Cons. Stato Sez. IV, Sent., 02-09-2011, n. 4969 Ricorso per l’esecuzione del giudicato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso iscritto al n. 2514 del 2011, G. A. B., M. G. C. B., A. S. B., M. O. B. e G. C. B. propongono giudizio per l’ottemperanza alla decisione del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, n. 8651 del 9 dicembre 2010 con la quale è stato accolto l’appello proposto contro la sentenza del T.A.R. della Sardegna, n. 235 del 2004.

La sentenza ottemperanda ha riformato la sentenza di primo grado con la quale il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna aveva accolto solo in parte il ricorso in primo grado proposto dagli odierni ricorrenti per l’annullamento:

1) del decreto di occupazione d’urgenza n. 4/03 del 30/09/2003, notificato alla parte ricorrente in data 6/10/2003 unitamente all’avviso di immissione in possesso dell’immobile espropriando per il giorno 3/11/2003;

2) della deliberazione della Giunta Comunale n. 160 del 26/05/2003 – di approvazione della proposta di deliberazione n. 25 del 22/05/2003 – con la quale è stato approvato il progetto definitivo per la realizzazione dei parcheggi pubblici nella via Nanni, è stata dichiarata la pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dell’opera e sono stati fissati i termini per l’inizio e l’ultimazione di lavori ed espropriazioni;

3) della deliberazione del Consiglio Comunale n. 120 del 05/08/2003 – di approvazione della proposta di deliberazione n. 55 del 01/08/2003 – con la quale è stata approvata una variante al Programma di Fabbricazione del Comune di Olbia per il reperimento di parcheggi e di verde pubblico nel centro urbano;

4) nonché, con l’atto di motivi aggiunti, della determinazione n. 167 del 13/6/2003 del Dirigente del Settore Tecnico del Comune di Olbia con il quale è stato approvato il progetto esecutivo per la realizzazione dei parcheggi pubblici.

La sentenza di primo grado, in particolare, aveva ritenuto fondate le censure proposte avverso il decreto di occupazione d’urgenza e la delibera di approvazione del progetto definitivo, mentre aveva respinto la domanda di annullamento della delibera di approvazione della variante allo strumento urbanistico.

Con la sentenza ottemperanda, la Sezione, disattesa l’eccezione di difetto di interesse in capo agli appellanti e dopo aver ricordato il contenuto demolitorio della sentenza di primo grado in relazione all’impugnativa della deliberazione della Giunta comunale n. 160/2003, aveva soffermato la sua attenzione sulla deliberazione consiliare n. 120/2003, che il T.A.R. aveva ritenuto legittima. La Sezione, sottolineando il legame tra i due due provvedimenti distinti, ossia la variante localizzativa dell’opera pubblica e l’atto di approvazione del relativo progetto definitivo, avvinti da un rapporto di presupposizioneconsequenzialità, provvedeva ad accogliere l’appello, estendendo il petitum di annullamento del giudizio di primo grado anche alla deliberazione del Consiglio Comunale di Olbia n. 120 in data 5 agosto 2003.

Le parti ricorrenti agivano quindi per vedere accolta la loro domanda, e quindi per ottenere la restituzione del bene loro illegittimamente ablato, chiedendo a questa Sezione di ordinare al Comune di Olbia il rilascio del lotto libero da persone e cose, nominando, ove necessario, un commissario ad acta.

Si costituiva il Comune di Olbia, chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso.

All’udienza in camera di consiglio del 5 luglio 2011, il ricorso è stato discusso ed assunto in decisione.

Motivi della decisione

1. – Il ricorso è fondato e merita accoglimento entro i termini di seguito precisati.

2. – In via di fatto, la Sezione rileva come, a seguito della sentenza di primo grado data dal T.A.R. della Sardegna, n. 235 del 2004 e della decisione ottemperanda, n. 8651 del 9 dicembre 2010, l’intero procedimento espropriativo posto in essere dal Comune di Olbia sia stato integralmente posto nel nulla, non sussistendo più alcun fondamento giuridico per il mantenimento in mano pubblica del bene di proprietà dei ricorrenti.

Questa Sezione ha già precisato (Consiglio di Stato, sez. IV, 30 gennaio 2006, nr. 290) che l’intervenuta realizzazione dell’opera pubblica non fa venire meno l’obbligo dell’amministrazione di restituire al privato il bene illegittimamente appreso. Ciò sulla base di un superamento dell’interpretazione che riconnetteva alla costruzione dell’opera pubblica all’irreversibile trasformazione effetti preclusivi o limitativi della tutela in forma specifica del privato operata in relazione al diritto comune europeo.

Partendo dall’esame della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, deve ritenersi che il quadro normativo e giurisprudenziale nazionale previgente non fosse aderente alla Convenzione europea e, in particolare, al Protocollo addizionale n. 1 (sentenza 30 maggio 2000, ric. 31524/96, Società Belvedere Alberghiera). Nella sentenza citata, la Corte ha ritenuto che la realizzazione dell’opera pubblica non fosse impedimento alla restituzione dell’area illegittimamente espropriata, e ciò indipendentemente dalle modalità – occupazione acquisitiva o usurpativa – di acquisizione del terreno. Per tali ragioni, il proprietario del fondo illegittimamente occupato dall’amministrazione, ottenuta la declaratoria di illegittimità dell’occupazione e all’annullamento dei relativi provvedimenti, può legittimamente domandare nel giudizio di ottemperanza sia il risarcimento, sia la restituzione del fondo che la sua riduzione in pristino.

La realizzazione dell’opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato è in sé un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo dell’acquisto, come tale inidoneo a determinare il trasferimento della proprietà, per cui solo il formale atto di acquisizione dell’amministrazione può essere in grado di limitare il diritto alla restituzione, non potendo rinvenirsi atti estintivi (rinunziativi o abdicativi, che dir si voglia) della proprietà in altri comportamenti, fatti o contegni.

Ne discende che, tranne che l’amministrazione intenda comunque acquisire il bene seguendo i sistemi che di seguito saranno evidenziati, è suo obbligo primario procedere alla restituzione della proprietà illegittimamente detenuta.

3. – In merito alle attribuzioni dell’amministrazione, va sottolineato, al fine di rispondere alle eccezioni proposte dal Comune nella sua costituzione, che se è ben vero che l’annullamento di un atto per difetto di motivazione comporta normalmente il solo obbligo di procedere ad una nuova determinazione, è del pari vero che in ambito espropriativo l’annullamento degli atti impositivi del vincolo preordinato all’esproprio elimina dal mondo giuridico l’intera procedura ablatoria, rendendo impossibile il recupero della fattispecie, che si conclude con una materiale apprensione dell’utilitas altrui, con il mero rinnovo motivazionale.

Al contrario, l’amministrazione può legittimamente apprendere il bene facendo uso unicamente dei due strumenti tipici, ossia il contratto, tramite l’acquisizione del consenso della controparte, o il provvedimento, e quindi anche in assenza di consenso ma tramite la riedizione del procedimento espropriativo con le sue garanzie. L’illecita occupazione, e quindi il fatto lesivo, permangono quindi fino al momento della realizzazione di una delle due fattispecie legalmente idonee all’acquisto della proprietà, indifferentemente dal fatto che questo evento avvenga consensualmente o autoritativamente.

A questi due strumenti va altresì aggiunto il possibile ricorso al procedimento espropriativo semplificato, già previsto dall’art. 43 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 "Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità" ed ora, successivamente alla sentenza della Corte costituzionale, 8 ottobre 2010, n. 293, che ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, nuovamente regolamentato all’art. 42 bis dello stesso testo, come introdotto dall’articolo 34, comma 1, del D.L. 6 luglio 2011 n. 98 "Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria", convertito in legge 15 luglio 2011 n. 111.

Allo stato, tuttavia, emerge dagli atti come l’amministrazione non abbia fatto uso di nessuno dei mezzi giuridici a sua disposizione, rimanendo così integra la situazione di illegittimità evidenziata dai ricorrenti. Deve quindi accogliersi la domanda proposta, ordinando al Comune di Olbia la restituzione del bene in questione e disponendo, nel caso di ulteriore inottemperanza, la nomina di un commissario ad acta.

4. – Il ricorso va quindi accolto. Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede:

1. Accoglie il ricorso n. 2514 del 2011 e per l’effetto ordina che il Comune di Olbia dia integrale esecuzione alla decisione del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, n. 8651 del 9 dicembre 2010, nei sensi indicati in motivazione, adottando gli atti necessari nel termine di giorni 120 (centoventi) dalla comunicazione in via amministrativa o dalla notifica della presente sentenza;

2. Dispone che, in caso di ulteriore inadempimento, a tale attività provveda il commissario ad acta, qui nominato nella persona del responsabile della Direzione generale della pianificazione urbanistica territoriale e della vigilanza edilizia della Regione Sardegna o di un funzionario dallo stesso delegato, previa richiesta dei ricorrenti una volta scaduto inutilmente il termine di centoventi giorni predetto;

3. Condanna il Comune di Olbia a rifondere a G. A. B., M. G. C. B., A. S. B., M. O. B. e G. C. B. le spese del presente grado di giudizio che liquida in complessivi Euro. 2.000,00 (euro duemila, comprensivi di spese, diritti di procuratore e onorari di avvocato) oltre I.V.A., C.N.A.P. e rimborso spese generali, come per legge.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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