T.A.R. Lazio Roma Sez. II quater, Sent., 01-09-2011, n. 7096

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Sig. B.E. e la moglie, Sig.ra S.Z. al quinto mese di gravidanza, con i due figli minori di cinque e due anni, in data 22/2/2010 hanno presentato in Italia la domanda di asilo.

Gli stessi ricorrenti avevano già presentato analoga richiesta in Austria in data 12/10/07, paese da cui provenivano al momento dell’ingresso in Italia.

L’Unità Dublino, – ufficio preposto all’espletamento delle procedure dirette a determinare lo stato membro competente per l’esame di una domanda di asilo ai sensi del Reg. n. 343/2003 – ha inviato all’Austria in data 16/6/10 la richiesta di ripresa in carico ai sensi dell’art. 16.1 del Reg. n. 343/3003.

L’Austria con nota del 29/6/2010 ha riconosciuto la propria competenza.

Ritenendo l’Austria un paese terzo sicuro e non ravvisando motivi che avrebbero potuto indurre l’Italia ad assumere la competenza ai sensi dell’art. 3.2 del Regolamento Dublino II, con provvedimento del 30/6/10, notificato il giorno 30/7/10, l’Unità Dublino ha disposto il trasferimento in Austria dei ricorrenti per la disamina della domanda di protezione.

Avverso detto provvedimento i ricorrenti deducono i seguenti motivi di impugnazione:

1. Violazione di legge. Mancata comunicazione dell’avvio del procedimento ai sensi degli artt. 7, 8 e 10 bis della L. 241/90. Mancata traduzione del decreto in lingua conosciuta dallo straniero.

2. Violazione e/o mancata applicazione degli artt. 15, 16 e 17 del Reg. CE n. 343/03.

3. Violazione e/o mancata applicazione dell’art. 28 comma 3 del D.Lgs. 286/98, artt. 8, 9 e 10 della Convenzione di New York 20 novembre 1989.

Con ordinanza n. 4328/2010 la domanda cautelare è stata accolta in considerazione della particolare condizione del nucleo familiare dei richiedenti asilo, comprendente una bimba di appena tre mesi nata in Italia.

All’udienza pubblica del 26 maggio 2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

Come meglio dedotto in narrativa i ricorrenti, cittadini armeni, hanno impugnato il provvedimento con il quale il Ministero dell’Interno, Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione, Direzione Centrale dei Servizi Civili per l’Immigrazione e l’Asilo – Unità Dublino – ha decretato il loro trasferimento in Austria, Stato competente ai sensi del Reg. CE n. 343/03 alla disamina della domanda di protezione internazionale.

Dalla disamina del sistema EURODAC (riscontro delle impronte digitali a livello europeo) è emerso, infatti, che il ricorrente unitamente alla propria famiglia aveva presentato analoga richiesta di protezione internazionale in Austria in data 12/10/07, domanda che era stata respinta dalle competenti autorità austriache.

L’Unità Dublino ha quindi indirizzato all’Austria una richiesta di ripresa in carico ai sensi dell’art. 16.1 del Reg. CE n. 343/03 e l’Austria ha riconosciuto la propria competenza.

Il Regolamento Dublino II, infatti, al fine di evitare il fenomeno del cosiddetto "asylum shopping", ha previsto una serie di criteri gerarchici per determinare quale sia lo Stato membro competente ad esaminare la domanda di protezione internazionale, ed in base alla previsione dell’art. 16.1 del Reg. CE n. 343/03 "Lo Stato membro competente per l’esame di una domanda di asilo…..ha l’obbligo di riprendere in carico il cittadino di un paese terzo del quale ha respinto la domanda e che si trova nel territorio di un altro Stato membro senza esserne autorizzato".

In seguito alla formale accettazione austriaca l’Unità Dublino ha quindi disposto il trasferimento in Austria del ricorrente unitamente alla sua famiglia.

Con il primo motivo di impugnazione lamentano i ricorrenti l’illegittimità dell’atto per violazione delle norme sul procedimento amministrativo, e precisamente per violazione degli artt. 7 e 10 bis della L. 241/90 e per omessa traduzione dell’atto in lingua tedesca da loro conosciuta.

Quest’ultima censura non può essere accolta, atteso che l’omessa traduzione dell’atto in lingua tedesca anziché in lingua inglese non costituisce motivo di illegittimità del provvedimento, considerato che, essendo stata effettuata l’impugnazione nei termini e secondo le modalità di rito, i ricorrenti hanno sicuramente compreso il contenuto dell’atto.

Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, l’omessa traduzione del provvedimento consente soltanto il riconoscimento dell’errore scusabile in caso di tardiva presentazione dell’impugnazione, ma non comporta l’illegittimità dell’atto.

