Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 05-04-2011) 29-07-2011, n. 30315 Associazione per delinquere Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Il Tribunale di Lecce, sezione del riesame, con ordinanza in data 6 novembre 2010 respingeva l’istanza di riesame proposta da M. I. avverso il provvedimento con il quale il GIP del Tribunale di Lecce aveva disposto nei suoi confronti la misura cautelare della custodia in carcere in relazione ai seguenti reati:

AI) al delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, commi 2, 3 e 4, commesso in Taranto dal mese di dicembre 2006 al mese di ottobre 2008;

BF) al delitto di cui agli artt. 110 e 81 cpv. c.p., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1 e 1 bis, commesso in Taranto il 2 e il 27 aprile 2008;

BN) al delitto di cui all’art. 110 c.p., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, commesso in Taranto il 17 maggio 2008;

BQ) al delitto di cui all’art. 110 c.p., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, commesso in Taranto il 29 aprile 2008;

CH) al delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 bism commesso in Taranto il 18 aprile 2008;

CJ) al delitto di cui all’artt. 81 cpv., art. 629, commi 1 e 2, in relazione all’art. 628 c.p., comma 3, n. 3, con l’aggravante di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, comma 1, convertito in L. 12 luglio 1991 n. 203, commesso in Taranto e Lizzano dal mese di ottobre 2007 al mese di ottobre 2008.

Riguardo al primo reato contestato sub AI), concernente la partecipazione della M. all’associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, il Tribunale, premesse alcune considerazioni di carattere generale circa i requisiti oggettivi e soggettivi necessari per la configurabilità dell’ipotesi delittuosa, riteneva che l’attività di intercettazione, unitamente alle varie attività di osservazione, pedinamento e perquisizione e sequestro svolte dalla PG, avevano consentito di riscontrare un elevato grado di gravità indiziaria circa l’esistenza dell’associazione dedita al traffico di droga, operante sotto le direttive di R.V., e relativamente alla partecipazione alla stessa da parte dell’indagata.

L’identificazione della M. era avvenuta attraverso le utenze telefoniche dalla stessa utilizzate e in base agli accertamenti esperiti in ordine ai contenuti delle conversazioni intercettate.

Sempre dalle numerose intercettazioni e captazioni emergevano, poi, numerosi indizi relativi alla commissione, da parte della M., dei reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, e del delitto di estorsione continuata in concorso commessa in Taranto e Lizzano dal mese di ottobre 2007 al mese di ottobre del 2008.

Risultava, infatti, che la prevenuta aveva preso parte a conversazioni con R.V. e con altri sodali, e dal contenuto delle conversazioni emergeva con chiarezza il suo ruolo di stabile collaborazione nella distribuzione e nello spaccio della sostanza stupefacente, con un coinvolgimento di grado tale da non lasciare dubbi circa la consapevolezza, da parte della stessa, di aderire, per fatti concludenti, ad una organizzazione criminale dedita al traffico di stupefacenti e facente capo al R. ed al G., e di collaborare, con il R. e con gli altri affiliati, all’attività di spaccio in un contesto più ampio di attività criminali di tipo associativo. Escludeva, poi, il tribunale le aggravanti relative alla disponibilità di armi e alla partecipazione all’associazione di tossicodipendenti in quanto dalle indagini non erano emersi al riguardo indizi sufficienti.

Riguardo al reato sub BF) gli indizi di colpevolezza erano ricavati dal contenuto delle conversazioni ambientali intercettate il 2 aprile 2008 alle ore 00,03 ed alle ore 02,19, il 27 aprile 2008 all’interno della autovettura Fiat Punto in uso a R.V.. Gli indizi, gravi e concordanti concernenti il fatti di cessione illecita di stupefacente a C.L. di cui al capo BN) egualmente emergevano dalle captazioni ambientali del 27.4.2008, registrazione n. 2014, e del 9 aprile 2008, registrazione n.2053, nel corso della conversazioni, infatti la M. dice di essere creditrice nei confronti del C. per della sostanza a questo già consegnata e di avere già ricevuto dallo stesso dei pagamenti. Sempre da conversazioni intercettate il 17 maggio 2008, registrazione n. 2257, risultava,in relazione al reato di cui al capo BQ), che una partita di sostanza stupefacente, che il R. stava acquistando mentre si trovava con la M. in macchina, veniva materialmente consegnata a quest’ultima su indicazione del R. stesso.

Con riferimento al reato di cui al capo CH) i fatti di detersione illecita di gr. 5,00 di cocaina destinata allo spaccio emergono dalla conversazione intercorsa il 18 aprile 2008 tra il R. e la M., intercettata dalle ore 19,34 dal contenuto della quale è si evince chiaramente che all’interno dell’auto i due custodivano cinque grammi di stupefacente che doveva essere ceduto a terzi, più precisamente a G.M..

Riguardo, infine ai gravi indizi di colpevolezza in ordine ai fatti oggetto di estorsione aggravata contestati al capo CJ) il tribunale rilevava come l’intera vicenda fosse stata ricostruita dal GIP in modo fedele e coerente rispetto ai risultati degli atti di indagine in base ai quali era stato accertata la corresponsione a R. V. di periodiche somme di danaro, 1.000,00 Euro al mese, da parte A.P., amministratore della Antonucci Costruzioni s.r.l con sede in (OMISSIS), e, separatamente, di Ca.Sa., amministratore/gestore della PROGEST s.r.l. con sede in (OMISSIS). Il coinvolgimento della M., emerge dalle intercettazioni ambientali del 10 ottobre 2008 e dell’11 ottobre 2008, eseguite all’interno della autovettura in uso alla prevenuta dopo l’arresto del R., del 14 Circondariale di Tarante; nella prima l’imputata legge a Ma.Lu. una lettera fattale pervenire dal R. detenuto, fuori dal circuito ordinario postale, con la quale impartiva al Ma. istruzioni per il recupero di somme di danaro provento di rapporti illeciti e attività delittuose in itinere al momento del suo arresto. Nella stessa missiva il R. dava istruzioni per chiedere all’ingegnere C., per suo conto, la somma di Euro 5.000,00 a titolo di buonuscita, nella seconda si possono sentire la M. con Ma. e P. che si recano presso il cantiere della società dell’ingegnere Ca., nelle due ultime il R. e la M. discutono dei soldi da recuperare e la M. fa sapere prima che devono recarsi il mercoledì successivo al cantiere che l’ingenger Ca. e poi, nella conversazione del 21 ottobre, che l’ingegnere vuole dare solo 4.000,00 Euro, dei quali 2.000,00 li ha già consegnati e gli altri li corrisponderà entro il successivo 27 ottobre. Riteneva il tribunale che in relazione al reato di estorsione dovesse essere esclusa, per mancanza di elementi sufficienti, la aggravante di essersi avvalsa delle condizioni di cui all’art. 416 bis c.p. e di avere agito al fine di agevolare una associazione mafiosa.

Quanto alle esigenze cautelari il tribunale, essendo emersi a carico di M.I. gravi indizi di colpevolezza in relazione al delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, faceva applicazione dell’art. 275 c.p.p., comma 3, in particolare non ravvisava elementi in base ai quali potesse essere desunta l’insussistenza di esigenze cautelari.

2.- Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per Cassazione l’avvocato Nicola Massimo Tarquinio, difensore di M.I., per i seguenti motivi:

1) Violazione di legge per inosservanza e erronea applicazione della legge penale in riferimento al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, ed agli artt. 273, 274 e 275 c.p.p..

2) Mancanza e/o manifesta contraddittorietà della motivazione.

3) Insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.

Lamenta il ricorrente che la motivazione dell’ordinanza sia carente in relazione alla descrizione ricostruttiva del minimo di organizzazione richiesto per la sussistenza del reato associativo ed ai gravi indizi di colpevolezza. Riguardo alla commissione di tale delitto da parte della M. in qualità di partecipe, il tribunale non tiene conto degli elementi specifici individualizzanti evidenziati dalla difesa per escluderne la partecipazione al sodalizio; non considera che i fatti reato a lei ascritti sono stati commessi nell’arco di otto mesi, che era allora appena diciottenne, legata sentimentalmente a R.V. ed incensurata. Il Tribunale alla stregua dei tre elementi indicati non fornisce adeguata motivazione sul ruolo da lei svolto, nè tiene conto dei brani di conversazioni captate dai quali risulta che la stessa non partecipava alle decisioni ed era disinformata circa le persone, i fatti e le circostanze dei quali gli altri interlocutori discutevano.

Riguardo poi ai singoli episodi ascritti ai capi successivi a quello AI), essi sono contestati in concorso con altre persone e il tribunale in violazione dell’art. 110 c.p., e art. 273 c.p.p., non indica i gravi indizi di colpevolezza con riferimento al contributo svolto dalla M., così come non fornisce motivazione in relazione agli episodi di reato già consumati all’atto in cui vengono intercettate le conversazioni nelle quali ella interviene.

Riguardo alle esigenze cautelari con riferimento al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, la motivazione è contraddittoria e carente poichè le ritiene sussistenti nonostante affermi che l’associazione ha cessato di esistere nell’ottobre 2008 e poi afferma l’attualità delle necessità di cautela nel mese di ottobre 2010. Il tribunale non ha tenuto conto, senza fornire motivazione alcuna, in relazione alle esigenze cautelari degli elementi evidenziati dalla difesa: il coinvolgimento nei fatti per soli otto mesi, l’incensuratezza, la giovane età dell’imputata e la mancanza di attualità conseguente al decorso del tempo. Si tratta di elementi che in ogni caso avrebbero dovuto essere vagliati con riguardo alle imputazioni diverse da quella associativa di cui al capo AI), quanto meno in relazione alla applicazione di misura meno afflittiva, quale quella degli arresti domiciliari.

3.- Con memoria ai sensi dell’art. 611 c.p., depositata il 21.3.2011, il difensore ricorrente ribadisce ed ulteriormente illustrava il lamentato vizio di motivazione concernente la mancata esplicitazione degli elementi di fatto o dei dati sintomatici da cui desumere l’esistenza dell’associazione prevista e punita dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74.

Lamenta, poi, con ulteriori specificazioni la già denunciata mancanza di gravi indizi di colpevolezza circa la partecipazione della M. al reato associativo e la carenza di motivazione della ordinanza sul ruolo dalla stessa concretamente svolto in seno alla consorteria, nonchè sull’elemento soggettivo rispetto al ruolo di partecipe attribuitole.

Conferma, infine, le doglianze già esposte relativamente alla non attualità delle esigenze cautelari ritenute dal GIP e dal Tribunale, mancanza di attualità idonea a superare la presunzione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3, e non vagliata nonostante lo specifico motivo di riesame evidenziato dalla difesa.

3.- Il Procuratore Generale Dott. Vito Moneti ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso con le conseguenze di legge.

Motivi della decisione

4.- Il ricorso è infondato.

5.- Le doglianze relative alla insussistenza dei gravi indizi in ordine alla confìgurabilità del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, ed in ordine al coinvolgimento dell’indagata nel sodalizio, appaiono generiche e prive di effettiva conferenza rispetto ai contenuti della impugnata ordinanza, con esse il ricorrente si limita a dedurre che non sarebbero stati individuati ed esplicitamente indicati gli elementi in base ai quali è stato ritenuto l’accordo associativo che avrebbe creato il vincolo permanente tra gli associati, a cagione della loro consapevolezza di fare parte del sodalizio e di partecipare, con contributo causale, alla realizzazione di un duraturo programma criminale.

Le censure, appena abbozzate nei motivi originari di ricorso, sono sviluppate nella memoria difensiva ex art 611 c.p.p., con tecnica semplicemente negatoria ed individuando una singola intercettazione, tra le numerose richiamate in ordinanza, per assumere che in base al contenuto della stessa, risalente al 2.4.2008, sarebbe al più deducibile l’intendimento di apprestare un minimo di organizzazione, circostanza che non consentirebbe di ritenere costituita l’associazione criminale.

Invero, l’ordinanza gravata richiama (alle pagg. da 4 a 9) indizi ben più specifici e corposi di quello, unico, individuato ed interpretato dal difensore, del quale è anche a dirsi che i giudici del riesame non lo riportano a sostegno del quadro indiziario sotteso all’affermazione della verosimile esistenza dell’associazione ex art. 74, quanto, piuttosto, del singolo episodio di violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, contestato al capo BF) dell’imputazione, e ad illustrazione della ritenuta consapevolezza della M. di aderire, per fatti concludenti, all’organizzazione.

Quanto all’asserito contenuto della evocata captazione, il dato interpretativo desunto dal ricorrente sottende una rilettura fattuale, ovviamente divergente da quella dei giudici del riesame, che sollecita, sia pure implicitamente, a questa Corte di legittimità una non consentita valutazione di merito.

Analoghe considerazioni possono essere svolte con riguardo alla, consequenzialmente, asserita carenza di motivazione in ordine ai caratteri di stabilità e permanenza dell’associazione, con l’ulteriore notazione circa la diversa valenza che hanno gli "indizi" richiesti per l’adozione di una misura cautelare rispetto alla "prova" necessaria ai fini della condanna.

Per l’emissione, o la conferma, di una misura cautelare, invero, è sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli (S.U. sent. 22.3.2000 n. 11, Audino,Rv. 215828; S.U. sent. 21.04.1995, Costantino, Rv.

202002) purchè il giudice della cautela dia adeguato conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato.

6.- Nel caso di specie, sia per quel che attiene alla sussistenza del grave quadro indiziario in ordine alla configurabilità del reato associativo in materia di traffico di stupefacenti, che per quel che riguarda il coinvolgimento nello stesso, in qualità di partecipe, della M., lo sviluppo della motivazione resa dal tribunale appare coeso e conseguente rispetto ai dati esaminati, compendiati con il richiamo ai contenuti delle captazioni riversate in atti e riportate, per le parti considerate più significative, nel testo dell’ordinanza gravata. I contenuti delle intercettazioni, secondo la lettura datane dai giudici di merito, che peraltro si appalesa plausibile rispetto agli elementi fattuali che dai contenuti stessi si evincono, rendono evidente la non episodicità dei singoli fatti di detenzione, acquisto e cessione di stupefacenti, rispetto ai quali il richiamo ad attività precedenti – ed ancora da esaurire in termini di riscossione del prezzo – ovvero la programmazione di futuri acquisti e/o cessioni, legittimamente consentono di inferire sia l’esistenza di un accordo associativo che il coinvolgimento in esso della M., la quale ha partecipato in prima persona ad alcune delle conversazioni, facendo emergere tanto la consapevolezza circa la natura dei commerci dei quali si discuteva che il suo diretto coinvolgimento negli stessi.

Che poi le attività del gruppo siano state temporalmente limitate non è circostanza che, anche se veritiera, possa portare ad escludere la configurabilità del reato associativo e la partecipazione ad esso dell’indagata, posto che anche da un singolo episodio criminoso, secondo la giurisprudenza di questa Corte, può desumersi, ai fini dell’art. 273 c.p.p., la consistente probabilità dell’esistenza di un’associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti, qualora lo stesso episodio "attesti l’intervento di un gruppo che partecipa nel suo insieme ad un evento importante per l’associazione" (Sez. 6, sent. 17.2.2005, n. 10111, Maniscalco, Rv. 230887; Sez. 6, sent. 14.1.2008, n. 6867, Palamara, Rv. 239670; Sez. 4, sent. 11.11.2008, n. 45128, Buccheri, Rv, 241927).

Nè gli elementi di segno contrario rispetto al coinvolgimento dell’indagata nel contesto associativo, evidenziati dalla difesa ricorrente, possono rilevare in questa sede in quanto gli stessi – che attengono alla giovane età, al legame sentimentale intercorrente con il R., alla sprovvedutezza ed alla incensuratezza – sono dati fattuali non dirimenti ed il cui vaglio, ai fini del raffronto con le emergenze opposte evidenziate in atti, è operazione non consentita nell’ambito del giudizio di legittimità. 7.- Quanto alle doglianze concernenti la sussistenza delle esigenze cautelari deve essere rilevato che, come correttamente ritenuto dal tribunale del riesame, l’art. 275 c.p.p., comma 3, – così come modificato dal D.L. n. 11 del 2009, art. 2, comma 1, lett. a bis convertito con modificazioni in L. n. 38 del 2009 – estende la presunzione di inadeguatezza di misure cautelari diverse dalla custodia cautelare in carcere per i reati ivi indicati, tra i quali è compreso – attraverso il richiamo all’art. 51 c.p.p., comma 3 bis – quello di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74. In tali casi la misura di maggior rigore, stante la sua obbligatorietà, intanto può non essere applicata in quanto sia dimostrato che le esigenze cautelari non sussistono, ovvero sono venute meno, con la conseguenza che ove dette esigenze sussistano, ancorchè in forma attenuata, non è consentito al giudice applicare una misura diversa da quella della custodia in carcere (Sez. 5., Sent. 8.6.2010, n. 27146, Femia, Rv.

247596; Sez. 6. Sent. 9.7.2010, n. 32222, Galdi, Rv. 247596; Sez. 2, Sent. 16.2.2011, n.l 1749, Armens, Rv. 249686).

Nella fattispecie presente gli elementi indicati dalla difesa:

coinvolgimento dell’indagata per un periodo di soli otto mesi nelle attività criminali, giovanissima età, incensuratezza della stessa ed il decorso del tempo, non sono tali da comportare un giudizio di totale insussistenza delle esigenze cautelari, con l’ovvia conseguenza del permanere dell’obbligo di applicazione della misura custodiale carceraria ex art. 275 c.p.p., comma 3. Conclusivamente deve essere affermata, per le ragioni sopraesposte, l’infondatezza del ricorso con le conseguenze di legge.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *