Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 27-05-2011) 29-07-2011, n. 30287

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 23 settembre 2010 la Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, ha confermato la condanna a mesi 3 di arresto ed Euro 5.000,00 di ammenda inflitta a M.A. e R.S. dal Tribunale di Taranto, sezione distaccata di Grottaglie, siccome ritenuti penalmente responsabili, in concorso fra di loro, dei seguenti reati, accertati fino alla data del 3 febbraio 2006:

– reato di cui al capo 1) della rubrica ( D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 22, comma 12: aver illecitamente occupato il primo quale presidente del circolo "Club Estro", il secondo quale gestore, alle proprie dipendenze presso i locali di detto circolo cinque cittadine extracomunitarie prive del permesso di soggiorno con mansioni di ballerine ed intrattenitrici della clientela maschile che frequentava il circolo anzidetto);

– reato di cui al capo 2) della rubrica ( art. 681 cod. pen.: avere in concorso fra di loro aperto un luogo di pubblico spettacolo (lap dance) in mancanza del prescritto certificato di agibilità e relativa procedura di cui all’art. 80 T.U.L.P.S.).

2. Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Lecce ricorrono personalmente per cassazione sia M.A. che R. S..

3. M.A. ha dedotto:

a)- inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, per essere stati acquisiti i verbali di sommarie informazioni rese dalle cittadine extracomunitarie rinvenute nel locale sottoposto a sequestro senza che fosse stata fatta alcuna menzione circa la reale conoscenza da parte delle dichiaranti della lingua italiana;

b)- erronea applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 22, comma 12 in quanto nella specie non era stata provata la sussistenza di un vero e proprio rapporto di lavoro con un preciso orario ed una precisa quantificazione della retribuzione; del resto dette cittadine rumene erano state regolarmente inserite nel libro dei soci del circolo ed avevano detto più volte di non lavorare all’interno del circolo;

c)- violazlone dell’art. 2 cod. pen. in quanto l’inserimento della Romania nella Comunità Europea dal gennaio 2007 aveva fatto venir meno l’antigiuridicità dei comportamenti penalmente sanzionati dal D.Lgs. n. 286 del 1998;

d)- violazione dell’art. 681 cod. pen. in quanto la sua condanna per tale reato era stata fondata unicamente sulla deposizione resa dal teste M.P., ispettore di p.s., da ritenere semplici congetture e personali opinioni; la violazione della norma di legge anzidetta avrebbe potuto configurarsi solo in caso di inosservanza di specifiche prescrizioni contenute nella licenza rilasciata dall’autorità di p.s., a norma dell’art. 80 del T.U.LP.S. a garanzia della pubblica incolumità e non nel caso in cui la licenza mancava del tutto, come nel caso in esame, essendo tale ipotesi prevista dall’art. 666 cod. pen., norma ormai depenalizzata;

e)- sopraggiunta prescrizione di entrambi i reati ex art. 157 cod. pen..

4. R.S. ha dedotto:

a)- inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, in quanto erano stati acquisiti i verbali di sommarie informazioni rese innanzi agli organi inquirenti dalle cittadine extracomunitarie rinvenute nel locale sottoposto a sequestro senza che fosse stata fatta alcuna menzione circa la reale conoscenza da parte loro della lingua italiana;

b)- erronea applicazione dell’art. 110 cod. pen. in quanto egli era stato indicato come gestore di fatto del circolo privato "Estro" per aver fornito vitto ed alloggio gratis alle allora cittadine extracomunitarie; il che tuttavia non provava in capo ad esso ricorrente lo svolgimento di un’attività do gestione del predetto circolo privato; neppure era stato provato che esso ricorrente avesse piena consapevolezza del mancato assolvimento degli obblighi, che gravavano sul coimputato presso l’ufficio immigrazione della Questura di Taranto; neppure era stato provato che l’abitazione nella quale le cittadine extracomunitarie dimoravano fosse di sua proprietà;

c)- erronea applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 22, comma 12, in quanto nella specie non era stata provata la sussistenza di un vero e proprio rapporto di lavoro con un preciso orario ed una precisa quantificazione della retribuzione; del resto dette cittadine rumene erano state regolarmente inserite nel libro dei soci del circolo ed avevano detto più volte di non lavorare all’interno del circolo; non poteva essere ritenuto come svolgimento di attività lavorativo l’avere dette cittadine extracomunitarie danzato in modo alquanto provocante all’interno dei locali del circolo;

d)- violazione dell’art. 2 cod. pen. in quanto l’inserimento della Romania nella Comunità Europea dal gennaio 2007 aveva fatto venir meno l’antigiuridicità dei comportamenti penalmente sanzionati dal D.Lgs. n. 286 del 1998;

e)- errata applicazione dell’art. 681 c.p. in quanto la sua condanna per tale reato era stata fondata unicamente sulla deposizione resa dal teste M.P., ispettore di p.s., da ritenere semplici congetture e personali opinioni; la violazione della norma di legge anzidetta avrebbe potuto configurarsi solo in caso di inosservanza di specifiche prescrizioni contenute nella licenza rilasciata dall’autorità di p.s., a norma dell’art. 80 del T.U.L.P.S. a garanzia della pubblica incolumità e non nel caso in cui la licenza mancava del tutto, come nel caso in esame, essendo tale ipotesi prevista dall’art. 666 cod. pen., norma ormai depenalizzata;

f)- sopraggiunta prescrizione di entrambi i reati ex art. 157 cod. pen..

Motivi della decisione

1. Il motivo di ricorso proposto sub a) da entrambi i ricorrenti è inammissibile siccome manifestamente infondato.

Dall’esame degli atti di causa non risulta che la censura in esame (essere state raccolte dagli organi inquirenti le dichiarazioni rese dalle cinque cittadine rumene, all’epoca della contestazione dei reati extracomunitarie, senza accertare la loro effettiva conoscenza della lingua italiana) sia stata formulata nel momento in cui erano state acquisite le loro dichiarazioni; nè risulta aliunde che tali cittadine extracomunitarie non avessero percepito le domande ad esse rivolte almeno nelle loro linee essenziali.

2. E’ altresì inammissibile siccome manifestamente infondato il motivo di ricorso proposto sub c) dal M. e sub d) dal R..

Con esso i ricorrenti hanno sostenuto che, essendo le cinque cittadine extracomunitarie rinvenute nel locale d’intrattenimento anzidetto cittadine rumene, per effetto dell’ingresso della Romania nella Comunità Europea a far data dal 1.1.07, le stesse non potevano più ritenersi cittadine extracomunitarie, si che il reato ad essi contestato non poteva più ritenersi sussistente, in applicazione dei principi in materia di successione di leggi penali contenuti nell’art. 2 c.p..

Si rileva invero che le norme che hanno modificato lo status dei rumeni, facendoli diventare cittadini dell’Unione Europea, non possono considerarsi integratrici della norma penale e quindi non possono ritenersi operare retroattivamente, non essendo applicabile alla specie l’art. 2 c.p., comma 2, il quale, in tema di successione di leggi penali, stabilisce che la modificazione della norma extrapenale richiamata dalla disposizione incriminatrice esclude la punibilità del fatto precedentemente commesso se tale norma extrapenale sia integratrice dì quella penale oppure abbia la stessa efficacia retroattiva di quest’ultima (cfr., in termini, Cass. SS.UU. 27.9.07 n. 2451).

Con la sentenza da ultimo citata, le SS.UU. di questa Corte, richiamando una precedente sentenza (Cass. SS. UU. 26.3.03 n. 25887), hanno affermato che per individuare l’ambito di applicazione dell’art. 2 c.p., comma 2, non poteva utilizzarsi il criterio della doppia punibilità in concreto e che, quindi, non era sufficiente considerare se il fatto punito in base alla legge anteriore, fosse o meno punito anche in base alla legge posteriore.

Al contrario, l’indagine sugli effetti penali della successione delle leggi extrapenali va condotta facendo riferimento alla fattispecie astratta e non al fatto concreto, onde stabilire se la norma extrapenale modificata svolga, in collegamento con la disposizione incriminatrice, un ruolo tale da far ritenere che, pur essendo rimasta letteralmente immutata, la fattispecie risultante dal collegamento tra la norma penale e quella extrapenale sia cambiata ed in parte non sia più prevista dalla legge come reato.

In questo caso infatti ci si trova in presenza di un’abolitio criminis parziale, analoga a quella che si verifica quando è la stessa disposizione penale ad essere modificata con l’esclusione di una porzione di fattispecie che prima non ne faceva parte.

La successione avvenuta fra norme extrapenali non incide invece sulla fattispecie astratta, ma comporta, più semplicemente, un caso in cui in concreto il reato non è più configurabile quando, rispetto alla norma incriminatrice, la modificazione della norma extrapenale comporta solo una nuova e diversa situazione di fatto.

L’adesione della Romania all’Unione Europea, col conseguente acquisto da parte dei rumeni della condizione di cittadini Europei, non ha determinato la non punibilità del reato contestato sub 1) agli odierni ricorrenti, siccome commesso dagli stessi prima del 1.1.07, data di entrata in vigore del trattato di adesione, in quanto tale trattato e la relativa legge di ratifica si sono limitati a modificare una situazione di fatto, facendo solo perdere ai rumeni la condizione di stranieri, senza che tuttavia tale circostanza possa avere operato retroattivamente sul reato già commesso (cfr., in termini, Cass. SS.UU. 27.9.07 n. 2451).

3. E’ inammissibile siccome manifestamente infondato anche il motivo di ricorso proposto dal M. sub b) e dal R. sub c).

Con essi i ricorrenti lamentano che non era stato provato che le cinque cittadine rumene rinvenute all’interno del locale da essi gestito stessero svolgendo attività lavorativa dio tipo subordinato.

Va al contrario rilevato che la sentenza impugnata, con motivazione incensurabile nella presente sede, siccome conforme ai canoni della logica e della non contraddizione, ha rilevato, sulla base delle dichiarazioni rese dal teste M., come le medesime erano intente ad offrire spettacoli di carattere decisamente erotico, da qualificare come prestazioni lavorative effettuate nell’interesse dei gestori del locale per il divertimento dei propri avventori.

Si rileva infatti che il ruolo di questa Corte di legittimità non consiste nel sovrapporre le proprie valutazioni delle fonti di prova rispetto a quelle compiute dal giudice di merito, bensì nello stabilire se quest’ultimo abbia esaminato tutti gli elementi a propria disposizione; se abbia fornito una corretta interpretazione di tali elementi; se abbia applicato le regole della logica nello sviluppare le argomentazioni, in forza delle quali sono state preferite alcune conclusioni rispetto ad altre pure astrattamente ipotizzabili; se le argomentazioni poste a fondamento della decisione conseguano ad un apprezzamento ragionevole e coerente del materiale probatorio sottoposto al suo esame; il che è da ritenere avvenuto nella specie in esame (cfr., in termini, Cass. 2A 23.5.07 n. 23419).

4. E’ inammissibile siccome manifestamente infondato anche il motivo di ricorso proposto sub d) dal solo M..

Esso concerne l’insussistenza del reato sub 2), concernente violazione art. 681 cod. pen..

Anche con riferimento a detto reato va invero rilevato che la motivazione addotta dalla Corte territoriale per ritenere sussistente detto reato è incensurabile nella presente sede, siccome conforme ai canoni della logica e della non contraddizione.

La Corte territoriale ha invero rilevato come dalla deposizione resa dal teste M. era emerso come per l’ingresso nel locale gestito dal ricorrente bastava il rilascio di una tessera agli avventori, senza accertare l’esattezza delle generalità rilasciate dagli avventori, si che, dietro l’apparenza di un circolo privato, era da ravvisare l’apertura non autorizzata di un luogo di pubblico spettacolo.

5. E’ infine inammissibile siccome manifestamente infondato il motivo di ricorso proposto sub b) dal solo R..

Con esso il ricorrente lamenta l’insussistenza di elementi sufficienti per ritenerlo esercente di fatto del locale d’intrattenimento, di cui sopra; anche con riferimento a detta censura va rilevato che la sentenza impugnata ha adeguatamente indicato i validi indizi, dai quali viceversa ritenere il pieno suo coinvolgimento nella gestione anzidetta, assieme all’altro ricorrente M.. La sentenza impugnata ha ravvisato tali elementi nel fatto che il medesimo era stato presidente del circolo fino alla precedente chiusura amministrativa del locale; nel fatto che ogni sera egli era presente nel locale; nel fatto che aveva fornito alloggio a tutte le giovani donne rinvenute nel locale mentre esercitavano la "lap dance", dopo averle invitate in Italia ed avere ad esse inviato biglietto aereo andata e ritorno, più 500 Euro in contanti da mostrare alla polizia di frontiera e da restituirgli poi.

6. Il ricorso proposto da M.A. e R.S. va pertanto dichiarato inammissibile, con loro condanna, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali, nonchè, ciascuno, al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

7. Tale declaratoria d’inammissibilità preclude ogni possibilità di rilevare d’ufficio, ex art. 129 cod. proc. pen., l’estinzione dei reati ascritti ad entrambi i ricorrenti per intervenuta prescrizione, maturata in epoca successiva alla pronuncia della sentenza d’appello.

E’ infatti noto che l’inammissibilità del ricorso, dovuta, come nella specie in esame, alla manifesta infondatezza dei motivi, non consente il formarsi di un valido rapporto d’impugnazione e preclude pertanto la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità, di cui all’art. 129 c.p.p. (cfr. Cass. 4A, 20.1.04 n. 18641, rv. 2283; Cass. SS.UU. 22.11.2000 n. 32, rv. 217266).

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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