Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 05-04-2011) 29-07-2011, n. 30318 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Con ordinanza 27.5.2010 il Tribunale di Reggio Calabria, costituito ai sensi dell’art. 309 c.p.p., confermava l’ordinanza 12.4.2010 con la quale il GIP della stessa sede giudiziaria aveva applicato nei confronti di P.E. la misura cautelare della custodia in carcere siccome indagato in relazione ai reati: a) di cui all’art. 416 bis c.p., quale affiliato e partecipe, in (OMISSIS) e altre zone della provincia reggina dal 2004 con permanenza; b) di cui alla L. n. 895 del 1967, artt. 2 e 7, L. n. 203 del 1991, art. 7, in (OMISSIS) in data antecedente e prossima al 13.5.2008; c) di cui all’art. 110 c.p., L. n. 895 del 1967, artt. 2 e 7, L. n. 203 del 1991, art. 7, in (OMISSIS) in data antecedente e prossima al 13.5.2008; d) di cui agli artt. 110 e 629 c.p., L. n. 203 del 1991, art. 7, in (OMISSIS) in data antecedente e prossima al 13.10 2008. Il tribunale riteneva sussistente un solido e grave quadro indiziario in ordine all’esistenza ed operatività del sodalizio criminoso capeggiato da C.C.B. e B.F., costituente un locale di ‘ndrangheta attivo nel territorio di (OMISSIS), fondato su una struttura gerarchica e su reti di affiliazione, dotato di una suddivisione interna di ruoli e compiti con ampia disponibilità di armi, con solidi rapporti con altre consorterie ‘ndranghetistiche della provincia reggina, mirante al controllo del territorio per mezzo del potere di intimidazione e che aveva dimostrato di avere una notevole capacità di penetrazione e di infiltrazione nell’amministrazione comunale.

Venendo, quindi, ad esaminare specificamente la posizione del P. il tribunale richiama il materiale indiziario emerso e valutato dal GIP. In relazione alla contestazione relativa al reato di cui all’art. 416 bis c.p., quale partecipe, è risultato dalle conversazioni intercettate il 25. 4. 2007 a bordo della autovettura Alfa Romeo 146 targata (OMISSIS) tra Po.Da.Fi. e M.G. dalla registrazione della conversazione intervenuta il 27.4.2007 tra gli stessi interlocutori, che P.E., conosciuto con l’appellativo di (OMISSIS) perchè nato negli Stati Uniti, era stato uno dei soggetti presenti alla cerimonia di affiliazione alla ‘ndrangheta svoltasi il 26 aprile 2007 presso il villaggio denominato "(OMISSIS)", sito in località (OMISSIS) del comune di (OMISSIS), del quale è custode. Il tribunale, sempre in riferimento alla sussistenza degli indizi a carico in relazione alla partecipazione alla associazione di stampo mafioso, riporta stralci di conversazioni intercettate presso l’abitazione di C. C.B., coimputato, alle quali partecipò anche P. E. e nel corso delle quali si parla di episodi ed ambienti malavitosi.

Riguardo all’imputazione concernente il reato di estorsione, il coinvolgimento del P., secondo l’argomentazione del Tribunale, emerge da altra conversazione intercettata tra C.C. B. e I.M.; nel corso del colloquio il C. racconta di tale p. da (OMISSIS) imprenditore edile che effettuava dei lavori, da lui considerato amico, dal quale F. D. e P.E. si erano fatti consegnare la somma di Euro 2.000,00. Dalle indagini successivamente svolte era poi risultato che nel 2007 l’impresa Edile di V.P., nato a (OMISSIS), aveva eseguito dei lavori di ristrutturazione dello stabile dell’agriturismo denominato "zio N." nell’agro del comune di (OMISSIS); ciò veniva confermato anche dall’amministratore dell’azienda che sentito sommarie informazioni dichiarava che i lavori di ristrutturazione dell’immobile dell’azienda era stata incaricata la ditta di V.P. da (OMISSIS).