Altrettanto infondate sono le censure relative alla violazione delle garanzie sulla partecipazione al procedimento.

La norma di cui all’art. 7 della L. 241/90, infatti, risulta applicabile ai soli procedimenti attivati d’ufficio, mentre nel caso di specie, il procedimento ha preso avvio su istanza di parte (richiesta di concessione della protezione internazionale presentata presso l’Ufficio Immigrazione della Questura di Gorizia); la norma dell’art. 10 bis della L. 241/90 è invece applicabile al presente procedimento in quanto si applica a tutti i procedimenti ad istanza di parte eccetto quelli individuati dal Legislatore, tra i quali non è contemplato quello in questione, ed oneri di comunicazione risultano previsti anche nella disciplina specifica recata dall’art. 3.4 del Reg. CE n. 343/03 secondo cui "Il richiedente asilo è informato per iscritto in una lingua che possa essere sufficientemente compresa dallo stesso, dell’applicazione del presente regolamento, delle date e degli effetti pertinenti".

Nondimeno, però, la violazione dell’art. 10 bis della L. 241/90 non comporta automaticamente l’obbligo per il giudice di disporre l’annullamento dell’atto, in quanto, trattandosi di vizio di forma, il giudice può superare il vizio procedimentale, facendo applicazione dell’art. 21 octies della stessa legge, qualora sia palese che l’atto non avrebbe potuto avere un contenuto diverso (cfr. tra le tante T.A.R. Lazio sez. I 9/9/09 n. 8425; Cons. Stato sez. V 28/7/08 n. 3707; Cons. Stato Sez. VI 8/2/08 n. 415; T.A.R. Sicilia sez. IV Catania 8/6/09 n. 1065; T.A.R. Campania Napoli Sez. VI 30/4/09 n. 2225).

Nel caso di specie, il Reg. CE n. 343/03 prevede un sistema gerarchico di criteri di attribuzione della competenza degli Stati membri nella disamina delle domande di protezione al fine di evitare il fenomeno dell’asylum shopping da applicarsi in modo rigido, tanto da rendere sostanzialmente vincolato il provvedimento che definisce la competenza per la disamina della domanda di protezione; solo quando il richiedente asilo è in grado di incidere concretamente sull’esito del procedimento adducendo elementi di fatto idonei a decretare lo spostamento della competenza, può ritenersi che la violazione dell’art. 10 bis della L. 241/90 possa comportare l’illegittimità dell’atto, ed il suo conseguente annullamento in sede giurisdizionale (quando, ad esempio, dimostri di essere uscito dai paesi UE per oltre tre mesi, oppure possa dimostrare di volersi ricongiungersi con un familiare, e così via), ma nel caso di specie neppure in sede processuale sono stati addotti elementi tali da poter incidere sulla determinazione della competenza.

Non può essere infatti accolto il secondo motivo di ricorso, con il quale i ricorrenti lamentano la

la violazione dell’art. 17.1 del Reg. CE n. 343/03 secondo cui " se la richiesta di prendere in carico il richiedente asilo non è formulata entro tre mesi, la competenza dell’esame della domanda di asilo spetta allo Stato membro al quale la domanda è stata presentata".

Nel caso di specie, i ricorrenti hanno presentato la prima domanda di asilo in Austria (in data 12/10/07), e dunque il trasferimento in quello Stato membro è stato disposto in applicazione dell’art. 16.1 lett. e) del Reg. CE n. 343/03 secondo cui "Lo Stato membro competente per l’esame di una domanda di asilo….ha obbligo di riprendere in carico, alle condizioni di cui all’art. 20, il cittadino di uno Stato terzo del quale ha respinto la domanda e che si trova nel territorio di un altro Stato membro senza esserne stato autorizzato".

L’art. 16.1 lett. e) del Reg. CE n. 343/03 rimanda quindi all’art. 20 dello stesso regolamento per quanto concerne le modalità del trasferimento.

Detta norma, infatti, disciplina la procedura di "ripresa in carico" di un richiedente asilo in conformità dell’art. 4.5 e dell’art. 16.1 lett. c), d) ed e) del Reg. Dublino II e prevede i termini entro i quali lo Stato membro deve pronunciarsi sulla richiesta di ripresa in carico (un mese o due settimane se la richiesta è basata su dati ottenuti dal sistema Eurodac) ed il termine (sei mesi al massimo, salvo proroghe) entro il quale deve essere trasferito il richiedente asilo dalla data di accettazione da parte dell’altro Stato membro.

