Cass. pen., sez. II 29-03-2007 (14-03-2007), n. 12967 Annullamento con rinvio limitatamente all’esclusione di una circostanza aggravante – Causa sopravvenuta di estinzione del reato

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MOTIVI DELLA DECISIONE
Con sentenza del 22.12.1999 il Tribunale di Milano dichiarava M.R., bidello presso l’Istituto alberghiero "(OMISSIS)", colpevole del delitto previsto dall’art. 81 c.p., cpv. e dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, per avere ceduto all’interno dell’edificio scolastico, in più occasioni, modiche quantità di hashish a C.F., studente minore di età; con l’attenuante del fatto di lieve entità ritenuta equivalente alle aggravanti della minore età del cessionario e del luogo dello spaccio, e lo condannava alla pena di anni due mesi due di reclusione e L. 64.000.000 di multa.
La Corte di appello di Milano, con sentenza del 3.5.2001, in parziale riforma della predetta sentenza appellata dall’imputato, ritenuta l’inefficacia della contestazione di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 1, lett. g), (luogo scolastico dell’avvenuta cessione) per mancata notifica all’imputato del verbale di udienza, e tenuto fermo il giudizio di equivalenza fra l’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, e l’aggravante della minore età del cessionario, riduceva la pena ad anni due ed un mese due di reclusione e L. 50.000.000 di multa.
Con sentenza del 15.10.2002 questa Corte di Cassazione, parzialmente accogliendo il ricorso dell’imputato M.R., annullava con rinvio, la sentenza di condanna emessa dalla Corte di Appello di Milano il 3.5.2001, limitatamente alla aggravante della minore età del cessionario della sostanza stupefacente (D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 1, lett. a).
Con sentenza del 31.3.2003 la Corte di Appello di Milano, giudicando in sede di rinvio, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Milano il 22.12.1999, escludeva l’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 1, lett. a) e riduceva la pena inflitta all’imputato ad anni due di reclusione ed Euro 25.000,00 di multa.
Avverso tale sentenza l’imputato M.R. propone, per mezzo del difensore, ricorso per cassazione lamentando la violazione di legge sotto due diversi profili.
Col primo motivo di gravame il ricorrente lamenta violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) e e), violazione dell’art. 157 c.p., manifesta illogicità della motivazione. In particolare rileva la difesa che la Corte territoriale aveva erroneamente rigettato la richiesta di proscioglimento per avvenuta prescrizione del reato in considerazione della esclusione dell’aggravante predetta, operando un improprio richiamo al principio della c.d. "formazione progressiva del giudicato"; in tale statuizione i giudici di merito avevano omesso di considerare che la difesa non avrebbe potuto in alcuna precedente sede dedurre l’intervenuta estinzione del reato essendo stato ciò possibile solo a seguito della esclusione dell’aggravante in questione con la suddetta decisione della Suprema Corte, ed aveva omesso altresì di valutare che la preclusione derivante da "giudicato implicito" vigeva esclusivamente quando l’annullamento parziale riguardava solo statuizioni diverse dall’accertamento del fatto-reato e della responsabilità dell’imputato. Nel caso di specie, per contro, la pronuncia sulla sussistenza della circostanza inerente al reato concerneva l’accertamento del fatto sotto il profilo della sussunzione materiale del fatto nella specifica norma penale di riferimento, e non concerneva la mera rideterminazione della pena da infliggersi.
Il rilievo è manifestamente infondato.
