T.A.R. Campania Napoli Sez. VII, Sent., 01-09-2011, n. 4260

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

i ricorsi in epigrafe indicati possono essere decisi con "sentenza in forma semplificata", ai sensi dell’art. 74 del codice del processo amministrativo;

CONSIDERATO, sempre in via preliminare, che il ricorso principale, quanto all’ordine di demolizione del muro di contenimento, risulta improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse perché il provvedimento impugnato è divenuto inefficace per effetto dell’istanza di accertamento della compatibilità paesaggistica presentata dalla ricorrente in data 28 agosto 2008 e l’interesse di costei si è spostato sui primi due ricorsi per motivi aggiunti, con i quali sono stati impugnati il provvedimento di reiezione di tale istanza ed il conseguente nuovo ordine di demolizione;

CONSIDERATO che le censure dedotte con il ricorso principale avverso l’ordine di demolizione della baracca prefabbricata e della tettoia in tubolari di ferro e lamiere – censure incentrate sulla violazione degli articoli 3 e 31 del D.P.R. n. 380/2001 e dell’art. 146 del decreto legislativo n. 42/2004 e sul difetto di motivazione, volte a dimostrare che tali manufatti, avendo una tipologia costruttiva precaria ed essendo destinati a sopperire nel periodo invernale ad esigenze della coltivazione del fondo agricolo, non rientrano tra le opere subordinate alla preventiva acquisizione del permesso di costruire e della autorizzazione paesaggistica – non possono trovare accoglimento perché:

– secondo una consolidata giurisprudenza (ex multis, T.A.R. Lombardia Brescia, sez. I, 25 maggio 2010, n. 2143; T.A.R. Campania Napoli, Sez. VIII, 24 aprile 2009, n. 2163), la nozione di nuova costruzione di cui all’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001 (rilevante ai fini della sussistenza dell’obbligo di richiedere il permesso di costruire e l’autorizzazione paesaggistica) implica una trasformazione urbanisticoedilizia del territorio, con perdurante modifica dello stato dei luoghi, sicché si configura una nuova costruzione non solo nel caso di opere realizzate in muratura, ma anche nel caso di opere realizzate in metallo, in laminati di plastica, in legno o altro materiale, sempreché le stesse risultino preordinate a soddisfare esigenze non precarie del costruttore ed a recare un’utilità perdurante nel tempo;

– tenuto conto delle caratteristiche costruttive di manufatti di cui trattasi, risulta evidente che gli stessi sono non sono destinati ad essere rimossi al termine del periodo invernale, bensì a permanere stabilmente sul fondo, e quindi determinano una perdurante modifica dello stato dei luoghi;

CONSIDERATO che parimenti infondate risultano le censure dedotte con il primo ricorso per motivi aggiunti avverso il provvedimento del Comune di Massa Lubrense del 26 febbraio 2009, con il quale – sulla scorta del parere vincolante reso dalla competente Soprintendenza ai sensi dell’art. 167, comma 5, del decreto legislativo n. 42/2004 – è stata respinta l’istanza di accertamento della compatibilità paesaggistica presentata dalla ricorrente in data 28 agosto 2008 in relazione al suddetto muro di contenimento. Infatti:

– la Soprintendenza ha espresso parere di non compatibilità paesaggistica evidenziando che "il muro non si configura come muro di contenimento, poiché il terrazzamento, come si evince dai grafici quotati inviati, non esisteva, ma è stato creato in parte col riporto di terreno";

– le censure dedotte avverso il predetto diniego sono incentrate: 1) sull’eccesso di potere per travisamento dei fatti e per carenza di istruttoria. In particolare la ricorrente si duole del fatto che la Soprintendenza abbia omesso di considerare che il P.R.G. del Comune di Massa Lubrense (approvato in data 14 ottobre 1988, previa verifica di compatibilità con il P.U.T. dell’Area SorrentinoAmalfitana) prevede che in Zona F2 (nella quale rientra l’area su cui insiste il muro di cui trattasi) possono essere realizzati interventi di "riordino colturale", con esclusione dell’installazione di serre e dell’impianto (o del rinnovo) di colture arboree specializzate, e che tra tali interventi può essere ricompresa anche la realizzazione di un muro di contenimento; 2) violazione dell’art. 167 del decreto legislativo n. 42/2004. In particolare viene dedotto che la realizzazione del muro di contenimento non ha determinato la realizzazione di nuovi volumi e superfici, sicché non rientra tra gli interventi per i quali la disposizione dell’art. 167, comma 4, del decreto legislativo n. 42/2004 preclude radicalmente il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria; 3) illegittimità derivata. Secondo la ricorrente, l’impugnato diniego è illegittimo anche per effetto dei vizi (non specificati) che inficiano la legittimità del parere vincolante reso dalla Soprintendenza, che è stato impugnato innanzi a questo Tribunale con separato gravame, recante il n. 1402/2009 di R.G.;

– sebbene possano ritenersi astrattamente sussistenti ragioni di connessione oggettiva e soggettiva tra il ricorso per motivi aggiunti in esame ed il separato ricorso proposto avverso il parere di non compatibilità paesaggistica reso dalla Soprintendenza, tuttavia il Collegio rileva che:

a) detto ricorso risulta essere già stato dichiarato perento con D.P. n. 8113 del 6.07.2011;

b) comunque non sussistevano i presupposti per disporre la riunione di tali ricorsi (riunione, peraltro, neppure richiesta dalla parte ricorrente), perché dalla motivazione del predetto parere (integralmente richiamato dal Comune di Massa Lubrense nel provvedimento di sua competenza) si evince che – contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente – la realizzazione del muro di contenimento di cui trattasi rientra tra gli interventi per i quali la disposizione dell’art. 167, comma 4, del decreto legislativo n. 42/2004 preclude radicalmente il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria. In particolare: A) l’art. 146, comma 4, del decreto legislativo n. 42/2004 esclude dal divieto di rilasciare ex post l’autorizzazione paesaggistica i casi previsti dal predetto articolo 167, comma 4, costituiti – oltre che dall’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica e dai lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria – dai "lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati", fermo restando che l’interpretazione teleologica di tale disposizione induce a ritenere che, nonostante l’utilizzo della particella disgiuntiva "o" nella frase "che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi", il duplice riferimento alle nuove superfici utili e ai nuovi volumi costituisca un’endiadi, ossia una modalità di esprimere un concetto unitario con due termini coordinati (T.A.R. Campania Napoli, Sez. VII, 15 dicembre 2010, n. 27380; 3 aprile 2009, n. 1748). In altri termini, la necessità di interpretare le eccezioni al divieto di rilasciare l’autorizzazione paesistica in sanatoria in coerenza con la ratio dell’introduzione di tale divieto induce a ritenere che esulino dall’eccezione prevista dall’articolo 167, comma 4, gli interventi che abbiano contestualmente determinato la realizzazione di nuove superfici utili e di nuovi volumi; B) ciò posto in termini generali, il Collegio osserva, da un lato, che nel caso in esame la ricorrente non contesta la situazione di fatto descritta nella motivazione del provvedimento impugnato – ossia la circostanza che il muro di contenimento sia stato realizzato al fine di creare ex novo (in luogo di una preesistente scarpata) un terrazzamento, mediante il riporto di terreno – e, dall’altro, che un intervento di tal genere non può non essere incluso tra quelli per i quali è radicalmente precluso il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria, perché la costruzione del terrazzamento ha determinato, contestualmente, la realizzazione di una nuova superficie utile, in quanto destinata alla coltivazione (come implicitamente ammette la stessa ricorrente quando riconduce l’intervento di cui trattasi tra quelli di "riordino colturale"), e di nuovo volume, costituito dal terrapieno ottenuto mediante il riporto di terreno. Ne consegue altresì che – operando nel caso il esame il divieto assoluto di rilasciare l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria – la ricorrente non ha motivo di dolersi del fatto che la Soprintendenza non abbia tenuto conto della disciplina posta dal P.R.G. del Comune di Massa Lubrense per la Zona F2; C) né miglior sorte merita – sempre in ragione del predetto divieto – la censura incentrata sull’illegittimità derivata del provvedimento impugnato; infatti, stante la previsione dell’art. 21octies, comma 2, primo periodo, della legge n. 241/1990, risulta palese che eventuali censure di carattere formale o procedimentale dedotte con il ricorso n. 1402/2009 avverso il parere di non compatibilità paesaggistica non potrebbero comunque inficiare la legittimità del diniego di sanatoria;

CONSIDERATO che prive di fondamento risultano anche le censure dedotte con il secondo ricorso per motivi aggiunti avverso dell’ordinanza n. 281 in data 19 giugno 2009, con la quale – a seguito della reiezione della predetta istanza di accertamento della compatibilità paesaggistica – è stata nuovamente ordinata – ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 e dell’art. 167 del decreto legislativo n. 42/2004 – la demolizione delle opere oggetto dell’ordinanza n. 569 in data 20 novembre 2007. Infatti:

– con i primi due motivi – incentrati sulla violazione degli articoli 3 e 31 del D.P.R. n. 380/2001 e dell’art. 146 del decreto legislativo n. 42/2004 e sul difetto di motivazione – sono state proposte censure identiche a quelle dedotte con il ricorso principale e, quindi, tali censure devono essere respinte per le medesime ragioni già evidenziate in precedenza, anche perché le considerazioni svolte dal Collegio in ordine alla riconduzione della baracca prefabbricata e della tettoia in tubolari di ferro e lamiere tra le opere subordinate alla preventiva acquisizione del permesso di costruire e della autorizzazione paesaggistica valgono evidentemente anche per il muro di contenimento;

– il terzo motivo – incentrato sulla violazione dell’art. 146 del decreto legislativo n. 42/2004 e sull’incompetenza del Comune di Massa Lubrense a disporre la demolizione delle opere realizzate in assenza della prescritta autorizzazione paesaggistica – non può trovare accoglimento perché l’art. 167 del decreto legislativo n. 42/2004 (che disciplina il provvedimento repressivo di cui trattasi) si limita a far riferimento all’autorità amministrativa preposta alla tutela paesaggistica, mentre le leggi regionali n. 54/1980, n. 65/1981 e n. 10/1982 hanno subdelegato ai Comuni della Regione Campania l’esercizio delle funzioni amministrative relative alle zone sottoposte a vincolo paesaggistico (ivi comprese in materia di adozione dei provvedimenti repressivi delle attività abusive);

CONSIDERATO che non possono trovare conferma in questa sede le conclusioni alle quali è pervenuta questa Sezione in sede di esame della domanda cautelare proposta con il terzo ricorso per motivi aggiunti, avente ad oggetto il provvedimento del 9 novembre 2010, con il quale (in ragione dell’inottemperanza all’ordinanza di demolizione n. 281 in data 19 giugno 2009) è stata disposta l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere abusive di cui trattasi. Infatti:

– il primo motivo del terzo ricorso per motivi aggiunti (in relazione al quale è stata accolta la domanda cautelare) è incentrato sulla violazione l’art. 31, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001 e parte dal presupposto che, tenuto conto di quanto affermato nella sentenza del Tribunale di Torre Annunziata – Sezione distaccata di Sorrento in data 11 settembre 2010, "giammai la ricorrente può essere ritenuta responsabile dell’abuso, non solo perché la contestata opera appartiene… al coniuge, ma anche perché in sede penale già è stato accertato che la ricorrente non è responsabile dell’abuso";

– a tale censura ha replicato il Comune di Massa Lubrense con memoria depositata in data 1° giugno 2010, evidenziando quanto segue: "la sentenza penale prodotta in atti ha assolto l’imputata per non essere stata raggiunta la prova certa del diretto interessamento della ricorrente alla realizzazione dell’abuso. Ma è altrettanto vero che la stessa ricorrente dichiara nel corpo del ricorso in discussione di essere proprietaria dell’area… e di aver per sua volontà destinato il muro di contenimento e la scala di collegamento alla "migliore definizione dell’area soprastante"… La stessa, pertanto, sia che venga individuata come proprietaria che come committente, ha manifestato inequivocabilmente interesse alla realizzazione dell’opera. La ricorrente, del resto, nemmeno si è successivamente attivata per il mantenimento dell’opera, presentando istanza di sanatoria ambientale. Va quindi osservato che la realizzazione e la permanenza degli abusi non era in alcun modo sottratta alla sfera di controllo e disponibilità della ricorrente";