Sempre dal contesto della conversazione e dal preciso riferimento fatto sul punto da C. risulta evidente, secondo il tribunale, che P.E. unitamente a F.D., esponenti di spicco della società "maggiore" di (OMISSIS), si erano resi responsabili del delitto di estorsione nei confronti dell’imprenditore V.P., il quale, consapevole della statura criminale dei due personaggi e della loro appartenenza alla ‘ndrina locale, aveva anticipato ogni eventuale richiesta di pizzo, presentandosi al loro spontaneamente per "lasciare un saluto", saluto consistito nel pagamento di 2000,00 Euro. Il tribunale riteneva le dichiarazioni del C. fossero assolutamente precise e circostanziate, tali da non consentire prospettabili dubbi circa la sussistenza di un grave quadro indiziario a carico di P. E. in relazione alla contestazione cautelare relativa all’estorsione, ivi compresa l’aggravante ad effetto speciale.

Riguardo alla disponibilità di armi da parte dell’associazione mafiosa e con riferimento alle imputazioni in capo a P. E., concernenti la detenzione illegale di una pistola calibro 7, 65 e la detenzione illegale, di un fucile a pompa di calibro e marca imprecisati in concorso con C.P., dalle conversazioni intercettate emergeva che numerosi personaggi pienamente inseriti nella cosca di Condofuri avevano disponibilità di armi. Nella conversazione tra F.D. e Fa.Lo., registrata il 13.5.2008, i due parlano di un tale E., da identificarsi in P.E., il quale era in possesso di diverse armi, in particolare di una pistola calibro 7,65 e di un fucile a pompa portato dagli Stati Uniti, che al momento del colloquio il Fasci diceva essere nella detenzione di (OMISSIS) da identificare in C.P..

In relazione alle esigenze cautelari il tribunale, considerato il delitto di associazione di stampo mafioso contestato, e attesa l’assenza di elementi da cui risulti l’insussistenza delle esigenze cautelari presunte per legge ai sensi dell’art. 275 c.p.p., comma 3, riteneva unica misura adeguata quella della custodia in carcere.

2.- Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per Cassazione l’avvocato Giuseppe Nardo, difensore di P.E., per i seguenti motivi:

a) Violazione dell’art. 606 lett. b) ed e) in relazione all’art. 273 c.p.p., art. 416 bis c.p., L. n. 895 del 1967, artt. 2 e 7; L. n. 203 del 1991, art. 7, artt. 110 e 629 c.p..

Lamenta il difensore che l’esistenza della cosca maliosa sia stata affermata attraverso metodo di indagine fondato sull’analisi storico sociale del fenomeno delinquenziale circoscritto ad un determinato territorio. Gli argomenti usati nell’ordinanza dimostrano, invece, che non vi sono elementi concreti e gravi sul piano giuridico, tali da consentire di affermare l’esistenza di un’associazione di stampo mafioso ma solo congetture e sospetti, inidonei entrambi a sostenere la sussistenza di una fattispecie penale che richiede una dimostrazione di precisi e imprescindibili elementi costitutivi e la prova certa della partecipazione degli imputati alla stessa. Nel caso di specie manca sicuramente quel clima di diffusa paura, percepito all’esterno dalla popolazione inerme e la prova che l’associazione abbia anche solo una mera capacità di intimidire soggetti diversi da quelli singolarmente presi di mira. Non vi è quindi una proiezione all’esterno, nell’ambiente circostante nel quale essa opera di una forza di intimidazione che venga percepita dalla popolazione e sia tale da condizionare l’ambiente a prescindere dalla consumazione di uno specifico reato; ciò è provato in particolare dalla circostanza che siano stati raccolti dagli inquirenti testimonianze o dichiarazioni accusatone e collaborative. Altro elemento assente, ma che il tribunale da per scontato, e l’individuazione della ricorrenza, in concreto, delle finalità tipiche della presunta associazione: la commissione di delitti, l’acquisizione della gestione del controllo di attività economiche, operata anche attraverso il condizionamento di atti amministrativi, la realizzazione di profitti o vantaggi ingiusti. L’ordinanza estrapola in proposito qualche singolo episodio nel quale, per interessi personali e diretti può esservi stata una responsabilità individuale ed esclusiva che, poi, i giudici hanno esteso indiscriminatamente agli altri, attraverso la scorciatoia del reato- fine per mezzo del quale vengono realizzati gli scopi dell’associazione. Quanto alle condotte contestate al P., afferma il difensore ricorrente che esse non possono assurgere al rango di attività tali da concorrere in termini di contributo, apprezzabile e concreto sul piano causale, alla realizzazione del programma associativo e degli scopi dell’associazione, all’affermazione, alla conservazione e al rafforzamento della stessa.

