Cass. pen., sez. VI 27-03-2007 (20-03-2007), n. 12677 Provvedimento del giudice amministrativo – Sospensione del decreto di estradizione – Fase della consegna già iniziata

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

FATTO
1. C.B., di cui il Governo degli Stati Uniti d’America ha chiesto l’estradizione quale imputato dei reati di omicidio volontario plurimo e di associazione finalizzata alla commissione di un omicidio, è in custodia cautelare in carcere a fini estradizionali dal 22 aprile 2004.
Nei suoi confronti, con sentenza in data 24 marzo 2005, la Corte di appello di Roma si è pronunciata in senso favorevole alla estradizione, e il ricorso avverso detta decisione è stato rigettato con sentenza in data 19 settembre 2005 della Corte di Cassazione.
Il Ministro della giustizia ha emesso decreto di estradizione in data 12 novembre 2005.
Avverso detto decreto il C. ha proposto ricorso giurisdizionale al T.A.R. del Lazio, sezione di Latina, che, dopo una prima ordinanza del 2 dicembre 2005, n. 853/2005, di accoglimento della istanza di sospensiva del provvedimento impugnato, con sentenza in data 23 giugno-9 ottobre 2006, in accoglimento del ricorso, ha annullato il suddetto decreto ministeriale, ritenendo che non si poteva escludere che il C. potesse essere assoggettato, nello Stato del Connecticut, ove avrebbe dovuto essere processato per i predetti reati, alla pena di morte.
In data 17 novembre 2006 il C. presentava istanza di revoca della custodia cautelare alla Corte di appello di Roma, rilevando che, a seguito della riferita sentenza del T.A.R., erano venuti meno i presupposti per il mantenimento della misura.
Con l’ordinanza impugnata, la Corte di appello, richiamando una sua precedente decisione, con la quale si prendeva in esame la situazione creatasi a seguita della citata ordinanza di sospensiva del T.A.R., osservava che permanevano le ragioni ostative all’accoglimento della istanza, considerato che la sentenza del T.A.R., verosimilmente oggetto di impugnazione da parte del Ministro della giustizia, era suscettibile di essere annullata in sede di appello davanti al Consiglio di Stato.
2. Ricorre per cassazione il C., a mezzo dei difensori avvocati Romano Misserville e Alfredo Gaito i quali osservano che la Corte di appello aveva di fatto ignorato il fatto nuovo rappresentato dalla sentenza del T.A.R., per legge immediatamente esecutiva, che, giudicando nel merito, e quindi non meramente nell’ambito di un summatim cognoscere, aveva annullato il decreto ministeriale, in perfetta aderenza alla sentenza n. 223 del 1996 della Corte cost., che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale sia dell’art. 698 c.p.p., comma 2 sia della L. n. 225 del 1984, di ratifica ed esecuzione del Trattato di estradizione Italia-U.S.A. nella parte in cui consentono l’estradizione di un soggetto imputato per reati punibili con la pena capitale a fronte del mero impegno delle autorità americane di non infliggere la pena di morte in caso di condanna o di non eseguirla se già inflitta.
Osserva il ricorrente che la mera prospettiva di un appello avverso la citata sentenza davanti al Consiglio di Stato da parte dell’amministrazione interessata non comportava di per sè un effetto sospensivo della decisione impugnata. Restava solo la eventualità di una ipotetica sospensiva da parte del Consiglio di Stato della decisione del T.A.R., in mancanza della quale, allo stato, quest’ultima decisione aveva prodotto l’effetto di rendere tamquam non esset il decreto ministeriale di estradizione.
Occorreva dunque prendere atto che a far data dal 19 ottobre 2006, giorno di deposito della sentenza del T.A.R., il C. non è più, formalmente, un soggetto estradando, ed egli è quindi attualmente detenuto sine titulo. Infatti, la privazione della libertà del soggetto estradando è legata al procedimento volto alla sua consegna allo Stato richiedente; ma, una volta che il provvedimento di estradizione sia annullato, viene meno la legittimità dell’intero procedimento incidentale cautelare.
A ciò doveva aggiungersi come importante elemento di novità la sentenza delle Sezioni Unite penali del 28 novembre 2006, ric. Stosic, depositata dopo l’ordinanza impugnata, che, dopo avere ribadito la diretta applicabilità dei principi stabiliti dall’art. 13 Cost. anche alla materia estradizionale, ha affermato, stante la lacuna normativa al riguardo, che una volta esauritisi i termini custodiali relativi alla procedura giurisdizionale e quelli concernenti la fase esecutiva ministeriale (art. 714 c.p.p., comma 4 e art. 708 c.p.p.), non possono ritenersi applicabili i termini di cui all’art. 303 c.p.p., comma 4, incompatibili con i limiti di durata delle misure coercitive applicate in sede estradizionale, precisando che a questa conclusione deve pervenirsi non solo nella ipotesi in cui il Ministro abbia rinviato la consegna a soddisfatta giustizia italiana (art. 709 c.p.p.) ma, a maggior ragione, anche in quella in cui la sospensione della esecuzione della estradizione sia pronunciata iussu iudicis in sede di sospensiva da parte del giudice amministrativo a seguito di ricorso avverso il decreto di estradizione.
3. L’Avv. Gaito ha poi depositato "note illustrative", con le quali sviluppa ulteriormente le censure già proposte, evidenziando, anche attraverso richiami giurisprudenziali e dottrinali, la lacuna normativa, non colmabile in via interpretativa, afferente alla situazione in cui si apre la fase giurisdizionale amministrativa avverso il decreto di estradizione.
4. Ha spiegato intervento il Governo degli Stati Uniti d’America, assistito dall’avv. Ennio Amodio, il quale, prendendo in esame la citata sentenza delle Sezioni Unite sul tema della custodia cautelare dell’estradando in caso di sospensione del decreto di estradizione, osserva che solo con un obiter dictum detta decisione prende in esame la particolare ipotesi in cui la sospensione del decreto sia opera del giudice amministrativo, equiparandola a quella in cui la consegna dell’estradando sia sospesa per esigenze di giustizia interne.
Tale estensione, a parere dell’interveniente, non è però condivisibile, posto che, come rilevato da due pronunce della Corte di cassazione relative a procedure cautelari a suo tempo promosse dallo stesso C. (Sez. 6^, c.c. 8 febbraio 2006; Id., c.c. 8 maggio 2006), la mera impugnazione del decreto ministeriale davanti alla giurisdizione amministrativa non fa venire meno l’attualità della esigenza cautelare del pericolo di fuga connesso alla immediatezza della consegna, e la sospensione disposta dal giudice amministrativo dipende da una istanza dell’estradando che può celare una finalità meramente dilatoria; con la conseguenza che, in tale ipotesi si rendono applicabili i termini di cui all’art. 303 c.p.p. o la sospensione dei termini di cui all’art. 304 c.p.p.; e ad analoga conclusione era pervenuta anche una precedente sentenza in data 21 maggio 2002 della Corte di Cassazione.
D’altro canto, non solo il decreto ministeriale può essere censurato dal giudice amministrativo per motivi meramente formali, ma la decisione del giudice amministrativo potrebbe interferire, per un tempo non definibile, con quella dell’autorità giudiziaria ordinaria.
5. Con altra istanza in data 29 dicembre 2006 diretta alla Corte di appello di Roma, il C. ha sollecitato la sua scarcerazione, riproponendo argomenti analoghi alla precedente istanza del 17 novembre e allegando, come fatto nuovo, la riferita sentenza delle Sezioni unite del 28 novembre 2006.
La Corte di appello ha trasmesso detta istanza alla Corte di Cassazione, per unione agli atti inviati con riferimento al ricorso avverso il rigetto della precedente istanza.
Su detta istanza il Procuratore generale in sede ha richiesto la revoca della misura cautelare "previo annullamento senza rinvio della impugnata ordinanza della Corte di appello di Roma del 14 dicembre 2006" (che tuttavia, come dianzi precisato, si riferisce al rigetto della diversa e antecedente istanza di revoca della misura cautelare in data 17 novembre 2006).
6. Successivamente alla proposizione del ricorso, è stata acquisita dall’Ufficio la ordinanza 1301/2007 del 13 marzo 2007 del Consiglio di Stato, con la quale, sull’appello proposto dal Ministro della giustizia avverso la riferita sentenza del T.A.R. del 23 giugno-9 ottobre 2006, è stata in via cautelare sospesa l’efficacia della sentenza impugnata.
Ha osservato il Consiglio di Stato che la questione della astratta irrogabilità della pena di morte sollevata dal C. era stata già trattata in sede di giurisdizione ordinaria dalla Corte di appello di Roma e poi definitivamente dalla Corte di cassazione, e decisa in senso negativo, in base al principio di specialità, in relazione ai reati contestati; e che il decreto ministeriale aveva recepito le argomentazioni di dette pronunce. Ne derivava, a un primo esame, che erano ravvisabili elementi tali da condurre all’accoglimento della domanda di sospensione degli effetti della sentenza impugnata.
Con tale decisione si è pertanto sospesa l’efficacia della sentenza impugnata; ma al contempo, atteso che la riacquistata piena efficacia del decreto ministeriale, con la conseguente consegna della persona da estradare allo Stato richiedente, avrebbe potuto produrre effetti irreversibili, si è sospesa altresì l’efficacia del provvedimento impugnato.
DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
2. Va premesso che le misure coercitive nei confronti della persona di cui è domandata l’estradizione possono essere disposte dall’autorità giudiziaria, su richiesta del Ministro della giustizia, in presenza di pericula libertatis, e in particolare del pericolo di fuga, a norma dell’art. 714 c.p.p. o dell’art. 715 c.p.p., e che esse devono essere revocate se dall’inizio della loro esecuzione siano trascorsi i termini stabiliti nell’art. 714 c.p.p., comma 4 (complessivamente, considerato anche il giudizio di cassazione, diciotto mesi, prorogabili per non più di tre mesi) senza che la procedura giurisdizionale sia stata definita con sentenza definitiva.
Al fine di assicurare l’effettività della esecuzione della estradizione e nella prospettiva di una emissione del relativo decreto (v. Rel. Prog. Prel., p. 153), è previsto che, a seguito della decisione della corte di appello favorevole alla estradizione, l’estradando, se libero, possa, sempre su richiesta del Ministro della giustizia, essere sottoposto a custodia cautelare in carcere (art. 704 c.p.p., comma 3), ma, come precisato dalla giurisprudenza, sempre entro il rispetto dei limiti di durata delle misure cautelari previsti dall’art. 714 c.p.p., comma 4 (Cass., sez. 6^, 25 ottobre 2001, Mbanaso).
Una volta poi divenuta definitiva la sentenza favorevole alla estradizione, per il soggetto in atto sottoposto a misure cautelari si produce ex lege una estensione temporale della coercizione personale finalizzata esclusivamente alla esecuzione della estradizione, entro i limiti inderogabili stabiliti dall’art. 708 c.p.p. (v., tra le altre, Cass., sez. 6^, 17 febbraio 2004, Terkuli), decorsi i quali l’estradando, se detenuto, deve essere posto in libertà.
Se il soggetto si trova invece in stato di libertà, a seguito del decreto ministeriale di estradizione intervengono meri adempimenti esecutivi, che determinano ex se una coercizione personale strutturalmente connessa all’attività materiale di consegna.
3. Nel caso in esame, va precisato che nel momento in cui venne adottata da parte del T.A.R. l’ordinanza di sospensione dell’efficacia del decreto di estradizione, e cioè il 2 dicembre 2005, il C. si trovava nella fase della consegna.
Secondo l’art. 708 c.p.p., comma 4, questa si apre con la comunicazione da parte del Ministro allo Stato richiedente, da adottare "senza indugio" (rispetto alla data del decreto di estradizione), del luogo della consegna e della "data a partire dalla quale sarà possibile procedervi"; e, secondo il successivo comma 5, il termine per la consegna "è di quindici giorni a partire dalla data stabilita a norma del comma 4", salva la possibilità di una proroga "di altri venti giorni" su domanda motivata dello Stato richiedente. In base, poi, al medesimo art. 708 c.p.p., comma 6, "il provvedimento di concessione dell’estradizione perde efficacia se, nel termine fissato, lo Stato richiedente non provvede a prendere in consegna l’estradando; in tal caso quest’ultimo viene posto in libertà".
Tale disciplina codicistica non è specificamente derogata dall’art. 13 del Trattato di estradizione Italia-U.S.A., che si limita a stabilire genericamente che le Parti dovranno accordarsi circa la data e il luogo della consegna.
Non è stato dedotto dal ricorrente che nel caso di specie la comunicazione non sia stata effettuata, e tanto meno è stato precisato quale fosse la data a partire della quale decorreva il termine di quindici giorni per la consegna o il maggior termine eventualmente prorogato.
Deve dunque ritenersi che detto termine non fosse trascorso al momento della sospensiva del T.A.R.; e che la consegna non fu effettuata esclusivamente per il fatto che l’esecutività del provvedimento di estradizione, e conseguentemente della procedura di consegna, venne ad essere interinalmente impedita per effetto della ordinanza del T.A.R. del 2 dicembre 2005.
Dipendendo la mancata consegna non dall’inerzia dell’Autorità politica o dello Stato richiedente ma da un impedimento giuridico derivante da un’ordinanza di sospensione dell’efficacia del provvedimento ministeriale, è da ritenere che in questo caso non possa prodursi la perdita di efficacia del decreto di estradizione (art. 708 c.p.p., comma 6, prima parte), che dunque potrebbe nuovamente essere posto in esecuzione, con conseguente riapertura dei termini per la consegna, una volta che il procedimento davanti al giudice amministrativo si concludesse con il rigetto del ricorso.
Ciò che si produce inevitabilmente è invece il dovere dell’autorità giudiziaria di porre in libertà il soggetto estradando, in base all’ultima parte del citato art. 708 c.p.p., comma 6. 4. Invero, intervenuto il decreto ministeriale di estradizione, la coercizione personale non può permanere oltre i limiti indicati dall’art. 708 c.p.p. anche se intervenga una causa di sospensione della consegna, come quando l’estradando debba essere giudicato nel territorio dello Stato o ivi scontare una pena (art. 709 c.p.p.) o quando, come nella specie, l’esecutività del decreto ministeriale sia sospesa da una pronuncia adottata dall’autorità giudiziaria amministrativa.
Infatti, le cause di sospensione o di proroga della durata di una custodia "preventiva" non possono che essere tassative, trattandosi di materia presidiata dall’art. 13 Cost., comma 5, e, al di fuori di quanto stabilito dagli artt. 708 e 714 c.p.p., non vi sono disposizioni che le prevedano, per la eventualità di consegna "sospesa", nell’ambito del Libro 11 del codice di rito; nè sono applicabili, per la evidente inconciliabilità dei relativi presupposti sostanziali (reato per il quale si procede) e processuali (fasi e gradi del giudizio) i termini o le cause di sospensione, relativi alle misure coercitive adottate nell’ambito di procedimenti penali "interni", di cui agli artt. 303 e 304 c.p.p..
Una durata della coercizione personale che possa protrarsi senza limiti temporali legalmente definiti in relazione all’andamento di altre procedure, delle quali non è prevedibile in modo assolutamente certo il tempo di definizione, sarebbe infatti incompatibile con l’accennata norma costituzionale.
Tale conclusione, cui era già pervenuta parte della giurisprudenza di questa Corte, è stata di recente ribadita dalle Sezioni unite penali con la sentenza 28 novembre 2006, ric. Stosic. 5. Come detto, nel caso in esame, il motivo per cui non si è proceduto alla consegna del C. deriva dal fatto che gli effetti del decreto ministeriale di estradizione sono stati sospesi ad opera dei giudici amministrativi.
Esclusa ogni intenzione di operare alcun sindacato su dette decisioni, deve sottolinearsi come nella accennata pronuncia del Consiglio di Stato del 13 marzo 2007 la sospensione dell’efficacia sia stata disposta solo sulla base della considerazione che l’esecutività del provvedimento ministeriale avrebbe potuto produrre "effetti irreversibili", pur ritenendosi implicitamente che non sussisteva un fumus boni juris del ricorso proposto dal C., tanto che, nello stesso tempo, è stata sospesa l’efficacia della sentenza del T.A.R..
La irreversibilità degli effetti derivanti dalla consegna dell’estradando è peraltro situazione che si determina in ogni caso in cui un simile provvedimento sia posto in esecuzione, sicchè non si comprende se, secondo il Consiglio di Stato, a fronte di un ricorso giurisdizionale pur prima facie destituito di fondamento si debba sempre e comunque sospenderne l’efficacia; il che però equivarrebbe non solo a rendere di fatto ineseguibili i decreti di estradizione impugnati davanti alla giurisdizione amministrativa fintantochè il relativo procedimento non si sia esaurito; ma, quel che qui più rileva, a determinare immancabilmente un effetto di liberazione dell’estradando che si trovi sottoposto a coercizione personale esclusivamente sulla base di una sua iniziativa, anche, in ipotesi, la più avventurosa, di tutela giurisdizionale.
Una simile prospettiva evidenzia con chiarezza la gravità della denunciata lacuna normativa, che è augurabile possa essere quanto prima colmata dal legislatore. Mentre infatti i termini di durata della coercizione personale sono perfettamente definiti per la procedura giurisdizionale a fini estradizionali e per la fase riservata ai provvedimenti di competenza ministeriale, nulla è previsto per la eventualità in cui l’interessato adisca la giurisdizione amministrativa, dopo una decisione definitiva dall’autorità giudiziaria ordinaria che ha accertato la sussistenza delle condizioni per l’estradizione e dopo che il Ministro della giustizia ha ritenuto di emettere il relativo decreto.
E’ il caso peraltro di osservare che, come parrebbe essere stato implicitamente rilevato criticamente dal Consiglio di Stato, il T.A.R. del Lazio, sezione di Latina, ha ritenuto di essere legittimato a sindacare le condizioni per una pronuncia favorevole alla estradizione riservate per legge all’autorità giudiziaria ordinaria e definitivamente accertate all’esito della procedura conclusasi con la riferita sentenza di questa Corte in data 19 settembre 2005.
Il tutto a fronte di una giurisprudenza amministrativa secondo cui "le doglianze circa il difetto delle condizioni per la concessione di un’estradizione non possono essere proposte nel giudizio innanzi al giudice amministrativo avente ad oggetto l’impugnativa del decreto del Ministro della giustizia che concede detta estradizione, ma vanno formulate in sede di giudizio ordinario" (v. in questi termini T.A.R. Lazio, sent. n. 2171 del 6 ottobre 1999; nonchè, per il principio, Cons. Stato, 11 maggio 1966, Accardo).
Una simile impostazione, nonostante quanto ritenuto dal T.A.R. nella richiamata decisione, non pare in contrasto con la sentenza della Corte cost. n. 223 del 1996, nella quale, ai soli fini della ammissibilità della questione di costituzionalità, si è affermato che il sindacato di legittimità del decreto ministeriale di estradizione deve estendersi alla verifica della sua legalità costituzionale, "che è, anzi, il primo doveroso controllo da parte di ogni giudice dello Stato"; affermazioni, queste, che, come ben si vede, non alterano i consolidati principi che regolano in subiecta materia il riparto di giurisdizione; del cui eventuale mancato rispetto, peraltro, le parti in causa possono dolersi con lo strumento del regolamento di giurisdizione davanti alle Sezioni unite civili, a norma degli artt. 37 e 41 c.p.c..
6. Nella odierna discussione uno dei difensori del ricorrente ha osservato che l’ambito di cognizione di questa Corte deve essere limitato alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento della proposizione del ricorso, senza che possano essere prese in considerazione evenienze successive, come quella derivante dalla citata ordinanza del Consiglio di Stato del 13 marzo 2007.
Al momento della istanza del 17 novembre 2006, rivolta alla Corte di appello di Roma, e respinta con l’ordinanza impugnata, era stata già depositata la più volte citata sentenza del T.A.R. del 23 giugno-9 ottobre 2006, ed è proprio sulla natura di decisione di merito di essa che il ricorrente si sofferma, rimarcando che, diversamente dalla situazione presa in esame dalla sentenza di questa Sesta sezione dell’8 maggio 2006, non si era più in presenza di una decisione presa nell’ambito di un summatim cognoscere, come quella adottata in sede di sospensiva in data 2 dicembre 2005.
Il ricorrente sottolinea ancora che il decreto ministeriale era stato annullato dalla richiamata sentenza del T.A.R., con la conseguenza che, "allo stato", non esisteva più un titolo per la estradizione, restando meramente ipotetica (nel momento in cui è stato presentato il ricorso) una prospettiva di sospensiva da parte del Consiglio di Stato della decisione di primo grado; la quale invece, come si è detto, è nel frattempo intervenuta e di cui occorre prendere atto, proprio per seguire il filo delle argomentazioni esposte nel ricorso.
La questione appare comunque irrilevante, posto che ciò che qui conta non è affatto nè la natura nè il contenuto nè gli effetti delle decisioni assunte dai giudici amministrativi, che costituiscono solo l’antecedente storico-causale della mancata consegna del C., ma esclusivamente il mero dato del decorso dei termini inderogabili per la consegna stabiliti dall’art. 708 c.p.p..
Anche se tali decisioni non avessero inciso sulla esecutività del decreto ministeriale, una volta che il C., per qualsiasi ragione, non fosse stato tempestivamente consegnato allo Stato richiedente, egli avrebbe dovuto comunque essere liberato.
Più in particolare, con riferimento all’ultima evenienza processuale relativa al caso, anche se il Consiglio di Stato, nel sospendere l’efficacia della sentenza impugnata, non avesse parimenti sospeso gli effetti del decreto di estradizione, la ripresa di esecutività di quest’ultimo non sarebbe valsa a interferire sulla situazione giuridica già irreversibilmente determinatasi a seguito della scadenza dei termini di cui all’art. 708 c.p.p..
7. Ne deriva che, essendo nella specie abbondantemente decorsi i termini previsti per la fase esecutiva dall’art. 708 c.p.p., e in particolare quelli per la consegna, l’ordinanza impugnata va annullata senza rinvio e il C. deve essere rimesso in libertà, se non detenuto per altra causa, salva ogni determinazione che il Ministro della giustizia e l’Autorità giudiziaria territoriale vorranno assumere a seguito della presente pronuncia.
8. Resta così assorbita la valutazione sulla istanza presentata dal C. il 29 dicembre 2006 alla Corte di appello di Roma e da questa trasmessa alla Corte di Cassazione.
9. La Cancelleria provvedere agli adempimenti di cui all’art. 626 c.p.p..
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata.
Dispone la immediata liberazione di C.B. se non detenuto per altra causa.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 626 c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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