Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 31-03-2011) 29-07-2011, n. 30303 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 1 marzo 2010 la Corte d’appello di Roma, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’istanza avanzata, ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., da C.N., volta all’applicazione della disciplina del reato continuato tra i reati di cui alle sentenze emesse dalla stessa Corte:

– il 29 aprile 2009, irrevocabile il 29 settembre 2009, per il reato di cui agli artt. 110 e 81 cod. pen. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1;

– il 22 gennaio 2009, irrevocabile il 9 marzo 2009, per il reato di cui all’art. 81 cod. pen. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1;

– l’8 maggio 2005, irrevocabile il 9 ottobre 2005, per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73. 1.1. La Corte premetteva che, quanto alle prime due sentenze, era stata già riconosciuta la continuazione tra i reati perchè commessi nel periodo dicembre 2007-maggio 2008, e che la richiesta di applicazione dell’istituto della continuazione tra detti reati con il reato oggetto della terza sentenza, risalente al 2004, era motivata dallo stato di tossicodipendenza dell’istante.

Richiamati, quindi, i principi di diritto in materia di continuazione, alla luce della modifica normativa dell’art. 671 cod. proc. pen. per effetto del D.L. n. 272 del 2005, convertito, con modificazioni, nella L. n. 49 del 2006, la Corte rilevava che:

– lo stato di tossicodipendenza e la necessità o l’utilità di procurarsi denaro con attività illecita per procacciarsi droga erano elementi indicativi del solo movente dei delitti commessi, senza essere probativi dell’originaria ideazione e deliberazione di tutte le violazioni nei loro caratteri essenziali, sintomatiche dell’istituto della continuazione;

– anche dopo la modifica normativa, era necessario che tutti i reati fossero previsti, programmati e deliberati, sin dalla commissione del primo reato, come momenti di attuazione di un programma unitario;

– lo stato di tossicodipendenza del richiedente non risultava inequivocamente accertato, atteso il contenuto della nota dell’azienda USL Roma B del 28 maggio 2008 che attestava che lo stesso era stato "seguito dal SERT dal 15.2.1986 al 25.5.2008 in modo più o meno continuativo per dipendenza da oppiacei";

– la sentenza dell’8 maggio 2005 della Corte d’appello di Roma, irrevocabile il 9 ottobre 2005, aveva condannato il predetto per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, riconoscendo la recidiva specifica reiterata e infraquinquennale e la sussistenza delle condizioni per la declaratoria di delinquente abituale, attese le plurime condanne (otto), riportate dallo stesso nel periodo 1982- 2001 per delitti determinati da motivi di lucro;

– tali condotte, significative del fatto che il richiedente viveva anche in parte dei proventi di delitto, erano "certamente espressione di recidività criminosa", che "solo ipoteticamente" era riconducibile a uno stato di tossicodipendenza.

2. Avverso detta ordinanza ricorre per cassazione C. N., per mezzo del difensore di fiducia, avvocato Angelo Staniscia, mediante atto del 27 aprile 2010, chiedendone l’annullamento sulla base di unico motivo, con il quale denuncia violazione di legge e contraddittorietà e illogicità della motivazione.

Il ricorrente, in particolare, deduce che, contrariamente a quanto ritenuto in ordinanza, i fatti puniti con le sentenze, delle quali è chiesta la riunione sotto il vincolo della continuazione, sono riconducibili al medesimo disegno criminoso che "si rinviene nel comportamento posto in essere dall’istante che si trovava in acclarato status di tossicodipendente". Tale status, previsto dall’art. 671 c.p.p., comma 1, tra gli elementi che incidono sull’applicazione della disciplina del reato continuato, deve essere considerato, ad avviso del ricorrente, unitamente agli elementi attinenti alla identità delle norme violate, alla identità del luogo di commissione dei reati, alla omogeneità dei fatti e alla loro prossimità temporale, mentre, nella specie, il Giudice dell’esecuzione ha omesso tale valutazione e ha ritenuto, in maniera contraddittoria, non accertato lo status di tossicodipendente e ha richiamato la certificazione della USL, che invece afferma la sua qualità di soggetto tossicodipendente dal 1986. 3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato requisitoria scritta, concludendo per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è manifestamente infondato.

1.1. I fatti cui è riferita la richiesta di unificazione sono stati presi in esame dal Giudice dell’esecuzione che, nel prendere atto del già intervenuto riconoscimento della continuazione tra i reati di cui alle sentenze del 22 gennaio 2009 e del 29 aprile 2009, commessi nel periodo dicembre 2007-maggio 2008, ha escluso che un tale riconoscimento potesse essere esteso al fatto oggetto della sentenza dell’8 maggio 2005, commesso nel 2004, e ritenuto espressione di un sistema di vita improntato alla "recidività criminosa".

Plausibilmente il Tribunale ha ritenuto che la situazione di tossicodipendenza, la cui prova, peraltro "non inequivocamente accertata" sulla base dell’allegata nota, era da considerare, premessa la distanza temporale del fatto di cui alla terza sentenza e alla luce dei principi di diritto in materia di continuazione, subvalente nell’apprezzamento della esistenza di un medesimo originario disegno criminoso anche dopo la modifica normativa dell’art. 671 cod. proc. pen..

1.2. Non può dubitarsi che, dopo l’indicata modifica normativa, lo status di tossicodipendente può e deve essere preso in esame per apprezzare, sotto il profilo indiziario, l’unicità del disegno criminoso con riguardo ai reati che siano collegati e dipendenti dallo stato di tossicodipendenza, ma, non essendo mutate le norme che delineano la continuazione, tale elemento, non autosufficiente ai fini dell’accertamento della continuazione, non si sovrappone, sostituendolo, alla nozione stessa di continuazione delineata nell’art. 81 c.p., comma 2, e cioè alla necessità che i fatti siano riferibili a un medesimo (originario) disegno criminoso e non siano legati a un mero sistema di vita, sia pure quello di tossicodipendente (Sez. 1, n. 39287 del 13/10/2010, dep. 05/11/2010, Presta, Rv. 248841; Sez. 1, n. 33518 del 07/07/2010, dep. 13/09/2010, Trapasso, Rv. 248124; Sez. 5, n. 1797 del 23/02/2010, dep. 19/03/2010, Riolfo, Rv. 246373; Sez. 1, n. 30310 del 29/05/2009, dep. 21/07/2009, Piccirillo, Rv. 244828; Sez. 4, n. 33011 del 08/07/2008, dep. 07/08/2008, Tarallo, Rv. 241005; Sez. 2, n. 421214 del 06/11/2007, dep. 08/11/2007, Corbo e altri, Rv. 238762).

L’innovazione legislativa, quindi, non incide sulla natura dell’istituto della continuazione per il quale rileva "l’esistenza del requisito soggettivo rappresentato dalla unicità del disegno criminoso, che non si identifica assolutamente con il dolo (che è anzi diverso per ciascun reato), ma bensì con l’ideazione complessiva, con il piano criminoso generale, di cui ciascun reato è un momento attuativo" (Corte cost. n. 115 del 1987), e che deve trovare dimostrazione in specifici elementi atti a far fondatamente ritenere che tutti gli episodi siano frutto realmente di una originaria ideazione e determinazione volitiva, cui segua, per ogni singola azione, una deliberazione specifica (tra le altre, Sez. 2, n. 40123 del 22/10/2010, dep. 12/11/2010, Marigliano, Rv. 248862; Sez. 1, n. 9876 del 01/02/2007, dep. 08/03/2007, Greco, Rv. 236547; Sez. 2, n. 18037 del 07/04/2004, dep. 19/04/2004, Tuzzeo, Rv. 229052; Sez. 1, n. 575 del 10/02/1993, dep. 14/04/1993, Baltolu, Rv. 193655).

1.3. La valutazione del giudice di merito, che ha correttamente interpretato il parametro normativo di cui all’art. 81 cod. pen. e ne ha fatto esatta applicazione con motivazione logica e congrua, è ragionevole e, depurata dagli impropri riferimenti alla recidiva e alla delinquenza abituale, operati dalla Corte e censurati nel ricorso, non incompatibili sul piano logico-giuridico con la continuazione e non ostativi al suo riconoscimento, resiste alle opposte censure.

Le doglianze, alla luce della motivazione del provvedimento impugnato in rapporto alle premesse di fatto, appaiono, infatti, nella sostanza generiche, non offrendo elementi concreti di valutazione in merito alla mera (e indimostrata) affermazione dell’esistenza del preteso originario disegno delittuoso, se non il generico riferimento a una perdurante situazione di tossicodipendenza, alla omogeneità dei reati e alla loro prossimità temporale, sfociando in considerazioni di fatto insuscettibili di rivalutazione in questa sede.

2. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè – valutato il contenuto del ricorso e in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità – al versamento della somma, ritenuta congrua, di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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