Ha evidenziato in proposito questa Corte, in altra pronuncia (Cass. Sez. III, 20.2.2004, n. 15472), argomentando dalla circostanza che l’accertamento della responsabilità e l’irrogazione della pena ben possono intervenire in momenti distinti, che non è certamente "extra ordinem" la concezione di una definitività decisoria che, attenendo all’accertamento della responsabilità dell’autore del fatto criminoso e ponendo fine all’"iter" processuale su tale parte, crei una barriera invalicabile all’applicazione di cause estintive del reato, sopravvenute alla sentenza di annullamento, ad opera della Cassazione o eventualmente già esistenti e non prese in considerazione, benché la decisione non si sia ancora connotata dall’esaustività per il permanere del residuo potere cognitivo del giudice di rinvio in ordine alla determinazione della pena a lui devoluta. Ed in tale circostanza ha rilevato che "la sentenza che afferma la responsabilità penale dell’imputato è il presupposto logico-giuridico della parte contenente la specifica condanna (determinazione della pena): entrambe costituiscono "disposizioni della sentenza" (art. 624 c.p.p., comma 1), venendo anzi esaltata la pregiudizialità della prima con l’autonomia concettuale che le è propria in funzione della seconda, che è di norma consequenziale. Ecco perché, se l’annullamento è parziale e non intacca la prima delle due disposizioni, la sentenza acquista "autorità di cosa giudicata nelle parti che non hanno connessione essenziale con la parte annullata" (art. 624 c.p.p.). Se, dunque, l’annullamento colpisce soltanto la parte di sentenza relativa al "quantum" (non all’"an") della pena, che dovrà essere rideterminata, ma non potrà essere eliminata, la parte concernente l’affermazione della responsabilità resta intangibile. Essa, infatti, lungi dal porsi in "connessione essenziale con la parte annullata", ha ormai acquistato "autorità di cosa giudicata" e, proprio su questo irretrattabile presupposto (qual è, appunto, la declaratoria di colpevolezza e punibilità), consente la riapertura del giudizio, in sede di rinvio, limitatamente alla parte annullata della sentenza ("quoad poenam") e solo a quella (art. 625 c.p.p.) (Cass. SS. UU., ud. 26.3.97, A., cit.)" (Cass. Sez. III, 20.2.2004, n. 15472).
E pertanto, rilevato che nel caso di specie l’annullamento parziale concerne soltanto la esclusione di una aggravante, ed in particolare quella prevista dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 1, lett. a) ne consegue che, in applicazione della disciplina dettata dall’art. 624 c.p.p. secondo cui se l’annullamento non è pronunciato per tutte le disposizioni della sentenza questa ha autorità di cosa giudicata nelle parti che non hanno connessione essenziale con quella annullata, deve ritenersi formatosi il giudicato relativo all’affermazione di responsabilità dell’imputato, pur con l’esclusione dell’aggravante predetta, e resta quindi esclusa l’operatività di una causa sopravvenuta di estinzione del reato quale, nella fattispecie, la prescrizione.
Col secondo motivo di gravame il ricorrente lamenta violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e e), violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, manifesta illogicità della motivazione. In particolare ha rilevato la difesa che il giudice di rinvio, benché avesse ritenuto che il fatto fosse disciplinato dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, predetto trattandosi di fatto di lieve entità, aveva poi, contraddittoriamente e con evidente illogica antinomia, valutato, ai sensi dell’art. 133 c.p., la "oggettiva gravità delle condotte realizzate in ambito lavorativo scolastico", introducendo tra l’altro, inammissibilmente, una circostanza, quella relativa all’essere il fatto avvenuto in "ambiente lavorativo scolastico", già oggetto di contestazione formale ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, e poi dichiarata inefficace.
Anche tale motivo è manifestamente infondato.
Sul punto rileva il Collegio che correttamente la Corte territoriale, dopo aver ritenuto il fatto "lieve" ai sensi del D.P.R. n. 309 1990, art. 73, comma 5, ha proceduto, ai fini della determinazione della pena, ad una valutazione complessiva del fatto e della personalità dell’imputato, evidenziando cospicui elementi negativi di valutazione che, pur nell’ambito dell’ipotesi lieve prevista dalla norma applicata assumevano, senza che in ciò possa ravvisarsi pertanto alcuna contraddizione logica con il riconoscimento della predetta attenuante ad effetto speciale, una rilevanza pregnante in relazione alla determinazione della pena, ed individuando tali elementi negativi nella realizzazione del fatto in ambiente scolastico da parte di soggetto che, per il ruolo svolto, avrebbe dovuto prendersi cura degli studenti di qualsiasi età.
Né può ritenersi alcun contrasto di tale motivazione con la esclusione della aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 1, lett. g) (aver commesso il fatto all’interno o in prossimità di una scuola). Ed invero in proposito occorre innanzi tutto rilevare, sotto un profilo puramente formale, che i giudici di merito non hanno ritenuto l’insussistenza di tale aggravante bensì l’inefficacia della relativa contestazione per difetto di notifica del verbale di udienza in cui tale contestazione era stata effettuata; in secondo luogo, sotto un profilo sostanziale, che la mancata contestazione di una determinata aggravante non costituisce elemento ostativo alla considerazione dei medesimi fatti ai fini della valutazione della globale della gravità del fatto e della personalità dell’imputato, ai sensi dell’art. 133 c.p. Pertanto anche sotto questo profilo il ricorso proposto denota la sua manifesta infondatezza.
Il ricorso deve di conseguenza essere dichiarato inammissibile, e tale declaratoria comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, potendosi ravvisare profili di colpa, anche la condanna al versamento della somma di Euro mille alla Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

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