Cons. Stato Sez. IV, Sent., 02-09-2011, n. 4959

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.1. L’attuale appellante, C. P. S.p.a., espone di essere stata proprietaria di un compendio immobiliare ubicato nel territorio comunale di Arzignano (Vicenza), più precisamente sito nella Zona Villaggio Giardino, all’angolo di Viale Vicenza con Via Francesco Baracca n. 1 e comprendente un capannone industriale con relativi uffici, pertinenze ed aree attigue.

Nel compendio testè descritto la C. P. S.p.a. esercitava la propria attività industriale di C., ed aveva pure la propria sede legale.

C. P. afferma che la propria attività era peraltro localizzata in zona considerata "impropria" sotto il profilo urbanistico, in quanto avente altra destinazione secondo il Piano Regolatore Generale del Comune; e, pertanto, la Società medesima si è determinata nel senso di spostare la propria attività con l’annessa sede sociale in altra parte del territorio comunale, in area destinata in senso conforme alla propria attività.

A tal fine C. P. ha pertanto acquistato il compendio immobiliare della C. S. e ha progressivamente trasferito ivi la propria sede e la propria attività.

Dopo aver completato tale trasferimento, C. P. ha venduto in data 30 dicembre 1994 parte del proprio compendio immobiliare già adibito a propria sede e stabilimento e ubicato – come detto innanzi – all’angolo di Viale Vicenza con Via Francesco Baracca n. 1 alla Immobiliare L. s.r.l., la quale è intervenuta al rogito a mezzo del suo legale rappresentante Sig. Enzo Facchin (cfr. doc. 2 di parte ricorrente nel fascicolo di primo grado).

C. P. rimarca che in tale atto si specificava anche che gli immobili venivano compravenduti nelle condizioni di diritto e di fatto in cui all’epoca si trovavano, e che a quell’epoca l’attività di C. nei relativi immobili era stata completamente dismessa.

La medesima appellante reputa – altresì – determinante evidenziare che, in relazione alle condizioni di diritto degli immobili, l’adozione del P.R.G. del 1992 aveva determinato la cessazione dell’uso industriale del complesso immobiliare di cui trattasi e la conseguente obbligatorietà di una destinazione compatibile con quella di zona, così come individuata dal P.R.G. medesimo; in particolare, per tale complesso immobiliare era già prevista l’applicazione dello strumento attuativo del piano di lottizzazione, tant’è che nel sopracitato atto di vendita la medesima C. P. si era riservata la disponibilità di parte della volumetria che tale piano assegnava all’area ceduta. Coerentemente con ciò, in data 22 dicembre 1995 Immobiliare L., a mezzo dei propri legali rappresentanti Facchin Enzo e Gentilin Renato, vendette e trasferì a C. P. parte degli immobili oggetto della precedente cessione, trasformati nell’attuazione del piano di lottizzazione

sopra citato (cfr. ibidem, doc. 3).

In tal modo, pertanto, C. P. ha ricomprato parte degli immobili precedentemente da essa alienati.

L’attuale appellante rimarca anche che in tale nuovo contratto è stato anche espressamente specificato che "le unità immobiliari" compravendute "sono state costruite nel rispetto delle leggi e dei regolamenti, su area di risulta di vecchi fabbricati demoliti", evidenziando che tali fabbricati sono – per l’appunto – quelli da essa ceduti l’anno prima a Immobiliare L. e dismessi in seguito al proprio trasferimento di sede.

A questo punto C. P. rimarca pure che lo strumento urbanistico generale del Comune di Arzignano, ed in particolare l’art. 25 delle N.T.A. del P.R.G., prevedeva allora – e tuttora prevede – che l’insediamento di attività ad alto impatto ambientale, come appunto è considerata quella di C., marcatamente diffusa nell’intero territorio comunale, non venisse ulteriormente autorizzato, dovendo essere incrementato l’insediamento di attività alternative rispetto alla lavorazione delle pelli, più compatibili con le esigenze di salvaguardia dell’ambiente (cfr. ibidem, doc. 4).

Pertanto, à sensi di tale disciplina di piano:

1) le attività individuate in zona impropria non sarebbero più potute rimanere nella sede originaria; 2) nelle zone industriali non sarebbe stato possibile localizzare nuove attività destinate alla concia e alla lavorazione delle pelli;

3) unica deroga ammessa a quanto previsto dal punto 2) era rappresentata dal trasferimento delle aziende di cui all’elenco nominativo inserito nell’art. 27 delle N.T.A. del P.R.G. del 1992, nel quale rientrava anche C. P.; le sedi localizzate in zona impropria e lasciate libere dopo il trasferimento dovevano essere rese disponibili per attività alternative, senza alcun incremento di superficie destinata all’attività di concia rispetto a quella in essere alla data di adozione del P.R.G..

In tal modo, pertanto, le norme di piano "congelavano" alla data della loro entrata in vigore l’estensione delle superfici complessivamente destinate all’attività di concia e, per le attività già in essere, ma insediate in zona impropria, le norme medesime disponevano la cessazione delle attività medesime, ovvero il trasferimento in zona industriale, prevedendo in tale secondo caso la possibilità di trasferire e di conservare, all’interno delle zone industriali, la superficie destinata all’attività di concia di cui le imprese in questione fossero già state titolari.

Nel contempo le norme stesse specificavano che gli edifici lasciati liberi in seguito al trasferimento predetto avrebbero da quel momento avuto esclusivamente destinazione conforme a quella della zona in cui si trovavano.

C. P. afferma di essersi pertanto attivata per trasferire la propria sede e la propria attività nel rispetto della disciplina di piano testè descritta, rilevando pertanto – come detto innanzi – la C. S., già titolare di una autonoma superficie destinata ad attività di concia in zona industriale e trasferendosi quindi nella pregressa sede della medesima.

L’attuale appellante afferma che tale trasferimento, in quanto avvenuto tramite l’acquisizione di un’altra C. che cessava la propria attività, le ha consentito di ottemperare all’obbligo di trasferimento senza dover, per il momento, chiedere il trasferimento anche della superficie ad attività conciaria di cui era titolare in zona impropria; ma – sostiene sempre C. P. – rimaneva comunque impregiudicata la possibilità di chiedere successivamente il trasferimento della propria superficie conciaria originaria, ampliando in tal modo la propria attività produttiva, dal momento che tale superficie non era stata utilizzata e le norme di P.R.G. non prevedevano limiti

all’esercizio temporale di tale facoltà di trasferimento.

In tal senso C. P. precisa che il proprio trasferimento "sopra" la superficie della cessata C. S. è avvenuta in diverse fasi, concordate con l’Amministrazione Comunale, venendo completato nel corso del 1994 (cfr. ibidem, doc. 12).

C. P. precisa inoltre che la vendita dei propri immobili alla Immobiliare L. sarebbe naturalmente avvenuto senza che ciò comportasse anche la cessione del diritto alla superficie ad attività conciaria, anche in considerazione della circostanza che la superficie autorizzata ad attività di concia era riconosciuta direttamente all’impresa che esercitava tale attività, trasferita – per l’appunto – nell’ex compendio della C. S..

In data 23 luglio 1998 il Sig. Enzo Facchin, nella sua qualità di legale rappresentante di Immobiliare L., ha presentato al Sindaco del Comune di Arzignano un’istanza nella quale, premettendo di "aver acquistato la C. P. s.pa.", e precisando che il relativo insediamento produttivo nel vigente P.R.G. "è stato considerato come attività produttiva da trasferire", ha rappresentato la circostanza "che la superficie della C. P. s.p.a. autorizzata è pari a mq 8.019, 33", e ha conseguentemente chiesto "il trasferimento di tale superficie destinata a lavorazione pelli,nell’area di proprietà dell’Immobiliare Guà (…) inserita nell’attuale P.R.G. in Z.T.O. D1.1 industriale di completamento" (cfr. ibidem, doc. 5).

Ad avviso di C. P. il Facchin avrebbe con ciò rappresentato all’allora Sindaco di Arzignano una circostanza non vera, ossia di aver acquistato la C. P. S.p.a. e non già il

solo compendio immobiliare ormai da essa dismesso: compendio di cui alla data di presentazione di tale istanza Immobiliare L. non era tra l’altro nemmeno più esclusiva proprietaria per averlo, in parte, rivenduto alla stessa Pasubio.

C. P. rimarca – altresì – che il Facchin, qualificandosi in tale istanza come legale rappresentante della Immobiliare L., aveva comunque chiesto il trasferimento di tale superficie in un immobile di proprietà della non meglio indicata Immobiliare Guà (di cui lo stesso era peraltro amministratore: cfr. ibidem).

