Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 27-05-2011) 29-07-2011, n. 30284

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 30 giugno 2010 la Corte di Appello di Brescia ha ridotto da 7 a 6 anni di reclusione la pena inflitta a P.I. dal G.U.P. del Tribunale di Bergamo con sentenza del 10 febbraio 2010, emessa col rito abbreviato, siccome ritenuto penalmente responsabile del delitto di cui agli artt. 56 e 575 cod. pen. (tentato omicidio continuato di PJ.Er. e D.N., da lui investiti con l’autovettura di cui era alla guida mentre camminavano sul marciapiedi, schiacciando il D. contro il muro, trascinandolo per 20 metri ed infine arrotandolo, procurandogli gravi lesioni personali).

2. La Corte territoriale è pervenuta all’anzidetta riduzione di pena avendo tenuto conto dell’occasionalità dell’episodio ed avendo proceduto ad una nuova valutazione della reale entità del fatto.

3. Il fatto si è verificato in Comune di Treviglio nella notte fra il 20 ed il 21 ottobre 2009.

All’interno di un locale denominato "(OMISSIS)" sito in via (OMISSIS) era intercorsa una lite fra le parti offese da un lato e l’imputato in compagnia di T.E., nel corso della quale il PJ. aveva colpito con un pugno al viso il P.; poco dopo il PJ. ed il D., mentre transitavano a piedi sul marciapiedi di via (OMISSIS) per tornare a casa, all’incrocio con via (OMISSIS), erano stati investiti dalla Fiat Uno condotta dal P., con a bordo il T.; l’auto era salita sul marciapiedi posto a sinistra rispetto al proprio senso di marcia, occupandolo pressocchè interamente ed investendo da tergo i due, che su tale marciapiedi stavano transitando; dei due il solo PJ. era riuscito ad evitare l’impatto con l’auto, gettandosi contro la rete metallica, che in quel tratto costeggiava il marciapiedi, mentre il D., dopo essere caduto a terra a seguito di un primo impatto con l’auto ovvero mentre correva per sottrarsi all’investimento, era stato nuovamente investito dall’auto mentre era riverso a terra; e l’auto era transitata sul suo corpo procurandogli gravi lesioni (politrauma, frattura del bacino, lussazione del femore sinistro, frattura scomposta del femore destro, trauma cranico non commotivo ed ematoma mediastinico).

4. Avverso detta sentenza della Corte di Appello di Brescia propone ricorso per cassazione P.I. per il tramite del suo difensore, che ha dedotto:

a1 – violazione ed erronea applicazione della legge penale, nonchè carenza in quanto la sentenza impugnata aveva fondato la sua colpevolezza sulle sole dichiarazioni rese dalla parte offesa PJ.Er., senza tener conto della consulenza tecnica del dr. B.R., che avrebbe portato a conclusioni del tutto opposte a quelle cui era pervenuta la sentenza d’appello; ed erroneamente era stata respinta la sua istanza di rinnovazione del dibattimento per acquisire tale elaborato peritale, dal quale era emerso che la velocità tenuta dall’auto di cui era alla guida, pari a 12,5 km. orari, era incompatibile con la volontà di privare della vita altre due persone e che si era trattato più che altro di errore di manovra, come poteva desumersi dalla repentinità della sterzata da lui effettuata subito dopo l’impatto, atteso che, se la sua volontà fosse stata quella di uccidere, egli avrebbe dovuto tenere più a lungo l’auto sul marciapiedi; era dunque da ritenere che egli avesse solo inteso avere un abboccamento con PJ.Er., dopo l’alterco con lui avuto poco prima al bar, con conseguente suo errore di manovra, dovuto all’eccessiva quantità di alcool ingerito;

dall’esame fotografico dei luoghi poteva poi desumersi che la deformazione della rete ivi esistente non era indicativa di un impatto con un corpo umano; non era rinvenibile alcuna traccia di impatto sulle ruote, sui cerchi, sul paraurti inferiore e sul cofano dell’auto tali da suggerire una salita in velocità dell’auto sul marciapiedi, un urto violento contro il muretto, nonchè l’urto contro il paletto che sorreggeva la rete metallica ivi ubicata; era pertanto da ritenere che la testimonianza resa dalla p.o. contrastasse con gli elementi indiziari di segno opposto in atti;

b)- erronea applicazione dalla legge penale in relazione, all’art. 62 bis cod. pen, – in quanto l’assenza di pendenze e condanne penali non costituiva un dato neutro, atteso che la modifica dell’art. 62 bis cod. pen., introdotta con la novella del 2003, in materia di concessione delle attenuanti generiche, non poneva alcun vincolo circa la valutazione dell’incensuratezza unitamente ad altri indici favorevoli, quali la giovane età, la natura dell’episodio avulsa da ambienti e traffici malavitosi, il comportamento remissivo da lui tenuto, il suo regolare inserimento sociale e lavorativo, elementi che avrebbero consentito di valutare in modo più penetrante l’intensità dell’elemento psicologico del reato, si da concedergli le attenuanti generiche.