Le condotte ascritte all’indagato, come può ben rilevarsi dal materiale esplicativo, si caratterizzano per essere assolutamente inidonee, equivoche e finanche incompatibili con l’ipotesi delittuose contestate. In particolare l’addebito circa la partecipazione all’associazione, ad avviso del ricorrente, è tratto essenzialmente dal contenuto di due conversazioni intervenute tra P.D. F. e M.G. e, secondo quanto ritenuto dagli inquirenti e condiviso dai giudici di merito, da entrambe le conversazioni risulterebbe che P. era presente ad una cerimonia di affiliazione alla ‘ndrangheta avvenuta il 26.4.2007 in un villaggio e dovrebbe identificarsi nel "Bonetti Park" di (OMISSIS). In realtà dall’esame delle conversazioni emerge senza ombra di dubbio che il P. non era presente all’incontro, che anche l’identificazione del villaggio è una letteraria aggiunta, tra parentesi, frutto di un’illazione da parte degli inquirenti non suffragata da nessun elemento concreto che la giustifichi. Pure il proseguo della conversazione intercettata, invero assai poco comprensibile, dimostra che l’indagato fosse presente al rito di affiliazione, anzi egli non era presente, come emerge dalle informative della PG tra i partecipanti ai festeggiamenti svoltisi presso il locale (OMISSIS) dopo il rito di iniziazione. Dunque il coinvolgimento del ricorrente nella presunta cerimonia del 26.4.2007 e frutto di un errato sillogismo da parte degli inquirenti, derivante dall’erronea iniziale individuazione del "villaggio" in cui si sarebbe svolta la cerimonia. Ulteriore prova dell’estraneità del P. al contesto deve trarsi dalla sua candidatura alle elezioni amministrative del giugno 2009 infatti il E. era candidato nella lista di minoranza e non in quella della maggioranza sulla quale, in base alle argomentazioni di accusa, l’organizzazione criminale avrebbe concentrato uomini e voti; inoltre non si spiega come un uomo della mia malavita locale abbia potuto prendere solo 18 preferenze. Anche l’accusa di detenzione illegale di armi, si fonda su affermazioni generiche e prive del minimo riscontro, fatte da soggetti terzi rispetto all’imputatoci quale non interviene alle discussioni. Eppure nelle numerose perquisizioni fermi e controlli subiti dal P. da parte della PG mai è stato trovato in possesso di armi.

Riguardo alla contestata estorsione l’esame della conversazione intercettata rende evidente che la presenza del P. non è contestualizzata in termini di partecipazione al delitto. In conclusione, la pretesa estorsione è frutto soltanto di un equivoco, di un malinteso, contorto atteggiamento mentale del C., il quale in tutte le conversazioni intercettate, anche non significative, si dimostra logorroico, protagonista e si abbandona a racconti pieni di invenzioni fantastiche e di millanterie. b) Violazione dell’art. 606, lett. b) ed e) in relazione alla L. n. 203 del 1991, art. 7. Insussistenza dell’aggravante. Nel caso in esame l’ordinanza sostiene, sostanzialmente, che l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, sia sussistente, per quel che riguarda il c.d. metodo mafioso, solo perchè l’imputato apparterrebbe ad una consorteria mafiosa operante nella zona cui si sarebbe verificato il fatto, posto che, in concreto, nell’ipotesi contestata egli non avrebbe, personalmente e concretamente, fatto alcunchè. Per quel che riguarda invece l’agevolazione dell’attività delle associazioni essa richiede nell’ agente il dolo specifico, non basta, infatti, la semplice consapevolezza della possibilità che dal reato che si commette derivi un’agevolazione dell’attività dell’associazione, ma occorre invece che l’agente abbia coscienza della idoneità del delitto a realizzare l’agevolazione e che questa finalità abbia costituito motivo specifico della spinta criminosa.

Nel caso in esame il quadro indiziario non presenta elementi specifici idonei a dimostrare concretamente che la condotta, eventualmente posta in essere dall’indagato, sia stata connotata dall’utilizzo, nella commissione del reato, del metodo mafioso, ovvero sia stata strettamente funzionale alla agevolazione di un’associazione mafiosa. e) Violazione dell’art. 606, lett. b) ed e) in relazione agli artt. 274 e 275 c.p.p.. Assume il ricorrente che non sussistono le gravi e inderogabili esigenze cautelari ritenute dai giudici di merito.

Neppure è corretta l’operazione di ricorrere alla presunzione prevista dall’art. 275 codice di rito, comma 3, perchè non sussistono nè il reato di cui all’art. 416 bis, nè l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, e, pertanto, avrebbero dovuto essere motivate le esigenze di natura cautelare relative ai reati diversi.

3.- Il Procuratore Generale Dott. Vito Moneti ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Motivi della decisione

4.- Il ricorso è infondato.

5.- Con il primo, articolato, motivo di ricorso il difensore in sostanza si limita ad affermare che nell’ordinanza gravata non sono stati individuati gli elementi costituivi dei reati e contestati e che gli indizi desunti dai contenuti delle intercettazioni non sono idonei a comprovare le ipotesi accusatone.

5.1.- Riguardo al reato di cui all’art. 416 bis difetterebbero la dimostrazione degli elementi caratterizzanti la fattispecie: la forza di intimidazione, la condizione di assoggettamento, la situazione di omertà e non sarebbero individuate, in concreto, le finalità tipiche della presunta associazione di stampo mafioso.

Sul punto deve essere sottolineato che il provvedimento del tribunale del riesame, con argomentazione congrua e consequenziale rispetto alle premesse fattuali esaminate, richiama risultati delle indagini svolte, in parallelo, dal Commissariato di pubblica sicurezza di Condofuri e dai carabinieri della Compagnia di Melito Porto Salvo e del Comando Stazione di Condofuri – San Carlo, nonchè gli esiti delle numerose intercettazioni di conversazioni effettuate in corso d’indagine e le ulteriori attività investigative svolte a supporto, rilevando come esse abbiano disvelato l’esistenza del sodalizio e la sua struttura, composta da una società "maggiore" e "minore", la disponibilità e la detenzione di armi da parte di numerosi associati, le pressioni esercitate dalla consorteria mafiosa sull’amministrazione comunale e i tentativi di infiltrazione nella stessa. In particolare le indagini menzionate avevano evidenziato la ricorrenza nel territorio di numerosi episodi di danneggiamento a scopo intimidatorio e ritorsivo, di usura e di riciclaggio di danaro, di tentativi di accaparrarsi il controllo delle attività estrattive di materiali inerti insediate lungo l’alveo della fiumara (OMISSIS). Vicende, queste, tutte riconducibili ai soggetti indagati per avere, a vario titolo, fatto parte dell’associazione criminale, e tipicamente significative – per quel che rileva in termini di ragionevole probabilità circa il futuro accertamento in ordine alla sussistenza della responsabilità penale che caratterizza la fase cautelare – sia dell’esistenza del vincolo associativo che della natura dello stesso, volto attraverso la forza dell’intimidazione e della conseguente condizione di assoggettamento dei soggetti estranei, ad affermare e consolidare il controllo dei consociati sul territorio.

5.2.- Riguardo alla sussistenza dei gravi indizi circa la condotta partecipativa dell’indagato, essi sono correttamente individuati nelle conversazioni intercettate; da quella tra P.D. F. e M.G., registrata il 25. 4. 2007 a bordo della autovettura Alfa Romeo 146 targata (OMISSIS), nel corso della quale viene indicato il luogo ove si svolgerà, il giorno successivo, la cerimonia di affiliazione e il P. viene nominato, con il suo appellativo "(OMISSIS)" da M.G.; che poi il rito di iniziazione si fosse realmente svolto, con l’ammissione nella consorteria di quattro giovani, risulta dalla registrazione della conversazione intervenuta il 27.4.2007, sempre tra P.D. F. e M.G.. Nel raccontare come fosse andata la cerimonia il P. riferisce che per calmare gli animi, visti i contrasti insorti, era intervenuto, oltre ad altra persona, anche E., da individuarsi nel P.; in altra conversazione registrata lo stesso giorno 27 aprile in orario successivo alla precedente, P.D.F. e M.G. discutono ancora della cerimonia di iniziazione e il M. nomina il P., riferendosi a lui con l’appellativo di "(OMISSIS)" e lamentandosi del comportamento dallo stesso tenuto, il P. gli risponde di non esser stato interrotto dal P. ma che questi si era limitato a dire che le cose bisognava discuterle prima e, nel proseguire la conversazione, rinomina il P. chiamandolo E..