– l’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 prevede (al secondo comma) che "il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, accertata l’esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi dell’articolo 32, ingiunge al proprietario e al responsabile dell’abuso la rimozione o la demolizione, indicando nel provvedimento l’area che viene acquisita di diritto, ai sensi del comma 3" e (al successivo comma 3) che "se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione, il bene e l’area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune. L’area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita";

– in ragione di tale disciplina, secondo una consolidata giurisprudenza (ex multis, T.A.R. Lazio Roma, Sez. Iquater, 7 marzo 2011, n. 2031; T.A.R. Lazio Roma, Sez. IIter, 3 luglio 2007, n. 5968), l’Amministrazione comunale non è tenuta ad individuare l’effettivo proprietario dell’area sulla quale viene realizzato l’abuso edilizio perché, qualora tale soggetto non corrisponda con l’autore materiale dell’abuso, l’ordine di demolizione può essere notificato anche esclusivamente all’autore materiale dell’abuso, fermo restando che l’estraneità del proprietario dell’area alla realizzazione dell’abuso comporta che l’ordine di demolizione non può costituire titolo per l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’area di sedime sulla quale insistono le opere abusive. Tale orientamento discende dalla pronuncia con cui la Corte costituzionale (sentenza n. 345 del 15 luglio 1991) ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale relativa alla disposizione dell’art. 7, comma 3, della legge n. 47/1985 (oggi integralmente riprodotta nell’art. 31, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001), evidenziando che "l’acquisizione gratuita dell’area non è… una misura strumentale, per consentire al Comune di eseguire la demolizione, nè una sanzione accessoria di questa, ma costituisce una sanzione autonoma che consegue all’inottemperanza all’ingiunzione, abilitando poi il sindaco ad una scelta fra la demolizione di ufficio e la conservazione del bene, definitivamente già acquisito, in presenza di "prevalenti interessi pubblici", il che significa per la destinazione a fini pubblici, sempre che l’opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici o ambientali. Da quanto precede deve dedursi che, essendo l’acquisizione gratuita una sanzione prevista per il caso dell’inottemperanza all’ingiunzione di demolire, essa, come risulta dalla stessa formulazione del terzo comma dell’art. 7 della legge in questione, si riferisce esclusivamente al responsabile dell’abuso, non potendo di certo operare (come avviene talvolta per la confisca, quando questa costituisce misura accessoria di altra sanzione o misura strumentale diretta ad impedire l’ulteriore produzione dell’illecito o l’utilizzazione dei proventi di questo) nella sfera di altri soggetti e, in particolare, nei confronti del proprietario dell’area quando risulti, in modo inequivocabile, la sua completa estraneità al compimento dell’opera abusiva o che, essendone egli venuto a conoscenza, si sia adoperato per impedirlo con gli strumenti offertigli dall’ordinamento. L’essere la sanzione dell’acquisizione dell’area ispirata dall’intento di costringere il responsabile dell’abuso ad eseguire egli stesso la demolizione nel termine stabilito dall’ingiunzione, esclude, anche sotto altro profilo, che essa possa colpire il proprietario estraneo all’esecuzione dell’opera, perché se fosse vero il contrario si sarebbe in presenza di una sanzione inidonea ad assolvere alla funzione di prevenzione speciale in vista della quale è comminata, in quanto tale comminatoria non potrebbe esercitare alcuna coazione sul responsabile dell’abuso per costringerlo ad eseguire la demolizione";

– oltre a quanto precede, il Collegio osserva che da un confronto tra le due disposizioni dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 in precedenza richiamate emerge che, mentre il comma 2 indica come destinatari dell’ordine di demolizione il proprietario e il responsabile dell’abuso, il successivo comma 3 si rivolge soltanto al responsabile dell’abuso sul presupposto che questi abbia la disponibilità dell’area ove insistono le opere abusive e, quindi, sia in condizione di eseguire spontaneamente la demolizione. Pertanto, qualora il proprietario del fondo sia un soggetto diverso dal responsabile dell’abuso, l’acquisizione gratuita (essendo una sanzione prevista per il caso dell’inottemperanza all’ingiunzione di demolire) si verifica senz’altro nei confronti del responsabile dell’abuso che non esegua spontaneamente la demolizione nel termine assegnatogli, mentre il proprietario dell’area (che non può eseguire spontaneamente la demolizione perché non ha la disponibilità dell’area) può evitare che l’effetto acquisitivo operi anche nei suoi confronti dimostrando, in modo inequivocabile, la sua completa estraneità al compimento dell’opera abusiva o che, essendone egli venuto a conoscenza (ad esempio attraverso la notifica dell’ordine di demolizione), si sia adoperato per impedirlo con gli strumenti previsti dall’ordinamento;

– poste tali premesse, con riferimento alla fattispecie in esame il Collegio osserva quanto segue: A) si deve innanzi tutto escludere che la suddetta sentenza del Tribunale di Torre Annunziata abbia efficacia di giudicato nel presente giudizio. Infatti – premesso che, secondo una consolidata giurisprudenza (ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 10 dicembre 2010, n. 8705), ai sensi dell’art. 654 cod. proc. pen., nel giudizio amministrativo la sentenza penale che ha accertato la sussistenza di fatti materiali ha autorità di cosa giudicata quanto ai fatti accertati solo se l’Amministrazione, in esso intimata, si sia costituita parte civile nel giudizio penale, mentre se non è intervenuta i suoi poteri istituzionali non possono essere incisi da accertamenti o da valutazioni del giudice penale resi in un processo al quale è rimasta estranea – dall’esame della predetta sentenza si evince che il Comune di Massa Lubrense è rimasto estraneo al processo penale svoltosi nei confronti della ricorrente; B) può ritenersi provato che la ricorrente – sebbene nel ricorso principale e nei primi due ricorsi per motivi aggiunti si sia qualifica come proprietaria del fondo su cui sono stati realizzati gli abusi – non sia la effettiva proprietaria del predetto fondo. Infatti nella suddetta sentenza del giudice penale (dalla quale il Collegio può comunque trarre argomenti di prova) è stato posto in rilievo che la ricorrente "aveva prodotto alcuni titoli (acquisiti al fascicolo) da cui emergeva che la proprietà era del marito che risiedeva all’estero e che con atto del 15.08.81 aveva costituito la moglie C.E. procuratrice generale per l’amministrazione delle sue proprietà in Italia"; C) a differenza di quanto avvenuto in sede penale, in questa sede può ritenersi provato che la ricorrente sia l’effettiva responsabile dell’abuso. Infatti il giudice penale ha assolto la ricorrente per non aver commesso il fatto – ritenendo che non fosse stata raggiunta la prova certa del suo diretto interessamento alla realizzazione dell’abuso – sulla base del seguente ragionamento: "nel caso di specie l’imputata non era neppure la proprietaria del fondo, bensì unicamente una procuratrice generale del proprietario. La C., peraltro, non abitava affatto nel fondo (in cui non vi era proprio un’abitazione), bensì addirittura in un altro Comune. Inoltre il vigile ha precisato che si trattava di un fondo regolarmente coltivato; tuttavia è difficile ipotizzare che fosse proprio la ultrasettantenne C.E., residente a Sorrento, ad occuparsi in prima persona della coltivazione o a controllare giornalmente l’attività di coltivazione effettuata. Conseguentemente è verosimile che da tempo il fondo fosse stato affidato a qualche colono e che proprio tale soggetto avesse realizzato le opere (che appaiono proprio finalizzate alla coltivazione ed alla tenuta del fondo), magari dopo essersi consultato telefonicamente con il proprietario residente all’estero". Invece nel presente giudizio – anche grazie alle considerazioni svolte dal Comune di Massa Lubrense nella memoria depositata in data 1° giugno 2010 – sono emersi argomenti di prova sufficienti per qualificare la ricorrente come responsabile dell’abuso. Innanzi tutto non v’è dubbio che la ricorrente, in qualità di "procuratrice generale del marito" residente all’estero, abbia sempre avuto la disponibilità giudica e materiale del fondo, anche perché non è stato prodotto in questa sede alcun contratto da cui possa desumersi l’affidamento della coltivazione dello stesso a terzi. Inoltre particolare rilievo assume (alla luce dell’art. 64 cod. proc. amm., secondo il quale il giudice "può desumere argomenti di prova dal comportamento tenuto dalle parti nel corso del processo") la circostanza che la ricorrente nel ricorso principale e nei primi due ricorsi per motivi aggiunti si sia qualifica come proprietaria del fondo su cui sono stati realizzati gli abusi e solo nel terzo ricorso per motivi aggiunti abbia posto in rilievo che il predetto fondo è di proprietà del marito Terminiello Antonio. Infine – e tale circostanza assume rilievo decisivo – la ricorrente non si è in alcun modo attivata per dimostrare la sua completa estraneità alla realizzazione dell’abuso e si è piuttosto attivata per ottenerne la sanatoria, presentando l’istanza di accertamento della compatibilità paesaggistica; D) stante quanto precede – e considerato che la nozione di "responsabile dell’abuso" di cui all’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 non richiede che il soggetto (diverso dal proprietario) avente la disponibilità del fondo (in virtù di un contratto di affitto o di altro titolo giuridico) abbia materialmente commesso l’abuso (ossia in prima persona), bensì presuppone che l’abuso non sia stato realizzato al di fuori della sfera di controllo di tale soggetto – il Collegio ritiene che l’impugnato provvedimento di acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere abusive sia stato correttamente notificato alla ricorrente in quanto responsabile dell’abuso;

CONSIDERATO che prive di fondamento risultano anche le ulteriori censure dedotte con il terzo ricorso per motivi aggiunti. Infatti:

– quanto al secondo motivo – incentrato sulla violazione l’art. 31, comma 4, del D.P.R. n. 380/2001 e volto a censurare la circostanza che il provvedimento di acquisizione gratuita al patrimonio comunale non sia stato notificato al proprietario del fondo – il Collegio osserva che la mancata notifica dell’ordine di demolizione al proprietario del fondo, laddove questi sia un soggetto diverso dal responsabile dell’abuso, non incide né sulla legittimità dell’ordine di demolizione (posto che la notifica di un provvedimento al suo destinatario attiene alla cosiddetta fase integrativa dell’efficacia), né sulla idoneità dell’ordine di demolizione (se ritualmente notificato al responsabile dell’abuso) a costituire il presupposto per il verificarsi dell’effetto acquisitivo anche nei confronti del proprietario del fondo, laddove questi non abbia dimostrato la sua completa estraneità alla realizzazione dell’opera abusiva o che, essendone egli venuto a conoscenza aliunde, si sia adoperato per impedirla con gli strumenti previsti dall’ordinamento. Infatti ciò che determina l’inefficacia relativa (nei confronti del proprietario del fondo) del provvedimento di acquisizione gratuita non è (come invece sostenuto dalla società ricorrente) la mancata notifica dell’ordine di demolizione al proprietario del fondo, bensì la dimostrazione della sua completa estraneità alla realizzazione dell’opera abusiva o della sua attivazione per impedirla con gli strumenti offertigli dall’ordinamento. Ne consegue che la ricorrente (indipendentemente dal rilievo della sua qualità di procuratrice generale del marito) non ha alcun motivo di dolersi del fatto che il provvedimento di cui trattasi non sia stato notificato a questi, in quanto effettivo proprietario dl fondo;

– quanto alle censure dedotte con il terzo motivo – incentrate sulla violazione degli articoli 3 e 31 del D.P.R. n. 380/2001 e dell’art. 146 del decreto legislativo n. 42/2004 e sul difetto di motivazione – sono identiche a quelle dedotte con il ricorso principale e, quindi, devono essere respinte per le medesime ragioni già evidenziate in precedenza;

CONSIDERATO che, stante quanto precede:

– il ricorso principale deve essere in parte dichiarato improcedibile e in parte respinto perché infondato;

– i ricorsi per motivi aggiunti devono essere respinti perché infondati;

CONSIDERATO che, in applicazione della regola della soccombenza, le spese del presente giudizio, quantificate nella misura indicata nel dispositivo, devono essere poste a carico della parte ricorrente;

P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso n. 1062/2008 e sui ricorsi per motivi aggiunti in epigrafe indicati:

– dichiara il ricorso principale in parte improcedibile e in parte lo respinge perché infondato;

– respinge ricorsi per motivi aggiunti perché infondati.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate complessivamente in euro 2.000,00 (duemila/00), oltre i.v.a. e c.p.a. come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *