T.A.R. Campania Napoli Sez. VIII, Sent., 01-09-2011, n. 4275 Bellezze naturali e tutela paesaggistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La società M.I. s.p.a. è proprietaria di un’area estesa per mq. 42.200 sita nel Comune di Benevento, destinata dal P.R.G. a zona commerciale D1 per la quale otteneva dapprima l’approvazione di un Piano di Lottizzazione con successiva variante e, in seguito, inoltrava domanda di permesso di costruire al fine di allocarvi una struttura distributiva.

Poiché parte dell’intervento edilizio ricade entro il limite di mt. 150 dal torrente denominato "rivo San Vito", la società istante richiedeva alla competente Soprintendenza per i Beni Architettonici, Paesaggistici, Storici, Artistici ed Etnoantropologici per le Province di Caserta e Benevento il rilascio del parere di compatibilità paesaggistica ai sensi dell’art. 146 D.Lgs. 22 gennaio 2004 n. 42.

Tanto premesso, con ricorso introduttivo iscritto al numero di registro generale 4791 del 2010, la società M.I. s.p.a. impugna il parere contrario espresso dalla Soprintendenza con l’atto meglio specificato in epigrafe e, a sostegno dell’esperito gravame, deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 e dell’art. 3 della L. 7 agosto 1990 n. 241, eccesso di potere per difetto di motivazione, difetto dei presupposti, difetto di istruttoria, omesso esame di circostanze di dirimente rilievo e sviamento.

Con successivo atto di motivi aggiunti, la ricorrente estende il gravame al provvedimento del Comune di Benevento prot. 4436/2009 del 18 agosto 2010 con il quale è stata respinta la domanda di autorizzazione paesaggistica e di permesso di costruire avanzata dalla società ricorrente sulla base del precitato parere contrario espresso dalla Soprintendenza.

La società conclude con la richiesta di annullamento degli atti impugnati e di risarcimento dei danni subiti.

Si sono costituiti in giudizio il Comune di Benevento e la Soprintendenza per i Beni Architettonici, Paesaggistici, Storici, Artistici ed Etnoantropologici per le Province di Caserta e Benevento che contestano il dedotto e concludono per la reiezione del ricorso.

Il Tribunale ha respinto la domanda cautelare con ordinanza n. 1910 del 22 settembre 2010 per difetto del periculum in mora.

Alla pubblica udienza del 5 luglio 2011 la causa è stata spedita in decisione.

Il ricorso è fondato quanto alla domanda impugnatoria.

Per la migliore intelligenza delle ragioni della decisione, giova rammentare che l’avversato parere contrario espresso dalla Soprintendenza si fonda sulla seguente traiettoria argomentativa: I) il progetto prevede la realizzazione di un nuovo capannone che ricade in parte nella fascia di 150 metri dal corso d’acqua S. Vito, quindi in area "tutelata per legge ai sensi dell’art. 142 del già citato decreto legislativo del 22.01.04 n. 42"; II) gli atti integrativi inviati dal Comune di Benevento non consentono di "appurare completamente la legittimità urbanistica dello stato dei luoghi e di quanto si intende realizzare"; III) l’intervento contempla inoltre la demolizione della c.d. "casa del custode" ubicata tra il centro commerciale "Buonvento" ed il corpo di fabbrica noto come "Fabbrica Fantozzi" sottoposto a vincolo monumentale apposto con decreto del 27 dicembre 2005 n. 257 (trattasi di un manufatto realizzato nel secondo decennio del secolo scorso per la produzione di mattoni); IV) la nuova struttura è adiacente alla predetta "Fabbrica Fantozzi", "interferendo con l’intorno del bene, attualmente libero da manufatti"; V) il progetto non appare conforme alle esigenze di tutela "anche per l’appesantimento determinato dalle ulteriori volumetrie in un’area per la quale risultano gli fissati i criteri di sistemazione e compatibilità ambientale del contesto, caratterizzato dalla presenza di manufatti per i quali è previsto il recupero".

Con un primo articolato motivo di censura, la società ricorrente contesta l’atto impugnato, nella parte in cui pone a fondamento del parere contrario la vicinanza dell’intervento al corso d’acqua S. Vito.

Espone di aver investito la Soprintendenza per il rilascio del parere ex art. 146 D.Lgs. 42/2004 in quanto, come documentato nella apposita relazione paesaggistica, "l’area di intervento ricadrebbe nella fascia di vincolo del torrente S. Vito, il cui toponimo non risulta iscritto negli elenchi delle acque pubbliche. Per contro esiste un torrente denominato "Finò che potrebbe corrispondere al torrente S. Vito". Nel dubbio interpretativo, rappresenta di aver ritenuto opportuno sottoporre il progetto alla procedura prevista dall’art. 142 D.Lgs. 42/2004, comma 1 lett. c), che assoggetta all’autorizzazione paesaggistica i "fiumi, i torrenti, i corsi d’acqua iscritti negli elenchi previsti dal testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, e le relative sponde o piedi degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna", tenuto anche conto della compatibilità urbanistica dell’intervento proposto e della circostanza che, sempre secondo la ricorrente, detto torrente non presenta alcun interesse paesaggistico, trattandosi di un canale pressoché privo di acqua e destinato alla raccolta di acque reflue di provenienza agricola, industriale e commerciale.

La censura merita condivisione.

Deve in primo luogo rilevarsi che, sebbene il citato corso d’acqua non risulti iscritto negli elenchi delle acque pubbliche, parte ricorrente non ne contesta l’assoggettamento al regime vincolistico di cui all’art. 142 D.Lgs. 42/2004.

Peraltro, occorre precisare che la mancanza di tale iscrizione dedotta dalla ricorrente non è ostativa alla tutela paesaggistica alla stregua dell’orientamento espresso dal Consiglio di Stato (Sez. VI, 4 febbraio 2002 n. 657) e dal T.A.R. Salerno (18 luglio 2008 n. 2172), secondo cui il requisito della iscrizione si riferisce solo ai corsi d’acqua diversi dai fiumi e dai torrenti, rilevandosi per questi ultimi l’esistenza del vincolo ex lege, a prescindere da tale iscrizione.

Invero, a tale conclusione si giunge soffermandosi sul significato delle parole "fiumi", "torrenti" e "corsi d’acqua", come desunto dal sistema normativo complessivo. In dettaglio, essendo anche i fiumi ed i torrenti dei corsi d’acqua, la ragione di una loro autonoma previsione nella norma trova fondamento nel fatto che il legislatore ha pensato a fiumi e torrenti come ad acque fluenti di maggiore importanza, mentre ai corsi d’acqua come categoria residuale.

Di conseguenza, in tale logica, solo per le acque fluenti di minori dimensioni ed importanza, vale a dire per i corsi d’acqua che non sono né fiumi né torrenti, si impone, ai fini della loro rilevanza paesaggistica, la iscrizione negli elenchi delle acque pubbliche.

Questa conclusione trova ulteriore conforto in argomentazioni di tipo sistematico.

Viene in primo luogo richiamato l’articolo 1 del testo unico delle acque pubbliche (R.D. 11 dicembre 1933 n. 1775, articolo poi abrogato dall’art. 2 D.P.R. 18 febbraio 1999 n. 238.), dal quale si evince che la pubblicità di un’acqua discende dal requisito sostanziale di avere attitudine ad uso di pubblico interesse generale, mentre la iscrizione in elenco ha solo una portata dichiarativa e ricognitiva, ma non certamente costitutiva di tale carattere.

Rilevante è pure il riferimento all’articolo 822 del codice civile che, nell’individuare il demanio pubblico, considera beni demaniali "i fiumi, i torrenti,e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia". Dunque, fiumi e torrenti sono considerati beni pubblici demaniali ex se, senza necessità di iscrizione in appositi elenchi.

Se, dunque, dal sistema normativo sopra richiamato è dato di evincere che la iscrizione di un bene in un elenco di beni pubblici non ha portata costitutiva della sua natura giuridica, deve ragionevolmente ritenersi che tale regola sia stata seguita dal legislatore anche nella individuazione dei beni soggetti a vincolo paesaggistico.

Quanto al codice dei beni culturali, si è osservato che l’art. 142 del D.Lgs. n. 42/2004 contiene l’inciso "i fiumi, i torrenti, i corsi d’acqua iscritti…": in particolare, l’utilizzo di una virgola, quale segno di separazione, risulta indicativa della volontà del legislatore di evidenziare una cesura tra le diverse tipologie di acque fluenti e, per l’effetto, di sottolineare con maggiore evidenza che il requisito della iscrizione è riferito ai soli corsi d’acqua diversi dai fiumi e dai torrenti (T.A.R. Campania, Salerno, 2172/2008).

Ciò posto, non può non convenirsi con le argomentazioni svolte dalla ricorrente, laddove evidenzia il difetto di motivazione dell’atto impugnato sotto un duplice profilo, considerato che: I) il parere contrario viene fondato esclusivamente sulla circostanza che l’intervento edilizio in questione ricade nella fascia di 150 metri dal predetto corso d’acqua, arrestandosi quindi al mero richiamo dell’esistenza del vincolo paesaggistico senza nulla aggiungere circa l’eventuale compromissione dell’interesse ambientale conseguente alla realizzazione dell’opera; II) il parere espresso dalla Soprintendenza non tiene conto del parere favorevole dal punto di vista ambientale espresso dalla commissione integrata comunale nel verbale dell’8 aprile 2010 con cui rappresentava che "l’intervento proposto si inserisce in un contesto urbanistico – ambientale deputato ad accogliere strutture destinate ad attività commerciale non determinando apprezzabile incremento e/o impatto sul bene da tutelare" (rivo S. Vito).

Si aggiunga che l’onere di fornire una congrua motivazione circa l’impatto paesaggistico dell’opera si imponeva anche alla luce della peculiare natura del parere espresso dalla Soprintendenza.

Difatti, si è osservato in giurisprudenza che il D.Lgs. 42/2004 ha totalmente ridisegnato il procedimento per il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica (art. 146), in particolare, prevedendo l’intervento della Soprintendenza in sede endoprocedimentale, con facoltà di esprimere un parere che risulta qualificato, piuttosto che quale esercizio di potere consultivo, come espressione di un potere decisorio complesso (Consiglio di Stato, Sez. VI, 25 febbraio 2008 n. 653), con la conseguenza che, in considerazione del rilevante apporto decisionale, si richiede una compiuta esposizione delle eventuali ragioni logico – giuridiche ostative.

Egualmente si ravvisa il difetto di motivazione nella parte in cui la Soprintendenza rilevava la difficoltà di "appurare completamente la legittimità urbanistica dello stato dei luoghi e di quanto si intende realizzare" che, come è evidente, non equivale di certo ad un giudizio di difformità urbanistica e non argomenta in ordine alle deduzioni svolte dalla ricorrente a sostegno della conformità del progetto ai vigenti strumenti urbanistici.

L’ulteriore motivo ostativo richiamato nel parere impugnato (demolizione della casa del custode con recupero della relativa volumetria in altro sito dell’area D1) non resiste alle censure di parte ricorrente.

Sul punto, occorre difatti rammentare che, con relazioni depositate alla Soprintendenza, la società ricorrente aveva rappresentato che la "casa del custode" è un manufatto privo di interesse culturale ed architettonico, trattandosi di edificio degli anni 60 e, quindi, non coevo alla "fabbrica Fantozzi", con prospetti intonacati e attintati, privo di alcuna analogia con l’altro edificio vincolato.

Tali conclusioni venivano condivise dalla Soprintendenza con provvedimento n. 22657 del 28 ottobre 2010 con il quale l’ente deliberava di limitare il vincolo diretto (di cui all’avvio del procedimento ex L. 241/90 comunicato con nota n. 15595 del 20 luglio 2005 per la dichiarazione di interesse culturale ai sensi dell’art. 13 D.Lgs. 42/2004) alla sola "fabbrica Fantozzi", con ciò escludendo inequivocabilmente la "casa del custode".

Tali determinazioni erano confermate, in seguito, dal Decreto del Direttore Regionale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali n. 257 del 2005 con cui, richiamando i pregressi atti della Soprintendenza, veniva imposto il vincolo diretto solo sulla predetta "Antica Fabbrica di mattoni Fantozzi".

Né vale a giustificare il parere contrario (come si legge nel provvedimento) la circostanza che la società ricorrente avesse palesato l’intenzione di procedere al recupero della "casa del custode", giacché, come rappresentato dalla esponente, tale proposito era stato manifestato prima che venisse ridotto il vincolo culturale sul predetto immobile che, si ribadisce, riguarda solo la "fabbrica Fantozzi" (particella n.36).

Quanto infine a tale ultimo manufatto vincolato, occorre previamente dare atto che il progetto edilizio presentato dalla ricorrente ne prevede la conservazione: tanto emerge dagli atti di causa e, segnatamente: I) dalla relazione paesaggistica ex art. 146, terzo comma, D.Lgs. 42/2004, par.1.4, ove è specificato che "All’interno dell’area sarà conservato il corpo di fabbrica delle ex officine Fantozzi"; II) dalla relazione tecnica allegata al ricorso a firma dell’Arch. Costantino Furno e datata 7 agosto 2010 alla quale è acclusa, tra l’altro, la planimetria di progetto (tav. 3) nella quale è chiaramente contrassegnata la "fabbrica Fantozzi – immobile vincolato" (particella 36) in prossimità del fabbricato in progetto; III) dalla lettura del parere impugnato, laddove a sostegno del gravato atto, la Soprintendenza osserva che "la realizzazione del nuovo capannone, come richiesto dalla Società, sarebbe adiacente all’immobile sottoposto a tutela (v. D.D.R. 257/2005 citato) interferendo con l’intorno del bene, attualmente libero da manufatti", dando quindi atto della conservazione del bene.

Anche con riguardo a tale ultimo segmento motivazionale non può non rilevarsi la genericità delle ragioni ostative opposte dall’amministrazione culturale al prospettato progetto edilizio, non risultando invero specificati quali profili di compromissione del bene vincolato deriverebbero dalla esecuzione del progetto in riferimento alla consistenza fisica e al valore culturale, arrestandosi il giudizio negativo alla mera presa d’atto del rapporto di prossimità del capannone rispetto al manufatto vincolato.

Parimenti generica si appalesa l’ultima ragione opposta dall’amministrazione relativa al presunto "appesantimento determinato dalle ulteriori volumetrie in un’area per la quale risultano gli fissati i criteri di sistemazione e compatibilità ambientale del contesto" la quale, in disparte la già rilevata genericità, si risolve in una rivalutazione, non accompagnata dalla indicazione di specifici rilievi, delle precedenti scelte urbanistiche conseguenti alla lottizzazione e relativa variante approvata dalle competenti amministrazioni per la realizzazione della struttura commerciale c.d. di media superficie in progetto.

Le argomentazioni svolte conducono, con assorbimento delle ulteriori censure, all’accoglimento del ricorso introduttivo, con conseguente annullamento del parere contrario gravato.

Quanto ai motivi aggiunti, deve essere preliminarmente respinta la eccezione di tardività sollevata dalla difesa dell’amministrazione comunale considerato che, rispetto alla data di adozione dell’atto impugnato (18 agosto 2010) e tenuto conto della sospensione feriale dei termini, il ricorso è stato tempestivamente inviato in data 11 novembre 2010 per la notifica a mezzo del servizio postale ex L. 21 gennaio 1994 n. 53.

Nel merito, dalla caducazione del parere endoprocedimentale reso dalla Soprintendenza discende, altresì, anche l’annullamento per illegittimità derivata del provvedimento conclusivo di rigetto adottato dal Comune di Benevento (gravato con i motivi aggiunti) che si fonda esclusivamente sul precitato parere.

Viceversa, deve essere respinta la domanda risarcitoria avanzata dalla ricorrente, siccome generica e sfornita di ogni principio di prova. Neppure può trovare accoglimento la richiesta di valutazione equitativa del danno o di consulenza tecnica giacché il giudice può intervenire in via suppletiva solo quando non possa essere fornita la prova precisa del quantum di danno, ma resta fermo che l’an di tale danno va provato dall’interessato, il quale peraltro non può neppure invocare la consulenza tecnica d’ufficio, che costituisce solo uno strumento di valutazione delle prove già fornite dalle parti e non un mezzo di prova che, se disposto dal giudice, violerebbe il principio di parità delle parti.

Spese ed onorari di giudizio possono essere compensate per quanto riguarda il Comune di Benevento, mentre vanno posti a carico dell’amministrazione preposta alla tutela dei beni culturali e sono liquidati nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Ottava) definitivamente pronunciando, così provvede:

– accoglie il ricorso indicato in epigrafe e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati;

– respinge la domanda di risarcimento dei danni;

– compensa spese ed onorari di giudizio nei confronti del Comune di Benevento;

– condanna il Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Soprintendenza per i Beni Architettonici, Paesaggistici, Storici ed Artistici per le Province di Caserta e Benevento al pagamento delle spese ed onorari di giudizio in favore della società M.I. s.p.a. che liquida complessivamente in Euro 1.500,00 (millecinquecento/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 5 luglio 2011 con l’intervento dei magistrati:

Antonino Savo Amodio, Presidente

Alessandro Pagano, Consigliere

Gianluca Di Vita, Referendario, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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