Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 26-04-2011) 29-07-2011, n. 30254

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- La Corte di Appello di Trieste con l’indicata sentenza del 15.5.2008 ha confermato la decisione, impugnata dall’imputato, emessa il 12.5.2006 dal Tribunale di Trieste, con la quale – all’esito di giudizio ordinario – B.G. è stato riconosciuto colpevole del reato di omessa somministrazione dei mezzi di sussistenza in favore del figlio minorenne affidato alla moglie separata V.V. e per l’effetto è stato condannato alla pena sospesa di quattro mesi di reclusione ed Euro 400,00 di multa.

Colpevolezza, affermata per il periodo dal novembre 2001 al novembre 2005 (epoca in cui i due ex coniugi hanno raggiunto un accordo sulla misura del contributo gravante sull’imputato per il mantenimento del figlio minore), integrata – secondo le risoluzioni dettate dal Tribunale di Trieste nella sentenza di omologa della separazione consensuale dei coniugi – sia dall’omesso versamento di un assegno mensile di L. 600.000, sia dalla mancata corresponsione della metà del ricavato della vendita di un immobile.

Sul merito della regiudicanda la Corte territoriale ha disatteso le doglianze dell’imputato, evidenziando come la sentenza di primo grado abbia offerto esauriente dimostrazione della sussistenza nella condotta del B. degli elementi costitutivi, oggettivo e soggettivo, dell’ascritto reato di cui all’art. 570 c.p.p., comma 2, altresì fornendo ampia risposta ai rilievi difensivi dell’imputato (indimostrata situazione di bisogno del figlio minore, la moglie separata lavorando come infermiera e la madre dell’imputato versando in più casi somme di denaro per il bambino, come da "istruzioni" rimessele dallo stesso imputato; temporanea incapacità finanziaria dell’obbligato, "costretto" a riparare all’estero, a causa del fallimento della sua impresa commerciale).

La Corte territoriale, anche richiamando per relationem la ricostruzione sequenziale della vicenda familiare sviluppata dalla sentenza di primo grado, ha osservato, tra l’altro, che: a) lo stato di bisogno di un figlio minorenne ha carattere oggettivo (in re ipsa o presunto), sì che l’obbligazione contributiva non è elisa da eventuali interventi finanziari di terze persone o altri familiari dell’avente diritto; b) le somme sporadicamente versate alla V. dalla madre dell’imputato, per altro di modesto importo e sempre inferiori alle L. 600.000, non surrogano l’obbligo del B., non essendovi prova alcuna della supposta "delega" all’uopo conferita alla madre; c) il B. non soltanto ha fatto perdere le proprie tracce, disinteressandosi del tutto del figlio minore e trasferendosi all’estero dopo il tracollo della società da lui gestita, ma – come riferito dall’ufficiale di p.g. esaminato dal Tribunale – ha venduto "clandestinamente" (all’insaputa della V. e della sua stessa madre), poco prima dell’udienza civile per l’omologa della separazione consensuale, l’immobile non pertinente alla sua fallita società, il cui ricavato avrebbe dovuto corrispondere per la metà alla V., incassando circa novanta milioni di lire, laonde non può in alcun modo disquisirsi di eventuali difficoltà economiche o finanziarie del B. ostative all’adempimento della sua obbligazione pecuniaria in beneficio del figlio minore.

2- Contro l’illustrata sentenza di appello ha proposto, per mezzo del difensore, ricorso per cassazione l’imputato B., deducendo unitario vizio di violazione di legge ed insufficienza della motivazione, articolato nei seguenti due profili di censura.

1. I giudici di appello, adagiatisi sulle conclusioni raggiunte dal Tribunale, non si sono fatti carico di esaminare i rilievi espressi con l’atto di gravame con specifico riguardo ai dati attestanti una reale situazione di bisogno della moglie separata dell’imputato per far fronte alle esigenze di sussistenza del figlio minore a lei affidato. Al bambino, infatti, non sono mai venuti a mancare i mezzi di sussistenza, perchè il B., anche quando si è allontanato dall’Italia, ha "delegato" la propria madre ad occuparsi del nipote, versando alla nuora "le somme che era possibile all’epoca consegnare". 2. Ingiustamente, in subordine, la Corte di Appello ha negato all’imputato le circostanze attenuanti generiche, non tenendo in alcun conto il fatto che l’imputato, non appena ha ripreso a lavorare con regolarità, ha risolto ogni pendenza finanziaria connessa all’obbligazione contributiva verso il figlio minore.

3.- Il ricorso di B.G. è inammissibile per manifesta infondatezza del primo tema di censura e per indeducibilità del secondo tema di censura.

1. I rilievi critici sulla sussistenza del contestato reato, in riferimento alla supposta mancanza di un concreto stato di bisogno del figlio minore, rilievi che mutuano la sostanziale genericità degli omologhi motivi di appello congruamente vagliati dalla Corte territoriale, sono destituiti di ogni serio pregio.

Le due conformi decisioni di merito hanno posto in luce, con adeguata analisi delle emergenze probatorie e sulla base di corretti argomenti giuridici, come – da un lato – non sia riconoscibile alcuna supposta "delega" surrogatoria dell’obbligo contributivo facente capo all’imputato in relazione alle somme versate a beneficio del nipote dalla madre del B.. Somme soltanto saltuarie e sempre di minimo importo, come ha dimostrato l’istruttoria dibattimentale di primo grado. Da un altro lato, la condizione di minore età del figlio dell’imputato rende cogente ed oggettivo lo stato di bisogno, che la somma mensile posta a carico del prevenuto dal giudice civile in uno alla metà del ricavo della vendita di un immobile, effettuata e occultata dal B., avrebbe dovuto concorrere a fronteggiare.

Come a più riprese statuito dalla giurisprudenza di questa Corte regolatrice, infatti, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 570 c.p., comma 2, n. 2 l’obbligo di fornire i mezzi di sussistenza al figlio minore ricorre anche quando vi provveda in tutto o in parte l’altro genitore con i proventi del proprio lavoro o con l’intervento di altri congiunti, poichè tale sostituzione non elimina lo stato di bisogno, oggettivo o – se si preferisce – presunto in ragione della incapacità di produrre reddito di un soggetto minorenne, in cui versa il soggetto passivo (cfr.: Cass. Sez. 6^, 13.11.2008 n. 2736, rv. 242854; Cass. Sez. 6^, 3.2.2010 n. 14906, rv. 247022).

A ciò dovendosi aggiungere che, come evidenzia la sentenza impugnata, non soltanto l’imputato non ha indicato alcun serio dato da cui desumere la sua eventuale impossibilità di adempiere l’obbligazione, ma l’istruttoria dibattimentale non ha fatto emergere (anzi l’ha esclusa) la concreta sussistenza di qualsiasi seria situazione impeditiva del B..

2. La doglianza relativa al diniego delle attenuanti generiche è indeducibile, perchè investe la definizione del trattamento sanzionatorio, riservata al giudice di merito e non scrutinabile in sede di legittimità, se sorretta – come è palese nel caso di specie – da congrua e non illogica motivazione.

La sentenza di appello ha coerentemente ritenuto il B. immeritevole delle attenuanti innominate, avuto riguardo al concreto contegno di disinteresse economico e anche morale per la sorte del figlio dallo stesso posto in essere e al lungo protrarsi (quattro anni) di siffatto contegno antigiuridico.

Alla dichiarata inammissibilità dell’impugnazione segue per legge la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si reputa equo stabilire in Euro 1.000,00 (mille).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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