Nonostante l’asserita non veridicità di quanto affermato dal Facchin e la mancata produzione di qualsivoglia documentazione attestante quanto dichiarato, il Sindaco di Arzignano con nota Prot. 2830L/RC/cb dd. 14 settembre 1998 ha comunicato a Immobiliare L. che, "con riferimento alla richiesta in oggetto, protocollata in data 24 luglio 1998 al n.2369… la Giunta Comunale nella seduta del 7 agosto 1998 ha espresso al riguardo parere favorevole" (cfr. doc. 6 di parte ricorrente nel fascicolo di primo grado).

Secondo C. P. tale atto risulterebbe comunque atipico e, comunque, motivato in relazione ad una deliberazione della Giunta Comunale in ordine alla quale, nonostante il diritto di accesso esercitato al riguardo, non sussisterebbero tracce documentali.

In tal modo Immobiliare Guà, impresa oltretutto esercente (al pari della stessa Immobiliare L.) attività commerciale e non industriale, si è dunque trovata a disporre di una notevole superficie destinata ad attività di concia, in virtù della quale – evidenzia sempre C. P. – sarebbe verosimile ritenere che essa ha con ciò ottenuto un’indebita moltiplicazione del valore degli immobili di sua proprietà.

Nel frattempo C. P., facendo affidamento sulla circostanza di poter disporre ancora della superficie destinata ad attività conciaria (ossia quella di cui era titolare prima di trasferirsi nello stabilimento industriale rilevato dalla C. S., e che, per espressa disposizione di P.R.G., seguitava ad essere nella propria disponibilità per non averla essa utilizzata in fase di trasferimento) ha pianificato la "fisiologica" espansione della propria attività: ma, allorquando essa ha chiesto al Comune di Arzignano di utilizzare tale superficie, l’Amministrazione Comunale ha significato che la stessa non era più disponibile per essere stata già autorizzata ad altri.

C. P. ha quindi chiesto al Comune in data 1 agosto 2003 accesso ai relativi atti, nonché – comunque – l’annullamento in via di autotutela del predetto provvedimento dd. 14 settembre 1998 di trasferimento della destinazione d’uso per lavorazione pelli rilasciato ad Immobiliare L. e il contestuale riconoscimento in proprio favore della spettanza di una superficie da adibire alla concia delle pelli corrispondente a quella dei locali da essa venduti ad Immobiliare L. con atto di compravendita dd. 30 dicembre 1994 (cfr. ibidem, doc. 8).

C. P. riferisce – altresì – di aver chiesto nell’istanza medesima anche l’avvio del relativo procedimento da parte dell’Amministrazione Comunale con la comunicazione del nominativo del relativo responsabile, e ciò al fine di poter utilmente esercitare i propri diritti di partecipazione, e che – peraltro – l’Amministrazione Comunale medesima avrebbe lasciato decorrere i termini previsti dall’art. 2 della L. 241 del 1990 per la conclusione dei procedimenti amministrativi senza dar luogo ad alcuna istruttoria e senza comunicare alcun avvio del procedimento.

C. P. ha pertanto formalmente diffidato l’Amministrazione Comunale a provvedere con lettera raccomandata del 28 ottobre 2003 (cfr. ibidem, doc. 9), citando nel contempo sub R.G. 65047 del 2003 l’Immobiliare L. innanzi al Tribunale ordinario di Vicenza al fine di ottenerne la condanna al risarcimento dei danni discendenti dall’asseritamente falsa sua prospettazione all’Amministrazione Comunale di essere titolare della "superficie conciaria" di cui trattasi.

C. P. precisa che tale giudizio risulta a tutt’oggi pendente.

A seguito alla diffida anzidetta, l’Amministrazione Comunale ha dato avvio al procedimento chiesto da C. P..

In esito allo stesso, con provvedimento Prot. n. 404P1/DG/cb dd. 5 novembre 2004 il Dirigente preposto al Settore Gestione del Territorio del Comune di Arzignano ha respinto l’istanza di Concerie Pasubio finalizzata all’annullamento in sede di autotutela del provvedimento rilasciato in data 14 settembre 1998 in favore di Immobiliare L. nonché al riconoscimento di una superficie conciaria corrispondente ai locali dismessi dalla medesima C. P..

Tale provvedimento è stato adottato "vista la memoria difensiva della C. P. S.p.a. depositata in data 14 febbraio 2003 e quella della Immobiliare L. S.r.l. depositata in data 5 dicembre 2003", nonché "visto il verbale dell’incontro del 25 marzo 2004 con le parti interessate, nonché l’ulteriore memoria e i documenti depositati dalla C. P. S.p.a. in pari data e i documenti allegati dalla Immobiliare L. S.r.l." e con esso, per l’appunto, si "dispone di non darsi luogo all’annullamento in sede di autotutela del provvedimento del 14 settembre 98 prot.n. 28032 RC/cb, non sussistendo in merito un adeguato ed attuale interesse pubblico, trattandosi di situazione stabilmente consolidata e definita nel tempo. Inoltre si ritiene la vicenda tutta come strettamente riguardante il diritto privato delle parti coinvolte, come avvalorato dalla produzione di atti giudiziari civili attestanti la pendenza di una controversia giudiziale di analogo oggetto tra le parti. Altresì (si) dispone di rigettare la domanda di attribuzione della superficie conciaria richiesta, in quanto la stessa potrebbe essere accolta solo con una modifica dello strumento urbanistico vigente… (e) si dichiara, pertanto, chiuso il procedimento attivato in data 05/11/03 con la comunicazione n°40464 Prot. RC/cb ad ogni effetto di legge".

1.2.1. Con ricorso proposto sub R.G. 81 del 2005 innanzi al T.A.R. per il Veneto C. P. ha pertanto chiesto l’annullamento del testè riferito provvedimento comunale di reiezione dell’istanza di autotutela da essa presentata all’Amministrazione Comunale, nonché della stessa autorizzazione Prot. N. 28032 Rc/cb rilasciata a Immobiliare L..

C. P. ha pure contestualmente chiesto al giudice adito il riconoscimento in proprio favore della superficie ad attività conciaria ad essa asseritamente spettante, nonché la condanna dell’Amministrazione Comunale al risarcimento del danno discendente dall’adozione degli atti impugnati.

A fondamento di tali domande C. P. ha dedotto l’avvenuta violazione dell’art. 25 delle N.T.A. del P.R.G. di Arzignano, l’avvenuta violazione della L. 7 agosto 1990 n. 241, nonché eccesso di potere per erroneità, difetto dei presupposti, difetto di istruttoria, insufficienza della motivazione, incongruità manifesta ed eccesso di potere per sviamento.

Secondo la prospettazione di C. P., il provvedimento con il quale l’Amministrazione Comunale ha respinto la richiesta di annullamento in autotutela dell’autorizzazione rilasciata ad Immobiliare L. e di riconoscimento della predetta "superficie conciaria" risulterebbe palesemente in contrasto con la disciplina del P.R.G. del Comune di Arzignano.

Come detto innanzi, il predetto art. 25 delle N.T.A. del P.R.G, nel disciplinare le zone per attività produttive artigianali ed industriali ("D"), prevede che l’insediamento di attività ad alto impatto ambientale (come appunto è considerata quella di C.) non venga ulteriormente autorizzato, nel senso che, "congelate" le superfici a destinazione conciaria esistenti al momento di adozione della normativa di P.R.G., non siano autorizzate ulteriori superfici ad attività conciaria: e ciò disponendo, per l’appunto, che nei lotti liberi compresi nelle zone di tipo "D" di completamento ed in quelle di espansione "D2" sia consentita l’edificazione "solo per attività

alternative alla lavorazione delle pelli ed ai prodotti chimici".

Nello stesso art. 25 si afferma che in tal modo l’Amministrazione Comunale ha inteso perseguire "l’obiettivo di favorire l’insediamento di attività alternative rispetto alla lavorazione della pelle e dei prodotti chimici già presenti in misura preponderante sul territorio"… per essenziali motivi ambientali" ossia "1) la salvaguardia del suolo, alterato da ampie discariche di fanghi di C. con rischio anche per le falde acquifere; 2) l’elevatissimo uso di acqua e la necessità di processi di depurazione complessi con sperimentati rischi di impatto ambientale; 3) l’alterazione dell’aria, sgradevole da respirare sia per le immissioni atmosferiche connesse alla depurazione ed al trattamento dei fanghi, sia per le immissioni legate alla rífinizione della pelle (solventi ecc.)".

Si è pure detto che il medesimo art. 25 P.R.G., nel prevedere tale "blocco" delle superfici destinate all’esercizio dell’attività di C. ha, però, anche previsto che la metratura già destinata ad attività di concia possa essere trasferita in altra parte del territorio comunale più adatta all’esercizio dell’attività medesima) senza essere persa (cfr. ivi: "salvo il trasferimento delle aziende di cui all’art. 27, ovvero di altre aziende, purché per queste ultime, siano rese disponibili le sedi originarie per attività alternative e senza ulteriori incrementi della superficie rispetto a quella in essere alla data di adozione del P.R.G.").

Ad avviso di C. P. sarebbe indubitabile che tale superficie competa al titolare dell’attività di concia e non certo a chi ne abbia acquistato gli immobili dopo la cessazione e il trasferimento di tale attività, posto che non avrebbe, infatti, alcun senso pretendere un collegamento tra la superficie conciaria spettante e la mera proprietà dell’immobile, sia perché l’esistenza di un’azienda evidentemente prescinde dal dato formale della proprietà degli stabilimenti ove è esercitata, sia perché, se la disciplina del P.R.G. è finalizzata al trasferimento delle attività di concia esistenti, tale trasferimento si riferirebbe al trasferimento dell’attività d’impresa e non potrebbe, quindi, che comportare l’irrilevanza della proprietà dell’immobile che ospitava l’attività dismessa e che era presumibilmente destinato ad essere venduto.

C. P., pertanto, avrebbe nella sua prospettazione mantenuto intatto il proprio diritto ad una superficie da utilizzare ad attività conciaria corrispondente alla superficie degli immobili da essa dismessi: e da qui, dunque, l’illegittimità degli atti impugnati, in quanto illegittimamente comportanti l’impossibilità per essa di ottenere il riconoscimento di una superficie ad attività conciaria a cui – per contro – avrebbe pieno titolo in forza della stessa lettera della disciplina di piano.

Inoltre, l’assunto secondo cui risulterebbe nella specie insussistente "un adeguato ed attuale interesse pubblico, trattandosi di situazione stabilmente consolidata e definita nel tempo" risulterebbe del tutto insufficiente a giustificare le ragioni poste a base del diniego, tanto più ove si consideri che nel caso in esame la motivazione avrebbe dovuto essere dettagliata e puntuale.

Ad avviso di C. P., infatti, l’Amministrazione Comunale era tenuta a chiarire quali fossero le ragioni di interesse pubblico che giustificavano il mantenimento in capo alla L. Immobiliare della autorizzazione rilasciata ad essa in modo indebito, nonché le ragioni di interesse pubblico che legittimavano il pregiudizio arrecato alla C. P., impedendo in ogni caso il riconoscimento in capo ad essa della superficie a destinazione conciaria ad essa spettante in quanto corrispondente a quella ove già svolgeva la propria attività conciaria.

La medesima motivazione addotta dall’Amministrazione Comunale risulterebbe, sempre secondo C. P., altresì palesemente erronea ed incongrua e comunque rivelatrice di un vizio di eccesso di potere per travisamento dei fatti e carente istruttoria, stante la dianzi comprovata illegittimità dell’autorizzazione rilasciata ad Immobiliare L., tra l’altro neppure legittimata ad ottenerla in quanto non esercente attività conciaria.

Né, ad avviso della ricorrente in primo grado, si vedrebbe nella comparazione degli interessi in gioco come l’interesse della C. P. ad ottenere quanto ad essa spettante in base alle norme di P.R.G. possa essere considerato recessivo rispetto all’interesse dell’Immobiliare L. a mantenere un titolo che ha indebitamente ottenuto in forza di dichiarazioni non vere; né – ancora – il mero decorso del tempo potrebbe comunque dare fondamento a posizioni giuridiche sorte su presupposti mancanti, acquisite sulla base di affermazioni non vere e non vagliate dall’Amministrazione, senza sottacere – poi – che una parte considerevole del tempo decorso sarebbe da ricondursi esclusivamente all’inerzia tenuta dalla stessa Amministrazione Comunale nell’iniziare e definire il procedimento avviato con l’istanza di autoannullamento a suo tempo presentata.

