Cass. pen., sez. I 27-03-2007 (07-03-2007), n. 12721 Rovina – Natura di reato permanente a condotta omissiva

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza in epigrafe O.C., opponente a decreto penale, è stato condannato a Euro 400 di ammenda per la contravvenzione "di cui all’art. 677 c.p. perché, quale proprietario dell’immobile… i cui balconi minacciavano rovina con caduta di calcinacci che costituivano pericolo per la pubblica incolumità, ometteva di provvedere ai lavori necessari per eliminare il pericolo… Acc. in (OMISSIS) il 1.7.94". Il difensore ha proposto appello, che va qualificato ricorso per cassazione ex art. 568 c.p.p., comma 5, trattandosi di sentenza inappellabile a norma del successivo art. 593 c.p.p., comma 3. Deduce la mancanza di prova sufficiente della qualità di proprietario o, comunque, di soggetto obbligato alla manutenzione dell’edificio; chiede la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale al fine di provare che il pericolo era stato rimosso con lavori completati nel settembre 1995. Censura la sentenza impugnata per avere omesso "di riportare il criterio attraverso il quale" il giudice aveva quantificato la pena e di motivare circa la mancata sospensione della pena.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va premesso che, alla stregua dell’imputazione e dell’accertamento del giudice di merito, non contestato sul punto, il fatto rientra nella previsione dell’art. 677 c.p., comma 3 tuttora penalmente sanzionata, trattandosi di lesione a parti rilevanti dell’edificio (cfr. Cass., Sez. I, 11.2/16.5.1985, Fioriti) con caduta di materiale sulla pubblica via e conseguente, concreto pericolo per le persone. L’invito a rimuovere entro breve termine la situazione pericolosa risulta da ordinanza sindacale prodotta, nella quale l’O. è qualificato – sulla scorta delle conoscenze dell’autorità comunale – come proprietario, circostanza del resto da lui implicitamente ammessa quando assume di avere eseguito, seppure tardivamente, i lavori ordinatigli. Non ha quindi fondamento il motivo di gravame concernente l’insufficienza della prova circa la proprietà e l’obbligo di conservazione dell’immobile.
Quanto alla consumazione del reato, va richiamato il costante orientamento giurisprudenziale secondo il quale la contravvenzione di omissione di lavori in edifici o costruzioni che minacciano rovina – di cui all’art. 677 c.p. – ha carattere permanente (Cass., Sez. I, 27.1/27.5.1989, De Leo), in quanto lo stato di consumazione di essa perdura fino a che il pericolo per la pubblica incolumità non sia cessato.
Conseguentemente, trattandosi di reato permanente a condotta omissiva, deve ritenersi che la permanenza cessa solo nel momento in cui vien meno la situazione antigiuridica per fatto volontario dell’obbligato, o per altra causa (Cass., Sez. I, 28.3/25.5.1996, Rossetti), oppure con la pronunzia della sentenza di primo grado, quando la violazione della norma si prolunghi anche nel corso del procedimento penale (Cass., Sez. I, 29.4/8.8.1986, Favoriti). Quando poi, come nella fattispecie, il capo d’imputazione menziona soltanto la data di accertamento, l’addebito deve ritenersi comprensivo dell’eventuale protrazione della condotta antigiuridica sino alla sentenza di primo grado (Cass., Sez. I, 19.9/5.11.1997, Corvino, in applicazione del principio generale già affermato da Sez. Un. 11/26.11.1994, P.M. in proc. Polizzi). Ora, nel caso di specie solo con l’impugnazione viene dedotta la cessazione della permanenza per atto volontario al settembre 1995 e vengono richieste prove sul punto, con motivo non consentito e incompatibile con la struttura del giudizio di legittimità. Ne segue che il reato, in mancanza di diverse risultanze e allegazioni nella sede di merito, deve ritenersi permanente sino alla sentenza di primo grado; solo dal detto momento inizia a decorrere la prescrizione (art. 158 c.p.), che non è quindi ancora maturata. Quanto ai criteri di quantificazione della pena, il giudice "a quo" ha fatto riferimento all’assenza di precedenti penali ed ai parametri indicati dall’art. 133 c.p., sicché esiste una seppur succinta motivazione, non specificamente contestata con il gravame.
Infine, essendo applicata la sola pena dell’ammenda e in assenza di richiesta dell’interessato non vi era obbligo di motivazione sulla mancata concessione della sospensione condizionale (cfr. Cass., Sez. I, 3/27.5.1994, Artom); d’altra parte, la permanenza del reato non avrebbe consentito la favorevole prognosi sulla condotta futura richiesta dall’art. 164 c.p., comma 1.
Il ricorso va perciò respinto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, Prima Sezione Penale, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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