Cass. civ. Sez. III, Sent., 21-12-2011, n. 27904

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Svolgimento del processo

C.P.F. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Milano G.C. chiedendone la condanna al pagamento di somme, a suo dire, dovutegli dalla controparte a fronte di attività professionale da lui svolta, quale avvocato d’affari, nell’interesse del cliente.

Costituitosi in giudizio, il convenuto contestò le avverse pretese.

Con sentenza del 19 marzo 2003 il giudice adito rigettò la domanda.

Proposto dal soccombente gravame, la Corte d’appello, in data 15 luglio 2006, lo ha respinto.

In motivazione ha osservato il giudicante, per quanto qui interessa, che era assolutamente condivisibile il giudizio, espresso dal giudice di prime cure, di insufficienza delle prove offerte dall’attore a dimostrare i fatti costitutivi del diritto azionato, essendo a tal fine del tutto inidonea la documentazione versata in atti, ivi compreso il presunto conteggio dei debiti riconosciuti dal G., in quanto dallo stesso non sottoscritto. Ha poi aggiunto che il deferito giuramento non poteva essere ammesso, per mancanza, a tacer d’altro, del requisito della decisorietà, non essendo stato articolato alcun capitolo volto a contrastare l’affermata operatività della prescrizione.

Per la cassazione di detta pronuncia ricorre C.P. F., formulando cinque motivi.

Resiste con controricorso G.C..

Il collegio ha raccomandato una motivazione particolarmente sintetica.

Motivi della decisione

1 L’impugnazione proposta è inammissibile sotto più di un profilo.

Anzitutto, non risulta ottemperato il disposto dell’art. 366 cod. proc. civ., comma 1, n. 3 in base al quale il ricorso per cassazione deve contenere, a pena d’inammissibilità, l’esposizione sommaria dei fatti di causa.

Valga al riguardo considerare che, dopo una prima parte dedicata all’illustrazione dei principi che presidiano l’istituto del giuramento decisorio, l’impugnante si è limitato a esplicitare il petitum della controversia e, in chiave polemica, la negativa valutazione del giudice di merito in ordine alla necessità del disconoscimento di un foglio, vergato a mano dal G., ma dallo stesso non sottoscritto, foglio contenente, a detta dell’impugnante, la ricognizione delle somme dovute al C..

Trattasi di indicazioni limitate a punti isolati e specifici della controversia, del tutto inidonee a soddisfare l’obiettivo, avuto di mira dal legislatore, che il ricorrente metta la Corte in condizione di conoscere, almeno nelle linee essenziali, le domande proposte dall’attore, le difese del convenuto, la scelta decisoria del giudice di prime cure, le questioni sottoposte al giudice d’appello e le soluzioni dallo stesso adottate, e cioè gli elementi indispensabili per una precisa cognizione dell’origine e dell’oggetto della causa, dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalla parti, senza necessità di ricorso ad altre fonti (Cass. civ. 8 gennaio 2010, n. 76; Cass. civ. 17 luglio 2009, n. 16628; Cass. civ. 27 febbraio 2009, n. 4823).

2 Sotto altro, concorrente profilo, va poi rilevato che i quesiti formulati a chiusura di ciascuno dei cinque motivi sono del tutto generici e, come tali, non conformi alle prescrizioni dell’art. 366 bis cod. proc. civ..

E invero, in ragione della data della sentenza impugnata (successiva al 2 marzo 2006 e antecedente al 4 luglio 2009), e in base al comb. disp. del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 27, comma 2 e L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58, il ricorso deve ritenersi soggetto, quanto alla sua formulazione, alla disciplina di cui all’art. 360 cod. proc. civ., e segg., nel testo risultante dal menzionato D.Lgs. n. 40 del 2006. In base a tali norme, e segnatamente, in base all’art. 366 bis cod. proc. civ., nei casi previsti dall’art. 360, comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5, l’esposizione della censura va completata con la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione (Cass., sez. un., 12 maggio 2008, n. 11652).

La giurisprudenza di questa Corte ha peraltro chiarito che la funzione propria del quesito di diritto, da formularsi a pena di inammissibilità del motivo proposto, è di far comprendere alla Corte di legittimità, dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (confr. Cass. civ. 25 marzo 2009, n. 7197). Di qui l’enucleazione, come fondamentale criterio di scrutinio della corretta formulazione del quesito stesso, della sua conferenza, rispetto alla fattispecie dedotta in giudizio, nonchè della sua rilevanza, ai fini della decisione del ricorso (confr. Cass. civ. 4 gennaio 2011).

3 Venendo al caso di specie, i quesiti articolati a sostegno degli evocati errores in indicando si sostanziano: quanto al primo motivo, con il quale il ricorrente denuncia violazione dell’art. 233 cod. proc. civ., nella richiesta alla Corte di affermare che il giuramento deve essere ammesso, anche in contrasto con le risultanze di causa, e che l’unico parametro da valutare è quello della sua decisorietà;

quanto al secondo, con il quale lamenta violazione dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, nella richiesta volta a sentir ribadire che il giuramento decisorio deve essere ammesso, quando risolva anche parzialmente un aspetto della controversia;

quanto al terzo, con il quale deduce violazione degli artt. 233 e 236 cod. proc. civ., nell’interpello al giudice di legittimità perchè accerti il potere/dovere del giudice di merito di chiedere alla parte di modificare la formula del giuramento, ai fini della migliore comprensione dello stesso;

quanto al quarto, con il quale prospetta violazione dell’art. 233 cod. proc. civ., nell’istanza di riaffermazione del principio di diritto secondo cui l’eccezione di prescrizione non può mai paralizzare la delazione del giuramento decisorio, mentre, al contrario, questo può riguardare la mancata maturazione della prescrizione stessa;

quanto al quinto, con il quale denuncia come eccessiva la liquidazione delle spese del giudizio di secondo grado, nella prospettazione della necessità di tener conto, nella liquidazione delle spese, di molteplici fattori, quali l’effettiva attività svolta dalle parti nel processo.

Trattasi di quesiti palesemente inadeguati, risolvendosi essi nella generica richiesta alla Corte di stabilire se siano o meno fondate le tesi difensive del ricorrente. Essi mancano, in particolare, di quell’essenziale requisito di validità consistente, per quanto innanzi detto, nella specifica, diretta e autosufficiente formulazione di un interpello al giudice di legittimità sull’errore di diritto asseritamente commesso dal giudice di merito, e sulla regula iuris, alternativa e di segno opposto, proposta dall’impugnante (confr. Cass. civ. 19 febbraio 2009, n. 4044).

E tanto a prescindere dal rilievo, che pur sarebbe dirimente, che la valutazione (positiva o negativa) della decisorietà della formula del giuramento decisorio è rimessa all’apprezzamento del giudice del merito, il cui giudizio (circa l’idoneità della formula a definire la lite), è sindacabile in sede di legittimità solo per vizi logici o giuridici attinenti all’apprezzamento espresso dal predetto giudice (confr. Cass. civ. 13 novembre 2009, n. 24025).

Il ricorso deve, in definitiva, essere dichiarato inammissibile.

Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 4.200,00 (di cui Euro 4.000,00 per onorari), oltre I.V.A. e C.P.A., come per legge.

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