la motivazione addotta sia meramente apparente, insufficiente e in contrasto con gli atti e le risultanze processuali.

Tali formule non presentano nè i caratteri del momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), volto a circoscrivere puntualmente i limiti delle allegate incongruenze argomentative, in maniera da non ingenerare incertezze sull’oggetto della doglianza e sulla valutazione demandata alla Corte (confr. Cass. civ. 1 ottobre 2007, n. 20603); nè quello del quesito di diritto vero e proprio, da articolarsi a sostegno degli evocati errores in iudicando, posto che si risolvono, a ben vedere, nella tautologica e generica richiesta alla Corte di accertare la fondatezza delle censure, senza alcuna esplicitazione dell’errore di diritto asseritamente commesso dal giudice di merito, e della regula iuris alternativa e di segno opposto proposta dall’impugnante (confr. Cass. civ. 19 febbraio 2009, n. 4044).

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 2.200,00 (di cui Euro 2.000,00 per onorari), oltre I.V.A. e C.P.A., come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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