T.A.R. Lazio Roma Sez. II quater, Sent., 01-09-2011, n. 7099 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La società ricorrente è proprietaria di un immobile di circa 9 ettari sito in Roma, Via di Tor Carbone n. 101, su cui insistono alcuni manufatti di modesta entità edificati alla fine degli anni "50, in un’area assoggettata a vincolo archeologico.

Con istanza assunta in prot. al n. 35064/0/87, la società ricorrente aveva chiesto al Comune di Roma il rilascio della concessione in sanatoria per la costruzione distinta al NCT al Foglio 972 part. 93, di 42,56 mq. da sempre adibita a ricovero attrezzi e deposito macchinari agricoli, e, in data 9.1.2003 alla Soprintendenza per i Beni Archeologici di Roma di esprimere il parere di competenza.

Con il presente ricorso impugna il parere negativo da quest’ultima espressos con nota m. 9024 del 21/3/03, deducendo i seguenti profili di censura:

1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 7 e 8 L. 241/90. Illogicità e contraddittorietà manifesta.

La ricorrente denuncia la contradditorietà tra la richiesta di integrazioni documentali formulata dall’Amministrazione – volta a verificare se detto manufatto avesse conservato l’originaria destinazione d’uso ovvero se fosse medio tempore intervenuto un eventuale mutamento di tale destinazione d’uso- ed il provvedimento negativo successivamente assunto sulla base di diverse considerazioni, che avrebbe ingiustamente impedito all’interessata di partecipare al procedimento conclusosi con l’atto impugnato.

2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 32 L. 47/85 e dell’art. 1 della legge 431/85 come mod dall’art. 151 d.lvo 490/99 in relazione agli artt. 3 e 97 Cost. Eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto di motivazione, contraddittorietà, illogicità manifesta e difetto di istruttoria.

Sarebbe statoCiò ha impedito alla ricorrente di rappresentare l’erroneità della rappresentazione dello stato dei luoghi su cui poggia il parere negativo, adottato nel convincimento che la costruzione abbia "comportato un discreto movimento di terra che non solo ha modificato lo stato del luogo, ma ha ulteriormente compromesso con l’incremento di volume, con il carattere definitivo, la conservazione, la visibilità ed il godimento del paesaggio circostante, parte integrante del complesso archeologico dell’Appia Antica, universalmente conosciuto", che ha indotto a concludere che "le opere non sono compatibili con le elevate presenze archeologiche presenti nell’area".

Detta motivazione, secondo la ricorrente sarebbe "assolutamente incongrua, spropositata e comunque fondata su presupposti errati… al punto da far ritenere altrettanto carente l’istruttoria eseguita", in quanto trattasi di costruzione contro terra e pertanto non suscettibile di determinare quella compromissione della visibilità e del godimento del paesaggio prospettata dall’Amministrazione.

Comunque trattasi di modesto abuso realizzato da almeno 50 anni, prima dell’imposizione del vincolo, e con incidenza paesaggistico ambientale assai ridotta, tanto più che è ormai quasi interamente nascosto in parte dalla morfologia (collinare) del terreno ed in parte dalla vegetazione nel frattempo cresciuta, sicchè il parere negativo avrebbe dovuto essere assistito da congrua motivazione.

Nella fattispecie invece l’incongrua e stereotipa motivazione dell’atto impugnato "assume i contorni di una vera e propria scelta persecguito ria diretta a volt colpire ad ogni costo il privato ed i suoi interessi" senza tener conto dell’esigenza di certezza delle aspettative ingenerate.

L’Amministrazione resistente si è costituita in giudizio e con memoria scritta ha chiesto il rigetto del ricorso, rappresentando che l’atto impugnato "è il risultato di un’attenta comparazione degli interessi in conflitto, in relazione ad una violazione urbanistica commessa in un luogo di alto valore di testimonianza di civiltà, che è vulnerato dal micro abusivismo della zona, che deve essere valutato nel suo complesso".

Con memoria conclusionale depositata in vista dell’udienza di discussione del merito, la ricorrente ha ribadito le proprie deduzioni.

All’udienza pubblica del 16.6.2011 la causa è trattenuta in decisione.

Il primo motivo di ricorso, con cui si denuncia la violazione degli artt. 7 e 8 della legge 7.8.1990 n. 241, sull’assunto che l’Amministrazione procedente, nel richiedere chiarimenti ed integrazioni su circostanze diverse rispetto a quelle sulla base delle quali ha assunto la decisione finale, è infondato.

L’art. 4, primo comma, del D.M. 13.6.1994 n. 495 (con il quale è stato emanato il regolamento per l’attuazione degli artt. 2 e 4 della legge n. 241/1990), che prevedeva l’obbligo per l’Amministrazione di comunicare l’avvio del procedimento in relazione alla generalità degli atti dalla stessa emanati, è stato successivamente integrato dal D.M. 19.6.2002 n. 165 (pubblicato nella G.U 2.8.2002 n. 180) che, nel dettare modifiche al citato D. M. n. 495/1994, ha aggiunto, all’art. 4 di quest’ultimo, il comma 1 bis, secondo il quale "La comunicazione prevista dal comma 1 non è dovuta per i procedimenti avviati ad istanza di parte" ed in particolare, per quelli disciplinati dagli articoli nello stesso indicati, tra i quali l’art. 151 del D.Lgs. 29.10.1999 n. 490, sull’autorizzazione postuma a sanatoria delle modifiche abusivamente apportate a beni tutelati.

Ne consegue che alla ricorrente non giova invocare l’art. 7 della legge n. 241/90 atteso che nella fattispecie era già entrato in vigore il citato D.M. 19.6.2002 n. 165, e non essendo stato impugnato detto decreto, non vi era alcun obbligo per la Soprintendenza di comunicare l’avvio del procedimento volto all’espressione del parere di competenza.

Per quanto attiene allo svolgimento di attività istruttoria su elementi (destinazione d’uso attuale dell’immobile) diversi rispetto a quelli poi posti a fondamento dell’atto impugnato, questa non vizia per contraddittorietà il provvedimento finale, trattandosi a tutto concedere di mera inutilità dell’operato del funzionario responsabile che ha disposto approfondimenti ultronei che, in quanto tali, non hanno inciso sulla decisione finale. Né ciò ha impedito alla ricorrente di rappresentare l’erroneità dei presupposti di fatto su cui poggia il parere negativo.

Questo, infatti, è stato adottato ritenendo che la costruzione abbia "comportato un discreto movimento di terra che non solo ha modificato lo stato del luogo, ma ha ulteriormente compromesso con l’incremento di volume, con il carattere definitivo, la conservazione, la visibilità ed il godimento del paesaggio circostante, parte integrante del complesso archeologico dell’Appia Antica, universalmente conosciuto", che ha indotto a concludendosire che "le opere non sono compatibili con le elevate presenze archeologiche presenti nell’area".

Nella fattispecie in esame, peraltro, la ricorrente non avrebbe ricavato la prospettata utilità della partecipazione procedimentale, in quanto il parere negativo non si fonda unicamente sull’impatto visivo della costruzione abusiva in parola – che secondo la ricorrente non sarebbe suscettibile di compromettere la visibilità ed il godimento del paesaggio in quanto realizzata contro terra – ma anche sul movimento di terra – che ha modificato lo stato dei luoghi e che non è compatibile con le "elevate presenze archeologiche presenti nell’area" – che non è frutto di un’istruttoria superficiale ma risulta incontestabilmente dalla documentazione allegata all’istanza di sanatoria, ed in particolare dal confronto delle rappresentazioni ante e post operam da cui si evince incontestabilmente sia l’entità dei lavori di movimento terra effettuati per realizzare il manufatto in questione – interrato per metà della sua altezza (prospetto sudovest e nordest) – sia l’elevazione di questo, per l’intera altezza negli altri due prospetti; sicchè il provvedimento impugnato non può neppure ritenersi viziato sotto il profilo del difetto di istruttoria o del travisamento dei presupposti.

Diversa sorte merita invece la censura relativa alla motivazione dell’atto impugnato, ritenuta dalla ricorrente "assolutamente incongrua, spropositata", in quanto il parere negativo sarebbe stato rilasciato esclusivamente in considerazione dell’esistenza del vincolo di inedificabilità dell’area, senza tener conto che il manufatto è anteriore alla data di apposizione del vincolo, e senza considerare che la costruzione per le sue modeste dimensioni e per la collocazione, seminascosta dalla vegetazione e dall’andamento collinare del terreno, non contrasterebbe con i valori tutelati dal vincolo, e senza comunque tener conto dell’affidamento ingenerato nel privato il cui interesse avrebbe dovuto essere contemperato con quello pubblico perseguito dall’autorità tutoria.

Al riguardo il Collegio ritiene di dover richiamare una precedente decisione resa nei confronti della medesima ricorrente, in relazione ad un immobile abusivamente realizzato nella medesima area, immediatamente prospiciente quello in questione e cioè quello distinto al Catasto al Foglio 972 part. 87 e di ben maggior impatto (l’abuso riguarda due immobili per una superficie totale di mq. 2360, dei quali uno adibito ad abitazione, e l’altro a magazzino).

In quell’occasione l’atto gravato, fondato sulle medesime ragioni poste alla base del parere oggetto di impugnativa in questa sede, è stato annullato per difetto di motivazione richiamando una decisione del Consiglio di Stato Sez. VI 13/3/08 n. 1077 – resa con riferimento ad un procedimento di sanatoria per un manufatto ricadente nella medesima zona di Tor Carbone oggetto dello stesso vincolo archeologico -, nella quale il giudice di appello ha ribadito che, sebbene il D.M. 13/2/90 imponga il vincolo di inedificabilità assoluta sull’area ivi indicata, nondimeno nel caso di vincolo successivo (come nel caso di specie), il parere negativo al rilascio della sanatoria non può ritenersi atto vincolato, da adottarsi in via automatica solo per effetto dell’esistenza del vincolo di inedificabilità, dovendo la Soprintendenza svolgere i necessari accertamenti in concreto per valutare la compatibilità del manufatto con il provvedimento di vincolo.

Secondo tale prospettiva, in caso di vincolo sopravvenuto, l’accertamento della Soprintendenza deve essere concreto ed approfondito, e nella motivazione dell’atto devono essere puntualmente indicate le ragioni per le quali la conservazione dell’intervento (conseguente al rilascio della sanatoria) sia incompatibile con i valori tutelati. A tal fine non era stato ritenuto sufficiente il mero richiamo alla circostanza che l’area su cui gli immobili ricadono fosse stata assoggettata a vincolo paesaggistico imposto con D.M. 14/12/53 ed a vincolo archeologico imposto con successivo D.M. 13/2/90 e insistesse all’interno del parco dell’Appia Antica – che secondo il PRG è sottoposta a tutela integrale – ed in zona di interesse archeologico particolarmente importante; né che per la realizzazione dell’opera sono stati effettuati movimenti di terra in area di interesse archeologico e che la presenza della stessa non fosse ritenuta compatibile con le elevate presenze storiche ed archeologiche dell’area e con i caratteri del paesaggio storico dell’agro romano in quanto "una motivazione di tal genere, non soddisfa certamente i requisiti motivazionali necessari per il diniego di sanatoria di fabbricati edificati prima dell’apposizione del vincolo, essendo richiesta, in questo caso, una motivazione puntuale, nella quale si dia conto della reale consistenza dei manufatti oggetto di richiesta di sanatoria e della specifica situazione dei luoghi nei quali ricadono, e si specifichi per quale ragione quei particolari fabbricati (tenuto conto, nel caso di una pluralità di manufatti, delle loro caratteristiche costruttive individuali), non possano armonizzarsi con il contesto ambientale vincolato (TAR Lazio, sez. II quater, 5.2.2009 n. 1212).

Da tale precedente il Collegio non intende discostarsi, attagliandosi, vista la sostanziale identità della situazione di fatto – trattandosi di abusi insistenti sulla medesima area e collocati uno di fronte rimpetto all’altro – e dell’iter motivazionale del provvedimento impugnato e tenuto conto, essendo che le considerazioni sopra riportate, svolte con riferimento ad un manufatto di ben maggiori dimensioni, sono valide anche con riferimento al ben più modesto manufatto in contestazione.

Il ricorso deve essere pertanto accolto, con conseguente annullamento del parere negativo della Soprintendenza per i Beni Archeologici; fatti salvi, ovviamente, gli ulteriori provvedimenti di competenza dell’Amministrazione.

Quanto alle spese di lite, sussistono comunque giusti motivi per disporne la compensazione tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie, nei sensi di cui in motivazione, e, per l’effetto, annulla, per quanto di ragione, l’atto impugnato.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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