La disciplina relativa alla cosiddetta "ripresa in carico" non contiene la norma invocata dai ricorrenti, disposizione che si applica esclusiva mente alla diversa situazione della cosiddetta "presa in carico", che ricorre quando lo straniero ha varcato illegalmente la frontiera di uno Stato membro e detto Stato membro è ritenuto competente ai sensi dell’art. 10.1 del Regolamento per la disamina della domanda di asilo.

Solo in caso di "presa in carico" si applica la disposizione dell’art. 17.1 del Reg. n. 343/03 invocata dai ricorrenti, così come può agevolmente evincersi sia dalla lettura della norma stessa, che si riferisce espressamente alla "presa in carico", sia dalla disamina dell’art. 16 comma 1 lett. a) dello stesso Regolamento, secondo cui la procedura di "presa in carico" è disciplinata negli articoli da 17 a 19.

Peraltro, la differente disciplina esistente nel Reg. n. 343/03 per la "presa" e la "ripresa" in carico, risulta ampiamente giustificata dalla diversità delle situazioni di fatto: mentre nel primo caso la competenza dello "Stato membro richiesto" si basa di prove spesso meramente indiziarie, nel secondo caso il sistema Eurodac fornisce elementi certi di giudizio in merito all’esistenza di una precedente domanda di asilo in un altro Stato membro, il che ha comportato per il Legislatore la previsione della diversità della disciplina e dei termini di accettazione tacita (due mesi e due settimine) previsti per le due diverse fattispecie.

Poiché la situazione dei ricorrenti è riconducibile alla cosiddetta "ripresa in carico", la censura non può essere accolta.

Altrettanto infondate sono le ulteriori doglianze proposte con il medesimo secondo motivo di ricorso in quanto:

– l’intenzione di presentare direttamente la domanda di asilo in Italia e non in Austria non rileva ai fini dello spostamento della competenza, e comunque risulta pure contraddetta dalla circostanza di fatto costituita dalla lunga permanenza dei ricorrenti in Austria;

– la nascita dell’ultima figlia dei ricorrenti in Italia non costituisce di per sé elemento valutabile ai fini del Reg. 343/03 al fine del riconoscimento della competenza dello Stato italiano;

– il trasferimento in Austria riguarda l’intero nucleo familiare così come dispone l’art. 4.3 del Regolamento, secondo cui "Ai fini del presente regolamento, la situazione del minore che accompagna il richiedente asilo e risponde alla definizione di familiare ai sensi dell’articolo 2, lettera i), è indissociabile da quella del genitore o tutore e rientra nella competenza dello Stato membro competente per l’esame della domanda d’asilo del suddetto genitore o tutore, anche se il minore non è personalmente un richiedente asilo. Lo stesso trattamento è riservato ai figli nati dopo che i richiedenti sono giunti nel territorio degli Stati membri senza che sia necessario cominciare una nuova procedura di presa in carico degli stessi";

– dalla documentazione depositata in giudizio dall’Avvocatura erariale ciò risulta in modo palese (cfr. nota dell’Unità Dublino del 30/6/10 relativa al trasferimento della Sig.ra S.Z. contenente l’annotazione "compresi i figli – Attestato anche per loro"), mentre non risulta che i ricorrenti dispongano di familiari in Italia la cui presenza sia valutabile ai sensi dell’art. 15 del Reg. CE n. 343/03;

– infine non risulta dimostrata l’esigenza di permanenza in Italia dei ricorrenti per motivi di salute ben potendo essi usufruire delle necessarie cure anche in Austria (come del resto dimostrato dalla produzione delle certificazioni mediche austriache).

Altrettanto infondato è il terzo motivo di impugnazione con il quale i ricorrenti lamentano la violazione della Convenzione di New York del 20/11/89 sui diritti del fanciullo: poiché il trasferimento in Austria si riferisce all’intero nucleo familiare non sussiste il rischio di separazione dei figli minori dai loro genitori.

Quanto alla violazione dell’art. 28 del D.Lgs. 286/98 è sufficiente rilevare che la norma non risulta applicabile al caso di specie, disciplinato esclusivamente dal Reg. CE n. 343/03; infine non può non rilevarsi come l’ordinamento appresti idonei strumenti di tutela ai cittadini stranieri genitori di minori in tenera età consentendo – previo provvedimento del Tribunale per i Minorenni che accerti i presupposti per l’applicazione della norma – la loro permanenza in Italia (cfr. art. 31 comma 3 del D.Lgs. 286/98).

In conclusione, per i suesposti motivi, il ricorso deve essere respinto perché infondato.

Quanto alle spese di lite, sussistono tuttavia giusti motivi per disporne la compensazione tra le parti.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,

lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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