5. Con ulteriore memoria del 4 maggio 2011 il difensore del ricorrente ha ulteriormente illustrato i motivi di ricorso di cui sopra, specificando in particolare che il ragionamento seguito dalla Corte territoriale per ritenere sussistente la eoa volontà omicidiaria era tautologico, siccome caratterizzato da una lettura unilaterale e riduttiva dei dati probatori; e la mancata acquisizione della consulenza del dr. B. aveva comportato ab origine la negazione del confronto dialettico circa la prova; non era stato poi dato credito alle dichiarazioni di T.E., imputato di reato connesso, secondo il quale esso ricorrente si era avvicinato alle due parti offese, salendo con l’auto di cui era alla guida sul marciapiedi dove si esse trovavano, al solo scopo di conciliarsi con esse e che solo per errore di manovra l’auto di cui era alla guida era sbandata contro il muretto, senza quindi alcun intento omicidiario, come poteva altresì desumersi dalla perizia tecnica del dr. B., secondo la quale la velocità tenuta dall’auto di cui era alla guida era pari a 12,5 km. orari; inoltre i rilievi effettuati dai carabinieri erano stati interpretati modo da adattarsi alle dichiarazioni della parte offesa PJ., che erano invece in contrasto con elementi indiziari di segno opposto; in particolare la modestissima velocità tenuta dal veicolo di cui l’imputato era alla guida al momento dell’impatto col muretto era un elemento tale da escludere l’ipotesi stessa di tentato omicidio, ritenuta invece sussistente dalla Corte territoriale, la quale aveva invece ritenuto che, una volta fallito il tentativo di schiacciare le parti offese contro il muretto, egli avrebbe proseguito nella sua azione, investendo il D. quand’era a terra; la sentenza tuttavia nulla aveva riferito in ordine a quanto era avvenuto fra tali due episodi, in quanto nulla poteva escludere che l’arrotamento del D. potesse essere stato del tutto accidentale; e lo stato dell’auto da lui condotta escludeva l’ipotesi che l’investimento ed il successivo trascinamento del corpo del D. fossero avvenuti in continuità, essendo da ritenere invece avvenuto il solo arrotamento della parte offesa ad una velocità non superiore ai 16 km. orari; pertanto il suo intento era da ritenere solo intimidatorio e non omicidiario, non potendo valorizzarsi a tal fine il movente, indicato dalla sentenza impugnata nella volontà di vendicarsi dell’aggressione in precedenza subita da parte del PJ..

Il ricorrente ha poi ulteriormente censurato la mancata concessione in suo favore delle attenuanti generiche, rilevando l’erroneità della motivazione addotta dalla Corte territoriale, che aveva fatto riferimento all’insussistenza dei requisiti applicativi dell’attenuante della provocazione, in quanto un pugno sferratogli dalla parte offesa non sarebbe stato proporzionato al tentativo di omicidio da lui posto in essere; occorreva invece tener conto della sua incensuratezza e di tutti gli altri elementi a lui favorevoli, sopra elencati.

Motivi della decisione

1. E’ infondato il primo motivo di ricorso proposto da P. I..

Con esso il ricorrente lamenta che erroneamente i giudici di merito abbiano qualificato il fatto addebitatogli come tentato omicidio, mentre invece, nella specie, il suo intento sarebbe stato solo intimidatorio.

Va al contrario ritenuto che la motivazione addotta dalla Corte territoriale per ritenere sussistente nel comportamento tenuto dal ricorrente il dolo omicidiario appare incensurabile nella presente sede di legittimità, siccome immune da vizi logici e da contraddizioni.

2. Il dolo omicidiario è qualificabile come dolo diretto, allorchè si presenta, come nel caso in esame, quale dolo alternativo, che si ha quando l’agente prevede e vuole, come scelta sostanzialmente equipollente, l’uno o l’altro degli eventi alternativi causalmente collegabili al suo comportamento cosciente e volontario e cioè, nella specie, la morte od il grave ferimento delle vittime; ed è noto che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il dolo diretto, sub specie del dolo alternativo, è compatibile con l’omicidio tentato (cfr., in termini, Cass. 1A 20.10.97 n. 9949; Cass. 1A 25.5.07 n. 27620).

I giudici di merito hanno desunto, nel comportamento tenuto dal ricorrente nei confronti di PJ.Er. e di D.N., la sussistenza del dolo omicidiario, come sopra qualificato, avendo correttamente valorizzato la circostanza che il ricorrente, alla guida della sua Fiat Uno, ha deliberatamente deviato dal proprio percorso, portandosi sul marciapiedi opposto al suo senso di marcia, salendovi sopra e tentando di stringere le due vittime contro il muretto che ivi costeggiava il marciapiedi; poi il ricorrente ha proseguito senza soluzione di continuità nella sua azione criminosa, andando ad investire con determinazione il D., nel frattempo caduto a terra o perchè investito dall’auto, ovvero mentre correva per sottrarsi alla stessa; e la sentenza impugnata ha desunto la sussistenza del dolo omicidiario nel comportamento del ricorrente appunto dalla circostanza che il medesimo ha proseguito la sua marcia con l’auto di cui era alla guida, pur dopo aver visto il D. riverso a terra, andando invece ad investirlo con determinazione, causandogli le gravi lesioni indicate in atti, da ritenere pienamente idonee a cagionare la morte della vittima.

3. Si osserva peraltro che il controllo di legittimità demandato a questa Corte è finalizzato a verificare, in caso di prospettazione da parte del ricorrente di una ricostruzione alternativa dei fatti, se le argomentazioni poste dal giudice di merito a fondamento della decisione conseguano ad un apprezzamento ragionevole e coerente del materiale probatorio sottoposto al suo esame; e, nella specie, la motivazione addotta dalla Corte d’Appello di Brescia per ritenere la sussistenza, nel comportamento tenuto dal ricorrente, del dolo omicidiario nei confronti del PJ. e del D. è immune da illogicità e contraddizioni (cfr., in termini, Cass. 2A 23.5.07 n. 23419).

4. Non appare poi censurabile nella presente sede la circostanza che la Corte territoriale non abbia inteso riaprire l’istruttoria dibattimentale onde acquisire la perizia infortunistica redatta dal perito di fiducia del ricorrente, avendola ritenuta superflua.

Si osserva invero che, nella specie, il giudizio di primo grado si era svolto col rito abbreviato, di cui agli artt. 438 e segg. cod. proc. pen., dopo che l’imputato aveva chiesto di essere giudicato "allo stato degli atti".

E’ noto che, in tali ipotesi, la richiesta di integrazione probatoria in grado di appello può essere intesa solo come sollecitazione fatta al giudice di appello di esercitare i poteri di ufficio, a lui conferiti dall’art. 603 c.p.p., comma 3, alla stregua del quale la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale è prevista solo in ipotesi di assoluta necessità, rilevata d’ufficio (cfr. Cass. 3A 27.2.2007 n. 8062; Cass. 4A 5.5.06 n. 15573, Cass. 1A 9.9.04 n. 36122).

Ora, la Corte d’Appello di Brescia ha adeguatamente motivato il diniego frapposto all’integrazione probatoria chiesta dal ricorrente, sottolineando la carenza del connotato di decisività, avendo ritenuto che non era idonea ad inficiare la ricostruzione dei fatti la circostanza che l’auto condotta dal ricorrente, nell’investire le due vittime sul marciapiedi, avesse tenuto una velocità non eccessiva ed avendo in particolare ritenuto che l’intento omicidiario era ravvisabile nella continuità del comportamento tenuto dal ricorrente, il quale, dopo aver una prima volta tentato di investire le due vittime con la sua auto, non aveva desistito dall’intento di colpirli, avendo proseguito nella sua azione criminosa fino a passare sopra il corpo del D., riverso a terra.

5. E’ altresì infondato il secondo motivo di ricorso, con il quale P.I. ha lamentato la mancata concessione in suo favore delle attenuanti generiche.

E’ noto che la loro funzione è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all’imputato, della sanzione prevista dalla legge, in relazione a peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile.

La meritevolezza di dette attenuanti non può pertanto mai essere data per scontata ovvero per presunta, si che essa esige un’apposita motivazione, la quale tuttavia neppure può mancare qualora dette attenuanti vengano negate, qualora esse siano state specificamente richieste dall’imputato.

In tale ultimo caso il giudice è tenuto infatti ad indicare le ragioni a sostegno del rigetto delle relative richieste, senza che tuttavia il medesimo sia tenuto a procedere ad un’analitica valutazione di tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalla parte o rilevabili dagli atti, essendo sufficiente che egli indichi gli elementi ritenuti decisivi o rilevanti e rimanendo implicitamente disattesi tutti gli altri (cfr. Cass. 2A 11.10.04 n. 2285).

Nella specie la motivazione addotta dalla Corte di Appello di Brescia per negare le attenuanti generiche al P. appare incensurabile nella presente sede, siccome conforme ai canoni della logica e della non contraddizione, avendo essa ritenuto che, nonostante lo stato di incensuratezza del ricorrente, il fatto contestato era particolarmente grave e tale da denotare la personalità violenta del ricorrente, che aveva agito in modo assolutamente sproporzionato rispetto alla lite in precedenza intercorsa con una delle vittime, dando luogo ad una manifestazione di incontrollata violenza, non meritevole di alcuna valutazione positiva; va inoltre rilevato che la Corte territoriale ha comunque proceduto ad una riduzione della pena inflitta al ricorrente dal primo giudice, dando prova di avere attentamente valutato la personalità del ricorrente e tutte le particolarità del caso sottoposto al suo esame.

6. Da quanto sopra consegue il rigetto del ricorso proposto da P. I., con sua condanna, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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