Orbene la partecipazione ad una cerimonia di affiliazione di nuovi adepti alla consorteria criminale, oltre che essere indubbiamente sintomatica della intraneità all’associazione, è comportamento sicuramente destinato a contribuire efficacemente al mantenimento in vita della struttura associativa ed al perseguimento degli scopi della stessa, anche attraverso l’appianamento dei contrasti insorti riguardo alle modalità di scelta dei nuovi adepti. Le conversazioni citate, di chiaro contenuto eteroaccusatorio nei confronti dell’indagato, costituiscono riferimenti plurimi che si incrociano e si supportano vicendevolmente e trovano, poi, adeguato riscontro indiziario in quelle intercorse tra l’indagato stesso, C. C. e S.D. e tra l’indagato, C.C. e Co.Pa., nel corso delle quali si parla chiaramente di episodi ed ambienti malavitosi.

6..- Quanto all’interpretazione del contenuto del colloquio intercettato il 13.10.2008 tra C.C.B. e lana Maurizio, concernente il contestato delitto di estorsione, è da rilevare come non è prospettabile in questa sede di legittimità una interpretazione del significato di un’intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito, salvo che ricorra l’ipotesi del travisamento della prova, cioè si versi nel caso in cui il giudice di merito indichi il contenuto di un atto in modo difforme da quello reale. Nel caso di specie, invece, non sono controverse le parole pronunziate, ma il significato complessivo delle stesse che è questione di fatto rimessa alla valutazione del giudice di merito.

(Sez. 4, sent. 28.10.2005, n. 117, Caruso; Sez. 6, sent. 8.1.2008, n. 17619, Gionta e altri).

7.- Considerazioni analoghe devono essere fatte riguardo alla censura di genericità ed illogicità mossa agli addebiti circa la detenzione delle armi scaturenti dalla conversazione intercettata tra F. D. e Fa.Lo. il 13.5.2008. Il contenuto del colloquio, come interpretato dai giudici del riesame, è infatti inequivoco e la circostanza che al P., nel corso dei vari controlli a cui è stato sottoposto, non siano mai state trovate armi non è dirimente; prive, poi, di specifico rilievo sono le altre considerazioni difensive riguardo ai rapporti tra il F. ed il P. e la dedotta impossibilità che il primo non fosse a conoscenza del possesso di tali armi da parte del secondo.

8.- Riguardo alla sussistenza dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, essa risulta chiaramente, sia sotto il profilo oggettivo che sotto quello soggettivo, dalle modalità di realizzazione del delitto di estorsione ai danni di V.P. e, per quel che riguarda i reati di detenzione di armi è plausibilmente ipotizzata con riferimento alla disponibilità che di tali armi avevano gli altri consociati, ad esempio il fucile a pompa, come affermato da Fa.Lo. nella conversazione citata, pur essendo del P. si trovava al momento della conversazione nella disponibilità di C.P., anche lui appartenente alla stessa associazione di stampo mafioso.

8.- Infondati, infine, gli argomenti difensivi circa la non sussistenza di esigenze cautelari e la non applicabilità al caso di specie della presunzione di pericolosità sociale e di adeguatezza della sola misura cautelare della custodia in carcere. Invero la ritenuta configurabilità del reato di partecipazione ad associazione di stampo mafioso, la ipotizzata aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, e l’assenza di elementi da cui risulti l’effettiva insussistenza delle esigenze cautelari presunte dalla norma, impone l’applicazione della misura custodiale di maggior rigore.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *