Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 31-03-2011) 29-07-2011, n. 30274

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza del 29 luglio 2009 il Tribunale di Trapani ha dichiarato:

– V.F. colpevole del reato di tentata estorsione aggravata, di cui agli artt. 56, 110, 112, n. 1 e art. 629 cod. pen., comma 2, ulteriormente aggravata ai sensi del D.L. n. 152 del 1991, art. 7, in danno di M.A., nella qualità di amministratore unico della IMPRECOGE S.p.A., commesso in Trapani fino al 14 settembre 1996;

– M.M. colpevole dei reati di estorsione aggravata, di cui all’art. 81 cpv., art. 110, e art. 629 cod. pen., comma 2, ulteriormente aggravata ai sensi del D.L. n. 152 del 1991, art. 7, in danno di S.V., commesso in (OMISSIS) fino all’anno (OMISSIS), e di partecipazione aggravata all’associazione mafiosa, di cui all’art. 416 bis cod. pen., commi 1, 2, 4 e 6, commesso in (OMISSIS) e comuni limitrofi con carattere di continuità "sino alla data odierna";

ha condannato:

– V.F., riconosciuta la continuazione con il reato già giudicato con la sentenza del 28 novembre 2000 della Corte d’assise d’appello di Palermo, irrevocabile il 13 marzo 2002, alla pena di anni tre di reclusione in aumento a quella già irrogata con la predetta sentenza;

– M.M., previa unificazione dei reati sotto il vincolo della continuazione e tenuto conto della riduzione per il rito abbreviato già richiesto, alla pena di anni nove e mesi quattro di reclusione;

ha dichiarato M.M. interdetto in perpetuo dai pubblici uffici, in stato di interdizione legale durante l’esecuzione della pena, incapace di contrattare con la P.A. per la durata di un anno e sospeso, durante l’esecuzione della pena, dall’esercizio della potestà genitoriale, allo stesso applicando la misura di sicurezza della libertà vigilata per un periodo non inferiore ad anni due, a pena espiata.

Con la stessa sentenza il Tribunale ha condannato V.F. al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili Comune di Trapani, Comune di Erice, Comune di Paceco, Provincia Regionale di Trapani e Confindustria di Trapani, da liquidarsi in separato giudizio civile, con provvisionale per ciascun ente di Euro diecimila, e ha condannato M.M. al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili Comune di Trapani, Comune di Erice, Comune di Valderice, Provincia Regionale di Trapani e Confindustria di Trapani, da liquidarsi in separato giudizio civile, con provvisionale per ciascun ente di Euro ventimila.

2. Con sentenza del 17 giugno 2010 la Corte d’appello di Palermo ha confermato la sentenza di primo grado.

3. Il Tribunale era pervenuto alla decisione, all’esito di articolata attività istruttoria nell’ambito di un più ampio procedimento relativo anche ad altri coimputati, dal quale erano state separate, con ordinanza del 20 maggio 2009 per l’immediata definibilità, le posizioni degli imputati V. e M., e, previa esposizione delle risultanze processuali sulla esistenza e operatività dell’associazione mafiosa cosa nostra, dei criteri di valutazione delle dichiarazioni dei collaboranti e del materiale probatorio, all’esito della valutazione dell’attendibilità del dichiarante B.A. e delle sue dichiarazioni sotto il profilo intrinseco ed estrinseco, del vaglio degli elementi di riscontro esterno e dell’esame delle prove evidenziate a discarico dalle difese.

Il compendio probatorio era, in particolare, rappresentato:

– dalle dichiarazioni rese da B.A., dopo essere stato sottoposto alla misura coercitiva della custodia cautelare in carcere con ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Palermo del 24 novembre 2005 per i reati di associazione mafiosa ed estorsione, su fatti connessi alla sua risalente partecipazione all’associazione mafiosa nella zona del trapanese, e auto ed etero-accusatorie nei confronti di M.M. (indicato come soggetto "ufficialmente affiliato a cosa nostra" che si accompagnava a V. P.), relative alla vicenda estorsiva in danno di S. V., e nei confronti di V.F., in merito alla vicenda estorsiva in danno di M.A.;

– dai riscontri esterni a dette dichiarazioni derivati:

– dalle deposizioni della parte offesa S.V., anche imputato di reato connesso, e degli imputati di reato connesso, S.V. e M.F.P., che avevano collaborato con la giustizia e che erano stati sentiti nel corso del dibattimento di primo grado, specificatamente richiamate in sentenza;

– dalle deposizioni dei testi L., P., G., G., I. e D.G.;

– dalle risultanze delle sentenze definitive acquisite nel corso del giudizio.

4. La Corte d’appello, dopo aver ripercorso gli elementi di prova e le considerazioni svolte dal primo giudice e aver sintetizzato le doglianze mosse con gli atti di appello da parte degli imputati, riteneva, alla luce delle stesse, infondati i proposti gravami.

4.1. La Corte, in particolare, riteneva, a ragione della decisione, per quanto riguardava l’imputato V.F., che:

– la sua responsabilità per concoso nella tentata estorsione, aggravata ai sensi dell’art. 112, comma 1, n. 1, e art. 629 cod. pen., comma 2, e D.L. n. 152 del 1991, art. 7, in danno di M. A., amministratore unico della IMPRECOGE S.p.A, era comprovata dalle dichiarazioni auto ed etero-accusatorie rese da B. A., ritenute attendibili e adeguatamente riscontrate;

– erano infondate:

le doglianze relative all’avvenuta utilizzazione, ai fini di prova, della sentenza del 28 novembre 2000 della Corte d’assise d’appello di Palermo, irrevocabile il 13 marzo 2002, che aveva condannato l’appellante V. per il reato di associazione mafiosa, con esclusione dell’aggravante di cui all’art. 416 bis cod. pen.,, comma 6, atteso l’inserimento della vicenda nel contesto delle attività mafiose tipiche delle cosche operanti nella provincia di Trapani, la presenza di elementi fattuali emergenti dalla sentenza e riconducibili alla "piena compenetrazione del V. in tutte le tipiche attività criminose dell’associazione mafiosa, ivi comprese le estorsioni", e tra queste quella tentata in danno del M., cui era stata danneggiata una pala ad opera dei trapanesi, non perseguita in assenza di riscontri;

la doglianza relativa all’asserita erronea valorizzazione da parte del Tribunale delle dichiarazioni di M.F.P., attesa l’epoca delle prime dichiarazioni rese dallo stesso con riguardo alla vicenda IMPRECOGE, antecedenti di diversi anni rispetto alla data dell’arresto di B., a lui legato da rapporti di amicizia e frequentazione, e tenuto conto del valore di riscontro dalle stesse rivestito rispetto a quelle rese da B., della loro credibilità riscontrata per molte vicende narrate anche da quelle di S., non oggetto di censura, della non necessaria portata accusatola degli elementi probatori utilizzabili in funzione di riscontro e, in ogni caso, della operatività del principio della frazionabilità delle chiamate;

la doglianza di erronea valutazione da parte del Tribunale delle dichiarazioni di B.A., in ordine alla dedotta interna contraddittorietà logica del racconto dello stesso in merito alla ragione per la quale V., la cui combinazione era rimasta segreta, avrebbe dovuto parlare con lo stesso della questione estorsiva, avendo B. fatto un racconto dettagliato delle condotte concrete, poste in essere da V., per massima parte per conoscenza diretta e con ampi riscontri; in ordine alla sopravvenienza a distanza di tempo dal fatto delle indicate dichiarazioni, avuto riguardo all’ampio riscontro delle medesime, rese dopo l’inizio della sua collaborazione successivo all’arresto del 2005, e in ordine alla sospetta circolarità del racconto, attesa l’autonomia e l’originalità dell’apporto conoscitivo fornito, "quale più ampio e diretto protagonista della vicenda delittuosa";

l’ulteriore doglianza relativa alla configurabilità, in ogni caso, dell’intervento di V., in base alle dichiarazioni di B., come un post factum non punibile poichè diretto a trasferire il pagamento della tangente, effettuato da M. alle cosche palermitane, a quelle trapanesi, e, pertanto, successivo alla consumazione del reato interamente e definitivamente opera altrui, avuto riguardo al contenuto del racconto del collaborante, sintetizzato in sentenza con richiamo alla integrale esposizione delle dichiarazioni riportata nella sentenza di primo grado e alla inconferenza del rilievo difensivo per essere estranea al processo l’estorsione consumata in danno di M. ad opera delle famiglie mafiose palermitane e per avere l’imputato non preteso il trasferimento alle cosche trapanesi della tangente pagata a quelle palermitane, ma tentato di imporre la tangente in favore della famiglia trapanese;

la doglianza relativa alla non configurabilità della minaccia, in danno della parte offesa M., nella ingiunzione fatta alla stessa da B. di lasciare il lavoro, lavorando quest’ultimo nel cantiere del M. per conto dell’impresa Rosselli che aveva stipulato il subappalto, attesa l’idoneità assoluta e incontestabile a incutere timore di ritorsione della rappresentazione di una contrarietà della famiglia mafiosa locale;

la doglianza relativa alla carenza, genericità e inidoneità ai fini di adeguata difesa della contestazione di reato, poichè la formulazione alternativa della violenza o minaccia non aveva impedito l’espletamento della difesa in ordine ai fatti riferiti da B. e oggetto di prova, e il tentativo di estorsione era integrato anche dalla sola minaccia riscontrata nei suoi elementi fattuali e non contestata in appello.

Quanto al trattamento sanzionatorio, il diniego delle circostanze attenuanti generiche trovava, secondo la Corte, sicuro fondamento nella estrema gravità del reato, inserito nel contesto delle attività tipiche dell’associazione mafiosa, e determinante l’alterazione del libero mercato economico e della gestione delle opere pubbliche, e nella capacità a delinquere manifestata dall’imputato, recedenti rispetto agli elementi del tempo trascorso e della giovane età opposti dalla difesa. L’entità della pena irrogata in continuazione era congrua in rapporto alla gravità del reato e ai limiti edittali della pena prevista.

4.2. La Corte, per quanto riguardava l’imputato M.M., riteneva che la responsabilità del medesimo per concorso nella estorsione, aggravata ai sensi dell’art. 629 cod. pen., comma 2, e D.L. n. 152 del 1991, art. 7, in danno dell’imprenditore S. V., e per il reato di partecipazione all’associazione mafiosa cosa nostra, aggravata ai sensi dell’art. 416 bis cod. pen., commi 4 e 6, era comprovata dalle dichiarazioni auto ed etero-accusatorie rese da B.A., ritenute attendibili e adeguatamente riscontrate.

Sintetizzate in sentenza le dichiarazioni di B. e quelle della vittima dell’estorsione S.V., con richiamo per entrambe alla integrale loro esposizione riportata nella sentenza di primo grado (rispettivamente p. 40 e segg. e p. 279 e segg.), ritenute, "pur dai diversi e autonomi punti di vista e di approccio alla vicenda", assolutamente coincidenti nella ricostruzione della vicenda estorsiva e del ruolo svolto nella stessa dall’imputato, la Corte, in particolare, riteneva che fossero infondate:

– le doglianze relative alla qualità assunta da S. nel rendere le sue dichiarazioni, valutata dal primo giudice, traendone "corrette e motivate conclusioni in termini giuridici", con riferimento alla posizione dello stesso quale persona offesa e quale imputato del reato connesso alla violazione della legge sui subappalti, non specificatamente contestata in appello;

– le doglianze relative alla mancanza di certezza delle somme asseritamente versate dallo stesso, e annotate in un foglietto in sequestro, senza riferimento alle somme dovute all’imputato in quanto soci in alcuni appalti della Provincia, atteso il chiarimento dato da S., nel corso della sua deposizione, in merito all’annotazione nel foglietto sia dei versamenti fatti quale "pizzo" all’imputato sia di quelli relativi a rapporti di lavoro intercorsi con lo stesso, oltre che dell’avvenuta imputazione da parte dell’imputato di versamenti per "pizzo" ai rapporti di lavoro, con successiva richiesta di altro pagamento, e della precisazione dell’ammontare dei versamenti fatti in relazione agli appalti; avuto riguardo all’epoca non sospetta di redazione dell’appunto (2002) e al sequestro di iniziativa della polizia giudiziaria nel 2004; tento conto della plausibile ricollegabilita di imprecisioni dei ricordi alla ricostruzione richiesta allo S. a distanza di anni e della giustificabile imprecisione delle indicazioni lire/Euro;

– le doglianze relative all’omessa valutazione da parte del Tribunale della deduzione difensiva in merito all’esistenza di due assegni per ventuno milioni di lire, consegnati dall’imputato a S.; alla mancanza di riscontro all’appunto di quest’ultimo in merito alle somme da lui versate all’imputato; all’omessa precisazione da parte dello stesso S. dei conti bancari sui quali gli assegni erano stati emessi, dei libri contabili sui quali le false fatture consegnate dall’imputato erano state annotate e dell’esatto importo dei lavori eseguiti a (OMISSIS), in relazione ai quali l’importo della tangente era stato determinato, attese le dichiarazioni di S. in merito alla certa riconducibilità degli assegni ai rapporti lavorativi intercorsi e il giustificato suo mancato ricordo, per il tempo decorso, dei conti e dei libri contabili e dell’esatto ammontare dei lavori;

– le doglianze relative alla sussistenza di rapporti non "idilliaci" tra l’imputato e S., che aveva scoperto nella primavera del 2002 che il primo si era appropriato di somme destinate al sodalizio mafioso, e al perdurare dei versamenti di denaro allo S. da parte dell’imputato, avuto riguardo alla circostanza che quanto scoperto da S. aveva determinato l’intervento di B., che aveva reso un racconto che aveva del tutto confermato quello di S., al rilievo che l’imputato si era lamentato con S. solo della "brutta figura" fattagli fare e al rilievo che i rapporti di lavoro erano tra loro proseguiti;

– la deduzione relativa al contrasto delle dichiarazioni rese da S. e da B. in merito al ricordo del primo di essere stato contattato dal secondo per ricordargli i pagamenti dovuti e al ricordo del secondo di essere stato richiesto dal primo di intercedere presso P.F. per la soluzione dello stesso problema, tenuto conto della coincidenza assoluta della sostanziale ricostruzione fattuale e del contenuto dei colloqui da essi riferito, al tempo decorso, alla frequenza dei contatti tra i due, e soprattutto alla conferma attraverso due fonti "autonome e diverse" dell’intervento di P. sull’imputato e della sostituzione dello stesso con B. nella gestione del pizzo dovuto da S., mentre erano estranei al processo i riferimenti a somme già riscosse da B. per altre attività svolte da S. a (OMISSIS);

– la deduzione che il riferimento, nell’appunto sequestrato a S., ad assegni e contanti in Euro fosse dimostrativo dell’attinenza degli stessi a pagamenti non antecedenti al 2002, avuto riguardo al contenuto delle dichiarazioni rese dallo stesso e alla non inusuale confusione all’epoca dell’indicazione della moneta, e la deduzione che le somme indicate dovevano ritenersi comprensive della somma di Euro quindicimila dovuta alle cosche e trattenuta dal M. "verosimilmente anche lui, semmai, vittima di estorsione", avuto riguardo al versamento delle somme da parte di S. solo per il lavoro da lui ottenuto, all’incarico dato all’imputato dalla famiglia mafiosa di riscuotere il pizzo fissato a carico del medesimo, e all’intervento di P.F., che aveva sostituito l’imputato con B. come esattore del pizzo dovuto da S.;

– anche l’ulteriore doglianza relativa alla prova dell’estorsione, limitata sostanzialmente all’unica fonte costituita da S. che aveva redatto l’appunto, ne aveva riferito a B. e ne aveva poi parlato nel processo riscontrando se stesso, atteso il contenuto delle dichiarazioni di B., non limitate alle conoscenze conseguite per mezzo di S., ma estese a fatti a lui noti e da lui vissuti, quali i colloqui con P.F. in merito alla vicenda estorsiva e le decisioni dello stesso;

– le censure relative al reato associativo, generiche e fondate su "argomentazioni inconferenti sul piano oggettivo", mentre l’inserimento dell’imputato nell’associazione mafiosa riferito da B. sulla base di quanto appreso, in merito alla sua ufficiale affiliazione a cosa nostra, da V.P., aveva trovato un riscontro probatorio definitivo nella condotta relativa alla vicenda estorsiva, probativa in modo inequivoco della contestata compartecipazione nell’associazione mafiosa.

La Corte, con riferimento ai motivi subordinati, riteneva infondate le censure relative alle contestate aggravanti di cui ai commi 4 e 6 dell’art. 416 bis c.p., atteso il loro fondamento, confermato dalla giurisprudenza di questa Corte; al diniego delle circostanze attenuanti generiche, che trovava sicuro fondamento nella estrema gravità del reato, inserito nel contesto delle attività tipiche dell’associazione mafiosa, e determinante l’alterazione del libero mercato economico e della gestione delle opere pubbliche, e nella capacità a delinquere manifestata dall’imputato, recedenti rispetto agli elementi opposti dalla difesa; all’entità della pena determinata in misura quasi corrispondente al minimo previsto per legge, con il minimo aumento di un terzo per l’aggravante di cui al comma 6, e all’aumento per la continuazione, congruo in rapporto alla gravità dei reati e ai limiti edittali previsti.

5. Avverso la citata sentenza hanno proposto ricorso per cassazione, tramite i rispettivi difensori di fiducia, gli imputati sopra indicati.

5.1. M.M. ricorre per mezzo dell’avv. Paolo Paladino.

5.1.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e), mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione per infedeltà agli atti del processo in riferimento alla ingiustificata sottovalutazione delle ragioni di doglianza sviluppate con i motivi di appello, effettuata con argomentazioni apparentemente confutative e "meramente adesive" alla decisione del Tribunale.

Al fine di dimostrare l’inaffidabilità della sintesi dei motivi di appello annotata in sentenza, è riportato nell’atto di ricorso l’intero atto di appello e si deduce il travisamento degli atti processuali e degli argomenti di critica proposti con l’atto di appello in relazione alla ritenuta partecipazione del ricorrente all’associazione mafiosa.

Si rappresenta, in particolare, che in sede di appello era stato osservato che dalla complessiva attività di indagine e di istruttoria dibattimentale era emersa una prova definita "sottrattiva" per la mancanza di elementi, tratti dalla lunga e complessa attività di indagine, dagli apporti testimoniali, dalle dichiarazioni dei collaboratori e dalle sentenze rese nei confronti dello stesso sodalizio criminale, riferibili al ricorrente, pur indicato come inserito nell’organizzazione mafiosa dal 1996, per l’esclusione di rapporti con lo stesso riferita da B. "sedicente dirigente di lungo corso della famiglia di Trapani" e per i chiarimenti dati dal medesimo ricorrente nel suo interrogatorio del 5 aprile 2007 agli occasionali rapporti con tre soggetti "in odore di mafia"; e si deduce che la Corte d’appello, ignorando tali deduzioni e anche in un caso travisandole, ha ritenuto non infrequente l’occasionale emersione dell’appartenenza all’associazione mafiosa durante le indagini anche dopo molti anni dall’adesione al sodalizio, specie quando l’attività del soggetto è concentrata su uno dei settori in cui si esercita l’intervento mafioso.

In tal modo la Corte, che ha dovuto riconoscere la debolezza probatoria ancorando la prova a quella dell’episodio estorsivo, ha omesso di valutare la compatibilità dell’indicata evenienza con lo svolgimento di indagini "specifiche e mirate", risultate prive di esito, e l’effettiva concretizzazione della stessa evenienza, senza ipotizzare che l’affiliazione del ricorrente fosse riservata, e quindi destinata a rimanere sconosciuta, e senza considerare che B., addetto al settore degli appalti e relative tangenti, aveva escluso ogni contatto con il ricorrente.

Il travisamento degli atti processuali e degli argomenti di critica proposti con l’atto di appello è dedotto anche in relazione al fatto estorsivo, e con riferimento particolare:

– alla "evidente discrasia temporale" nella ricostruzione del fatto, atteso che l’estorsione, che si assume consumata "sino all’anno 2001", sarebbe riscontrata dall’appunto sequestrato a S. che riferisce pagamenti in Euro attinenti al periodo febbraio-marzo 2002 e per il quale, a differenza che per il ricordo dello S., non può valere, in quanto redatto all’epoca, il decorso del tempo;

– alla "irresolutezza" della Corte in merito al significato delle annotazioni riportate nell’appunto, con travisamento del contenuto della deposizione di S. che, solo dopo richieste di chiarimenti, ha date sue spiegazioni, riferendo i conteggi "forse" alle due distinte causali (pizzo e utili), inconciliabili con il contenuto dell’appunto stesso, riportato in ricorso e descritto specificatamente nel suo contenuto;

– all’incapacità dell’appunto di riscontrare il racconto di S. e di B., evidenziandosi il tentativo degli stessi di "ammannire" una falsa rappresentazione dei fatti;

– alla mancanza di risposta a precise argomentazioni difensive con riguardo ai due assegni per ventuno milioni di lire dati dal ricorrente a S. il 10 aprile e il 2 agosto 2001, ignorati, e agli ulteriori versamenti fatti dallo stesso nel novembre 2003 per cinquemila Euro e nel gennaio 2004 per settecento Euro, svalutati nel loro significato;

– al contrasto stridente della ricostruzione del fatto operata in sentenza con inequivoche risultanze probatorie e all’omessa giustificazione delle ragioni del rifiuto della ricostruzione proposta dalla difesa.

5.1.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. b) ed e), inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 416 bis cod. pen.,, commi 4 e 6, e mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, per infedeltà agli atti del processo in riferimento all’ingiustificata sottovalutazione delle ragioni di doglianza sviluppate con i motivi di appello in relazione all’errata applicazione delle indicate aggravanti.

Secondo il ricorrente, il ricorso da parte della Corte ad asserite massime di esperienza viola l’obbligo di motivazione e comporta la violazione di norme sostanziali, ponendosi anche in contrasto con il principio della responsabilità individuale, poichè è necessaria la prova, per l’aggravante di cui al quarto comma, dell’effettiva disponibilità di armi per uso collettivo nel tempo dell’adesione dell’associato all’organizzazione, e, per l’aggravante di cui al sesto comma, dell’intenzione dell’associato di commettere il reato di cui all’art. 648 ter cod. pen..

5.1.3. Con motivi nuovi in data 11 febbraio 2011, il ricorrente, nel richiamare il terzo motivo d’appello, con il quale si sono lamentati il diniego delle circostanze attenuanti generiche e il quantum eccessivo della pena, deduce la violazione da parte della Corte d’appello dell’art. 62 bis cod. pen. e la mancata motivazione sul punto, oltre alla violazione dell’art. 133 cod. pen. e il difetto di motivazione in ordine al dimensionamento della pena, per essere stata confermata la sentenza di primo grado senza valutazione del ruolo materiale di esso ricorrente, del concreto disvalore della sua condotta e della sua posizione soggettiva, e per essere stato formulato un apodittico giudizio di congruità. 5.2. V.F. ricorre per mezzo dell’avv. Ferruccio Marino, che lamenta l’aprioristica adesione al giudizio di primo grado da parte del giudice di appello, che avrebbe trascurato del tutto le censure avanzate con i motivi di appello e omesso di valutare, unitariamente nella loro effettiva e completa consistenza, gli elementi di prova contrari in ipotesi a quelli posti a base del giudizio di primo grado.

5.2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), art. 192, comma 3, art. 238 bis e art. 546 cod. proc. pen., lett. e).

Secondo il ricorrente, la Corte di merito, che ha ritenuto la sentenza di condanna a suo carico per il reato associativo la "cornice" in cui inscrivere il reato ora ascritto, ha omesso di considerare la necessaria individuazione "concreta e specifica" della sua condotta nell’associazione, richiedendo, peraltro, le sentenze acquisite, ai sensi dell’art. 238 bis cod. proc. pen., "adeguato riscontro" ai sensi dell’art. 192 cod. proc. pen., comma 3.

Nè la Corte ha al riguardo considerato e motivato che la sentenza di assoluzione del ricorrente per altra ipotesi estorsiva era fondata sullo stesso materiale probatorio di questo giudizio, costituito dalle dichiarazioni di S. e dalla condanna per il reato associativo, omettendo di motivare sulle emergenze della detta sentenza, riscontrate da S., che il ricorrente, pur inserito nell’associazione, non si occupava dei delitti dell’associazione ma delle imprese paterne.

Osserva la difesa che, in ordine alla deduzione svolta in sede di merito circa l’inserimento del ricorrente nell’associazione come "riservato" riferita dal collaboratore S., la motivazione della sentenza, secondo la quale il predetto, a prescindere dalla conoscenza della sua combinazione, ha preso parte a vicende tipicamente inserite nell’attività mafiosa, è illogica, atteso che il tema non è la conoscenza della sua formale affiliazione ma quello del suo concreto inserimento nell’associazione, che non doveva essere palesato, e l’unica vicenda indicata nella sentenza di condanna per il reato associativo è la stessa vicenda riguardante M., oggetto di questo giudizio.

La circostanza che S. non ha escluso che il ricorrente sia stato presentato ad altri soggetti è illogica, perchè trae una possibilità da una ripetuta negazione, avendo S. detto che il medesimo era un riservato e affermato di riferire ciò che sapeva, senza introdurre nel suo racconto alcuna possibilità.

Nè, ad avviso della difesa, sono stati correttamente valutati i molteplici argomenti formulati con i motivi di appello per contestare l’attendibilità delle dichiarazioni di M. e B., denunciate come "illogiche, rancorose e circolari", essendosi omesso di procedere alla vantazione unitaria di dette dichiarazioni con quelle di S. e con la "iniziale riservatezza", pure affermata in sentenza, ed essendosi proceduto a una valutazione illogica quando si è ritenuto che l’avvenuta combinazione del ricorrente poteva essere stata rivelata a B. "a distanza di molti anni", senza considerare che la pretesa "combinazione" sarebbe avvenuta tra la fine del 1995 e gli inizi del 1996 e, quindi, in data prossima alla vicenda estorsiva, collocata nel settembre 1996. 5.2.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e), sul rilievo che la Corte d’appello, nel ricostruire la vicenda estorsiva e nell’indicare della stessa sette passaggi, ha trascurato, omettendo di motivarlo, quello relativo all’incarico dato a B. non di pretendere un nuovo pagamento ma di accertare a chi dei palermitani la tangente fosse stata pagata per "pretenderne il trasferimento", atteso che B. non ha parlato di due fatti estorsivi ma della pretesa di chiarire l’avvenuto pagamento a Palermo e il mancato trasferimento delle somme pagate a Trapani.

5.2.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. b), per l’error in iudicando conseguente all’errar in procedendo denunciato con il secondo motivo, sulla base del rilievo che la richiesta di chiarire l’avvenuto pagamento della somma estorta ai "palermitani" per ottenerne dagli stessi il trasferimento non costituisce reato, ma post factum non punibile.

5.2.4. Con il quarto motivo il ricorrente censura la violazione dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. b) ed e), in relazione agli artt. 62 bis, artt. 81 e 133 cod. pen., per essere state respinte le richieste di concessione delle circostanze attenuanti generiche e di contenimento dell’aumento per continuazione con motivazione di stile e non di effettiva considerazione delle richieste.

5.2.5. Con motivi nuovi, depositati il 10 marzo 2011, il ricorrente ha ulteriormente insistito, integrando le svolte argomentazioni con riguardo al secondo e al terzo motivo, nell’accoglimento del ricorso.

6. In data 28 marzo 2011 il Comune di Erice per mezzo del suo difensore e procuratore speciale, avv. Salvatore Ciaravino, ha depositato distinte comparse conclusionali, chiedendo la conferma dell’impugnata sentenza in tutte le sue parti e la condanna degli imputati al pagamento delle spese di costituzione di parte civile.

In data odierna hanno depositato distinte comparse conclusionali, con richiesta di conferma della sentenza la Provincia Regionale di Trapani, per mezzo del difensore e procuratore speciale, avv. Diego Maggio, il Comune di Paceco, per mezzo del difensore e procuratore speciale, avv. Giuseppe Giambrone, e Confindustria di Trapani, per mezzo del difensore e procuratore speciale, avv. Giuseppe Novara, già costituiti parti civili.

CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso proposto da V.F. è infondato in ogni sua deduzione.

1.2. Le censure svolte con il primo motivo, attinenti alla violazione delle regole di valutazione probatoria di cui all’art. 192 cod. proc. pen., comma 3, e al vizio di motivazione sul punto, si articolano sul duplice versante dell’omessa valutazione complessiva delle evidenze probatorie e unitaria dopo la verifica delle reciproche influenze, e della valutazione della posizione concreta dell’imputato, quanto al reato allo stesso contestato in questo giudizio, nella "cornice" dell’associazione, la cui partecipazione è stata accertata con sentenza definitiva di condanna, bisognevole di adeguato riscontro ai sensi dell’art. 238 bis cod. proc. pen..

1.2.1. L’infondatezza di tali censure consegue al rilievo che la valutazione organica delle risultanze processuali, che si assume omessa, è stata compiutamente condotta dalla Corte di merito secondo un iter logico, che ha sviluppato in stretta ed essenziale correlazione con la sentenza di primo grado, secondo un consolidato orientamento di questa Corte, condiviso dal Collegio (Sez. U., n. 6682 del 04/02/1992, dep. 04/06/1992, P.M., p.c., Musumeci e altri, Rv. 191229; Sez. 1, n. 17309 del 10/03/2008, dep. 24/04/2008, Calisti e altri, Rv. 240001, Sez. 1, n. 11455 del 17/11/2010, dep. 22/03/2011, Narcisio).

La sentenza impugnata, come quella di primo grado, nel suo sviluppo decisionale, ha chiaramente argomentato, all’esito di un’analisi completa degli elementi probatori, i singoli momenti dell’articolata formazione della prova, illustrando e coerentemente giustificando i dati fattuali acquisiti, e ha sviluppato, rispetto a quella di primo grado, le valutazioni critiche alla luce delle deduzioni difensive fatte oggetto dei motivi d’appello, cui ha fornito adeguata risposta.

1.2.2 La Corte, infatti, senza limitarsi a considerare la sentenza del 28 novembre 2000 della Corte d’assise d’appello di Palermo, irrevocabile il 13 marzo 2002, la "cornice" in cui inserire la tentata condotta estorsiva contestata in questo processo, traendone in via inferenziale la prova del fatto, ha proceduto, in coerenza con la locuzione codicistica fatto accertato, contenuta nell’art. 238 bis cod. proc. pen., alla verifica delle acquisizioni di fatto risultanti dalla motivazione del provvedimento e riconducibili alla "piena compenetrazione del V. in tutte le tipiche attività criminose dell’associazione mafiosa, ivi comprese le estorsioni", e tra queste quella tentata in danno di M., cui era stata danneggiata una pala ad opera dei trapanesi, non perseguita all’epoca in assenza di riscontri.

Tale valutazione, che non è stata disgiunta da quella, pure fondata su dati fattuali, attinente alle assoluzioni per reati specifici patrimoniali in relazione alle risultanze del materiale probatorio dei singoli processi, ha riguardato le risultanze di quel giudicato penale alla stregua della regola contenuta nell’art. 192 cod. proc. pen.,, comma 3, e quindi come elemento probatorio la cui valenza, per legge non autosufficiente, doveva essere corroborata da altri elementi di prova che lo confermino. Sono state, infatti, richiamate le dichiarazioni rese da B.A., che proprio per la vicenda estorsiva in danno di M.A. ha fatto da intermediario per il pagamento della tangente dallo stesso dovuta e quelle rese da M.F.P., che ha parlato della vicenda dell’impresa IMPRECOGE, della quale M. era amministratore unico, riscontrate da S., senza che l’attendibilità dei singoli dichiaranti fosse stata contestata in alcun modo dal ricorrente.

Si tratta di una valutazione congrua e ragionevole che, fondandosi su dati coerenti con le risultanze processuali ( V. era compenetrato nelle tipiche attività criminose dell’associazione mafiosa;

B. faceva parte dell’organizzazione mafiosa e aveva operato quale intermediario del primo per il pagamento della tangente da parte di M.; della stessa organizzazione criminale facevano parte anche gli altri collaboranti che avevano parlato della vicenda), ne ha ritenuto l’univoca e convergente valenza probatoria al fine dell’affermazione della responsabilità penale dell’imputato.

1.2.3. In questo contesto non possono trovare accoglimento le prospettazioni difensive volte a impegnare questa Corte in una diversa lettura degli elementi di conoscenza apportati ai Giudici di merito dal materiale probatorio del processo, in un’alternativa, e non esclusiva sua diversa analisi valutativa, estranea, per sua natura, al tema di indagine legittimamente proponibile come oggetto di censura di legittimità.

Le censure svolte, peraltro generiche nella parte in cui, in contrasto con i dati fattuali e probatori esposti coerentemente dalla Corte, assumono l’identità del materiale probatorio della diversa sentenza assolutoria per altra generica vicenda con quello di questo processo, e nella parte in cui, in contrasto con i predetti dati e in ogni caso con il principio di autosufficienza del ricorso, assumono il riferimento delle dichiarazioni di S. al solo interessamento di V. a non specificate "imprese paterne", sono palesemente apparenti quando richiamano per contestare l’attendibilità delle dichiarazioni di M. e B. gli argomenti prospettati nel gravame, ai quali la Corte d’appello ha dato adeguate e argomentate risposte, esaustive in fatto e corrette in diritto, che il ricorrente non considera nè specificatamente censura.

A fronte della piattaforma probatoria della sentenza rimane superata la questione della riservatezza dell’inserimento dell’imputato nell’associazione mafiosa, in merito alla quale in ogni caso S. ha parlato riferendo in merito alla presentazione dello stesso, dopo la sua "combinazione", ad altri uomini d’onore, e la sentenza impugnata ha rappresentato le risultanze della sentenza di condanna del medesimo per il reato associativo. Nè, per la medesima valutazione, vi è alcuna illogicità, come dedotto in ricorso, nell’affermazione della Corte relativa alla compatibilità della conoscenza dei fatti da parte di B. e lo status di associato riservato di V., poichè la valutazione della Corte si è estesa, al di là del riferimento alla sicura rivelazione della combinazione a distanza di anni, al rilievo assorbente, e ampiamente enunciato, della condotta di V. pienamente operativa e non certo "nell’ombra". 1.3. Destituiti di fondamento sono anche il secondo e il terzo motivo, richiamati con i motivi nuovi, con i quali si censura per vizio di motivazione e per violazione di legge, rispettivamente, la ricostruzione della vicenda estorsiva come tentativo estorsivo in favore della famiglia mafiosa trapanese, diverso dalla estorsione già consumata in danno della stessa parte offesa, a insaputa del ricorrente, ad opera di quella palermitana, piuttosto che mera richiesta di chiarimento dell’avvenuto pagamento a Palermo in vista del trasferimento per competenza della somma pagata alle cosche trapanesi.

La valutazione della Corte, che ha escluso la configurabilità nell’intervento di V. di un post factum non punibile, poggia su una ricostruzione dei dati di fatto condotta dalla Corte attraverso le dichiarazioni di B., riportate in sentenza e integrate da quelle più ampie contenute nella sentenza di primo grado, specificatamente richiamata per relationem.

Da dette dichiarazioni, che il ricorrente non contesta traendone argomentazione a fondamento della tesi difensiva, rimane confermata la plausibilità e correttezza della valutazione fattane in merito al tentativo dell’imputato, non riuscito per il rifiuto di M. per aver già pagato alla famiglia di Palermo, di imporre allo stesso il pagamento di una tangente, essendosi B. presentato al medesimo quale emissario della famiglia mafiosa di Trapani esplicitamente minacciandogli, nel caso della mancata "messa a posto", conseguenze pregiudizievoli per il suo lavoro.

Il dedotto post factum si pone, quindi, nella sola prospettiva dell’estorto, già vittima di precedente estorsione, opposta alla nuova richiesta.

1.4. Manifestamente infondato è il quarto motivo che attiene al diniego delle circostanze attenuanti generiche e alla quantificazione dell’aumento per continuazione.

In tema di attenuanti generiche e di trattamento sanzionatorio, il giudice non ha l’obbligo di procedere a un analitico esame dei criteri elencati nell’art. 133 cod. pen. ai fini della determinazione della pena e di fornire un’analitica motivazione, essendo sufficiente il riferimento a dati oggettivi o soggettivi idonei a evidenziare la correttezza sul piano argomentativo del criterio seguito nell’esercizio del proprio potere discrezionale.

Nel caso in esame la sentenza impugnata appare conforme a tali principi, poichè ha fornito un’argomentazione compiuta e logica richiamando, quanto all’entità della pena irrogata in continuazione, la gravità del reato e la pena edittale per lo stesso prevista e, in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche, sia l’estrema gravità del reato inserito nel contesto delle attività tipiche dell’associazione mafiosa cosa nostra, sia la capacità a delinquere dell’imputato manifestata dall’adesione al grave descritto programma criminoso.

Nè il ricorrente indica elementi non considerati in positivo, decisivi ai fini di una diversa valutazione.

2. Il ricorso proposto da M.M. è, invece, fondato.

2.1. Deve premettersi che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. c), deve mirare a verificare che la motivazione della pronunzia: a) sia "effettiva" e non meramente apparente, ossia sia realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia "manifestamente illogica", in quanto sia sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente contraddittoria, ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" così da risultare vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico.

Il ricorrente, che intende dedurre la sussistenza del vizio di motivazione per incompatibilità con gli "atti del processo", in particolare, non può limitarsi ad addurre che detti atti siano semplicemente "contrastanti" con particolari accertamenti e valutazioni del giudicante o con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti e delle responsabilità nè che siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva che quella fatta propria dal giudicante, ma deve invece identificare, con l’atto processuale cui intende far riferimento, l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione adottata dal provvedimento impugnato, dare la prova della verità di tali elementi o dati invocati, nonchè dell’esistenza effettiva dell’atto processuale in questione, indicare le ragioni per cui quest’ultimo inficia o compromette in modo decisivo la tenuta logica e l’interna coerenza della motivazione (tra le altre, Sez. 6, n. 10951 del 15/03/2006, dep. 29/03/2006, Casula, Rv. 233708; Sez. 1; Sentenza n. 42369 del 16/11/2006, dep. 28/12/2006, De Vita, Rv. 235507; Sez. 4, n. 21602 de 17/04/2007, dep. 01/06/2007, Ventola, Rv. 237588; Sez. 1, n. 35848 del 19/09/2007, dep. 01/10/2007, Alessandro, Rv. 237684).

Deve anche rilevarsi sotto concorrente profilo che l’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. c), nel far riferimento ad atti del processo che devono essere dal ricorrente "specificamente indicati" nei motivi posti a sostegno del ricorso per cassazione, contiene una previsione aggiuntiva e ulteriore rispetto a quella contenuta nell’art. 581 cod. proc. pen., lett. c), secondo cui i motivi di impugnazione devono contenere "l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta", essendo a carico del ricorrente, che alleghi il vizio di contraddittorietà della motivazione in conseguenza di un contrasto fra il provvedimento impugnato e uno specifico atto processuale, un peculiare preliminare onere di inequivoca individuazione e di specifica rappresentazione dell’atto processuale incompatibile rispetto alla motivazione impugnata, dal quale il dato probatorio emergerebbe, nelle forme di volta in volta più adeguate alla natura dell’atto stesso (integrale esposizione e riproduzione nel ricorso, allegazione in copia, precisa indicazione della collocazione dell’atto nel fascicolo del giudice, ecc), essendo preclusa al giudice di legittimità la ricerca autonoma e diretta degli atti del processo. A seguito delle deduzioni del ricorrente concernenti "atti del processo", il controllo di legittimità attiene alla verifica della persistenza o meno di una motivazione effettiva, non manifestamente illogica e internamente coerente (tra le altre, Sez. 6, n. 10951 del 15/03/2006, dep. 29/03/2006, Casula, Rv. 233711; Sez. 3, n. 12014 del 06/02/2007, dep. 22/03/2007, Cossalter e altro, Rv.

236223; Sez. 6, n. 20059 del 16/01/2008, dep. 20/05/2008, P.M. in proc. Magri, Rv. 240056; Sez. 2, n. 21524 del 24/04/2008, dep. 28/05/2008, Armosino e altri, Rv. 240411; Sez. 2, n. 38800 del 01/10/2008, dep. 14/10/2008, P.C. in proc. Gagliardo e altro, Rv.

241449; Sez. 4, n. 3360 del 16/12/2009, dep. 26/01/2010, Mutti, Rv.

246499; Sez. 6, n. 29263 del 08/07/2010, dep. 26/07/2010, Cavanna e altro, Rv. 248192).

2.2. La motivazione della sentenza impugnata, esaminata alla luce degli indicati principi, condivisi dal Collegio, non si sottrae alle censure mosse con il primo motivo di ricorso, non esprimendo il convincimento, manifestato dalla Corte d’appello, in merito alla valenza univoca e convergente degli elementi di prova, in modo logicamente correlato, le ragioni dimostrative della responsabilità dell’imputato.

Il rilievo attiene innanzitutto al reato di estorsione aggravata esaminato dalla Corte come primo rispetto al reato associativo, che ha trovato negli elementi della condotta relativa alla vicenda estorsiva, in quanto inserita nel programma criminoso della "famiglia" mafiosa, un definitivo riscontro probatorio.

2.2.1. Elementi centrali della valutazione della Corte sono stati l’appunto sequestrato alla parte offesa S.V. il 18 novembre 2004 e le dichiarazioni rese dallo stesso in merito al contenuto dello stesso appunto, che rappresentano anche i punti della sentenza, relativi alla vicenda estorsiva, ai quali sono rivolte le doglianze difensive.

La Corte, che ha ritenuto esservi un’assoluta coincidenza della ricostruzione della vicenda delittuosa operata da S., quale vittima del taglieggiamento, con quella di B. e una generica deduzione da parte di M. circa la qualità assunta da S. nel rendere le sue dichiarazioni, ha argomentato in merito al contenuto dell’appunto alla luce dei chiarimenti offerti da S., ritenuti tali da superare le censure mosse da M. con i motivi di appello.

Si è, infatti, superata la censura dell’appellante in ordine alla mancanza di certezza delle somme asseritamele versate da S. a titolo di pizzo, annotate nel foglietto sequestrato, e alla mancata considerazione delle somme dallo stesso dovute al predetto M., con il riferimento al chiarimento dato da S., nel corso della sua deposizione, in merito all’annotazione nello stesso foglietto sia dei versamenti fatti in più tranches della somma, stabilita quale "pizzo" a suo carico in relazione ad un appalto ottenuto, direttamente al cugino M., sia dei versamenti concernenti i rapporti di lavoro intrattenuti contemporaneamente con lo stesso, e in particolare del denaro dovuto da S. a M., in quanto soci in alcuni appalti della provincia.

2.2.2. S., alla stregua della esposizione sintetica, operata in sentenza, del suo narrato, ha indicato in circa Euro trentacinquemila i versamenti fatti a M. a titolo di "pizzo", e annotati nel foglietto sequestratogli, con la precisazione che non erano tutti per la mancata annotazione di alcune somme date in contanti, e nella differenza per raggiungere il totale di Euro sessantottomila le altre somme relative ai rapporti di lavoro intrattenuti con il medesimo.

La Corte, nel ritenere validi i chiarimenti offerti da S., ha indicato in Euro trentatremila circa i versamenti indicati e quantificati dallo stesso come versati in quanto socio con M. in alcuni appalti della Provincia, considerando giustificate le imprecisioni nelle indicazioni lire/Euro, da parte di S., attesa l’epoca indicata di redazione dell’appunto (2002) e prendendo atto della precisazione dallo stesso fornita nella sua deposizione che l’importo di lire sessantotto milioni doveva intendersi come importo di Euro sessantottomila e che in tale valuta egli aveva già trasformato i precedenti versamenti effettuati in lire.

2.2.3. Deve convenirsi con il ricorrente che plurimi elementi incidono sulla tenuta logica del discorso motivazionale della sentenza.

L’equivocità del foglietto, acquisito dal Tribunale all’udienza del 22 ottobre 2008 e riportato dal ricorrente nel suo ricorso, non trova nelle affermazioni di S. chiarimenti congrui al suo contenuto, nè risposta logica ed esaustiva nelle argomentazioni della Corte, sia con riguardo alla indicazione dei singoli importi in Euro (Euro 5.000, Euro 10.225,84, Euro 5.000, Euro 15.000,00) e alle date indicate, comprese, non in ordine cronologico, tra il 4 febbraio e il 19 marzo 2002 e, quindi, successive alla contestazione dell’estorsione "sino all’anno 2001", sia con riguardo alla indicazione in lire del totale (lire sessantotto milioni) e alla sua corrispondenza alla conversione in Euro della somma degli importi indicati in lire, sia ancora con riguardo alle ragioni dei versamenti o degli impegni di versamento, ai beneficiari e agli obbligati.

2.2.4. Le incongruenze argomentative che emergono dal testo della sentenza, e che si riflettono nella rappresentazione delle ragioni giuridicamente significative che hanno determinato il convincimento della Corte circa la ricorrenza della contestata ipotesi delittuosa, per la quale è stata pronunciata condanna, sono conseguenti a non risolte lacune motivazionali, che attengono anche alla consegna da parte dell’imputato a S. di assegni per complessive lire ventuno milioni il 10 aprile e il 2 agosto 2001, e di ulteriori due assegni di cinquemila Euro nel novembre 2003 e di settecento Euro nel gennaio 2004.

Le dichiarazioni di S., relative alla riconducibilità dei detti assegni "ai rapporti lavorativi tra gli stessi e a quelli con le banche" e alle imputazioni da parte di M. di somme ricevute a titolo di "pizzo" ai rapporti di lavoro con successive nuove richieste di pagamento del "pizzo", sono state ritenute dalla Corte idonee a conferire certezza probatoria alla riferibilità degli assegni ai rapporti di lavoro e a ritenere dati acquisiti la permanenza dei detti rapporti di lavoro un dato acquisito, le imputazioni di pagamento e gli scambi di assegni.

Tali rilievi, di contenuto generico e di carattere assertivo, non sono stati correlati, con evidente incidenza negativa sulla tenuta logica della motivazione, alle dichiarazioni rese dallo stesso S., e riportate nella stessa sentenza, in ordine ai tempi e al contenuto dei rapporti di lavoro tra lo stesso e l’imputato, in merito ai lavori, alle imprese interessate allo svolgimento degli stessi, oggetto dell’appalto cui era riferita la richiesta estorsiva, e al loro contesto spazio-temporale-economico, e con riguardo alle cadenze temporali e al contenuto economico del "pizzo" versato da S..

2.2.5. Affetta da incongruenze argomentative e da interne contraddizioni è la motivazione della sentenza anche nella parte in cui, a fronte delle condivise distinte causali dei versamenti, la risposta agli argomenti di critica alle obiezioni difensive in merito ai conti sui quali siano stati emessi gli assegni, alle annotazioni contabili delle false fatture di supporto dei pagamenti indebiti e all’entità dei lavori oggetto di appalto è stata affidata al "mancato ricordo" di S. e al tempo decorso giustificativo del primo, non congruenti con le indicazioni di date e quantificazioni di versamenti espresse da S. e con i chiarimenti del contenuto dell’appunto, dallo stesso offerti e ritenuti affidabili in termini di certezza con la sentenza impugnata.

2.3. Tali discrasie nella ricostruzione della vicenda, non supportate con spiegazione logicamente ineccepibile e non accompagnate da un’adeguata valutazione dell’attendibilità delle dichiarazioni di S., affidata in via generale alla loro coincidenza con quelle di B., rendono, pertanto, evidente l’influenza ai fini della decisione delle censure formulate dal ricorrente, prospettate come vizi logici della sentenza, sotto il profilo della mancata considerazione di deduzioni contenute nell’atto di appello, enunciate per esteso nel ricorso e specificatamente richiamate in relazione alle risposte ricevute in sede di impugnazione, indicate come ingiustificate e non esaustive.

Le lacune motive, derivate dalla incongrua motivazione delle indicate emergenze, incidenti sulla valutazione degli elementi qualificanti la vicenda estorsiva contestata conseguentemente nell’iter argomentativo della sentenza, sulla valutazione conclusiva degli elementi del reato associativo, impongono l’annullamento della sentenza impugnata nei confronti di M.M. e il rinvio alla Corte d’Appello di Palermo che, in coerenza con quanto rappresentato e tenendo conto delle ulteriori indicate emergenze processuali, dovrà in piena autonomia di giudizio, ma con motivazione completa e immune da vizi logici, procedere a nuovo giudizio con riferimento ai reati contestati al ricorrente M..

3. Al rigetto del ricorso nei confronti del V. segue per legge, in forza del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la sua condanna al pagamento delle spese processuali.

Il ricorrente deve essere anche condannato alla rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalle parti civili Comune di Erice, Confindustria di Trapani, Comune di Paceco e Provincia Regionale di Trapani, ritualmente costituite, liquidate in Euro cinquemila, oltre accessori come per legge, per ciascuna.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di M.M. e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’appello di Palermo.

Rigetta il ricorso nei confronti di V.F. che condanna al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute in questo giudizio dalle parti civili Comune di Erice, Confindustria di Trapani, Comune di Paceco e Provincia Regionale di Trapani, che liquida in Euro cinquemila, oltre accessori come per legge, per ciascuna.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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