Inoltre, l’accoglimento della domanda di L. avrebbe concretato non già il trasferimento di un’attività preesistente, ma un insediamento di nuove attività, e ciò in aperto contrasto con la normativa urbanistica che lo stesso Comune si è dato e che – come detto innanzi – è volta proprio ad impedire nuovi insediamenti conciari.

Secondo C. P., inoltre, quand’anche davvero il Comune avesse ritenuto che il decorso del tempo fondasse in capo alla L. una situazione ormai intangibile – pur se determinata in conseguenza di dichiarazioni non vere e non controllate, e caratterizzata dall’insediamento di attività conciaria nuova, in contrasto con il divieto urbanistico – ugualmente esso avrebbe dovuto valutare e motivare in ordine alla possibilità di riconoscere comunque nei suoi confronti la spettanza della superficie destinata ad attività conciaria corrispondente a quella degli immobili ove essa svolgeva in precedenza tale attività.

In tal senso risulterebbe evidente, secondo la medesima ricorrente in primo grado, che il riconoscimento della propria superficie spettante sulla scorta delle previsioni di P.R.G. non dipenderebbe in modo automatico dalla sorte della illegittima autorizzazione rilasciata all’Immobiliare L., ma costituirebbe invece un oggetto autonomo della domanda rivolta all’Amministrazione Comunale e sulla quale quest’ultima era pure tenuta ad esprimersi: e, al riguardo, il Comune non si è pronunciato, salvo affermare in via del tutto apodittica che l’attribuzione della "superficie conciaria" richiesta "potrebbe essere accolta solo con una modifica dello strumento urbanistico vigente".

In tal senso, C. P. afferma che sarebbe proprio tale strumento urbanistico a riconoscere ad essa il mantenimento della propria superficie produttiva.

Da ultimo, C. P. ha affermato che privo di ogni pregio, ed anzi oltremodo significativo dell’erronea impostazione seguita dall’Amministrazione Comunale nel pronunciarsi sulla propria domanda, risulterebbe l’assunto secondo cui "si ritiene la vicenda tutta come strettamente riguardante il diritto privato delle parti coinvolte, come avvalorato dalla produzione di atti giudiziari civili attestanti la pendenza di una controversia di analogo oggetto tra le parti".

Tale affermazione rappresenterebbe, ad avviso di C. P., soltanto un espediente dell’Amministrazione Comunale per sottrarsi al proprio obbligo di provvedere, posto che la pretesa dedotta in sede di giurisdizione amministrativa concernerebbe una violazione di P.R.G. commessa mediante illegittima autorizzazione di una nuova attività, rispetto alla quale sarebbe – per contro – del tutto irrilevante la vicenda civilistica, relativa all’asseritamente illecito comportamento tenuto dal Facchin anche in violazione dei vincoli contrattuali da lui assunti.

1.2.2. Nel giudizio di primo grado si sono costituiti il Comune di Arzignano e Immobiliare L., eccependo entrambi in via preliminare l’irricevibilità e l’inammissibilità del ricorso di C. P. e concludendo, comunque, per la sua reiezione.

1.2.3. Con sentenza n. 409 dd. 1 febbraio 2005, emessa in forma semplificata à sensi dell’allora vigente art. 26 della L. 6 dicembre 1971 n. 1034 come integrato dall’art. 9 della L. 21 luglio 2000 n. 205, la Sezione II^ dell’adito T.A.R. ha respinto il ricorso, "considerato preliminarmente che gli effetti lesivi prodottisi a carico della ricorrente per effetto del provvedimento del 14 settembre 1998 n. 28032, assunto a favore della controinteressata, dovevano essere tempestivamente evidenziati dalla stessa nelle sedi competenti e che ciò non è avvenuto nonostante la società istante avesse avuto conoscenza dell’atto in epoca antecedente all’esercizio dell’accesso; che, in ogni caso, la posizione assunta dall’amministrazione con la reiezione dell’istanza di annullamento in via di autotutela risulta corretta in ordine alla valutazione circa l’insussistenza dell’interesse pubblico a modificare una situazione ormai consolidatasi nel tempo; ciò in quanto, per effetto degli atti di disposizione posti in essere dalla società ricorrente, quest’ultima ha inteso liberamente trasferire la propria attività di C. in altra sede, appartenente ad altra società, senza quindi usufruire della possibilità di trasferire la destinazione d’uso del complesso immobiliare di proprietà in altra sede del territorio comunale; che, diversamente, la ricorrente ha ritenuto di vendere il suddetto compendio alla controinteressata, riservandosi la facoltà di acquistare dalla stessa parte degli immobili derivanti dalla ricostruzione del preesistente complesso ed aventi diversa destinazione d’uso; che, pertanto, la ricorrente ha effettuato precise scelte, optando per il trasferimento a terzi del compendio destinato ad attività di C.; ritenuto che, per effetto di tali atti, la ricorrente abbia perduto ogni diritto sulla superficie destinata ad attività di C., la quale è invece transitata a tutti gli effetti nella disponibilità della società controinteressata, quindi anche per quanto riguarda la destinazione d’uso e la correlata possibilità di trasferire detta destinazione in altra parte del territorio comunale; che, pertanto, l’amministrazione, all’epoca dei fatti, non ha svolto un’istruttoria insufficiente, in quanto non difettava in capo alla controinteressata la disponibilità dell’area con la relativa destinazione d’uso; che, quindi, a conferma di quanto sopra ritenuto, l’avvenuto acquisto a tutti gli effetti della superficie destinata ad uso industriale (C.), ormai incompatibile in tale ambito del territorio comunale, ha determinato anche il trasferimento in capo all’acquirente della possibilità di trasferire la destinazione d’uso della stessa in altra zona; che, pertanto, non residua in capo alla ricorrente alcuna disponibilità circa il riutilizzo della superficie destinata a C. al fine del suo recupero in altro ambito".

Il T.A.R. ha posto a carico di C. P. il pagamento delle spese e degli onorari del giudizio, liquidandoli complessivamente nella misura di e 4.000,00., di cui Euro 2.000,00.- a favore del Comune di Arzignano e Euro 2,000.00.- a favore della Immobiliare L. S.r.l., al netto di I.V.A. e C.P.A.

2.1. Con l’appello in epigrafe C. P. chiede la riforma di tale pronuncia.

Ad avviso della medesima appellante, il giudice di primo grado avrebbe invero considerato il pregiudizio arrecato alla società ricorrente dal provvedimento di diniego di autotutela, ma ha concluso per il rigetto del ricorso affermando che gli effetti lesivi prodottisi a proprio carico in dipendenza del provvedimento di autorizzazione assunto a favore di Immobiliare L. avrebbero dovuto essere tempestivamente evidenziati nelle sedi competenti.

Secondo il giudice ciò non è avvenuto nonostante che l’attuale appellante avesse avuto conoscenza dell’atto in epoca antecedente all’esercizio dell’accesso: constatazione, quest’ultima che, anche in ragione della sua collocazione all’esordio della decisione, secondo l’appellante medesima sarebbe stata decisiva ai fini del rigetto del ricorso.

Ad avviso di Concerie Pasubio, l’intera pronuncia del T.A.R. parrebbe quindi fondarsi sull’erroneo presupposto che il diniego impugnato non sia un nuovo provvedimento, autonomamente impugnabile, ma soltanto la manifestazione della decisione dell’Amministrazione comunale di non ritornare sulle scelte già effettuate (e, dunque, sul provvedimento autorizzativo a suo tempo rilasciato ad Immobiliare L.).

L’appellante sostiene che nella pronuncia impugnata non sarebbero stati esaminati i singoli vizi di legittimità denunciati nel ricorso introduttivo, posto che tutto risulterebbe risolto con l’affermazione – in forma recisa e apodittica – della tesi che il Collegio dimostra di assumere: ossia quella della rilevanza della pregressa conoscenza, in capo alla ricorrente, dell’autorizzazione già rilasciata a Immobiliare L..

Per contro, l’appellante afferma che, con riguardo alla natura del provvedimento impugnato, esso non andrebbe riguardato quale atto meramente confermativo di un precedente provvedimento amministrativo, ma come un nuovo provvedimento, emesso al termine di un procedimento di secondo grado avviato dall’Amministrazione Comunale su di un’istanza di intervento in sede di autotutela.

In tale senso, quindi, nella prospettazione dell’appellante il ricorso da essa proposto in primo grado non mirava affatto a contestare direttamente un provvedimento lesivo già conosciuto, ossia l’autorizzazione già accordata a Immobiliare L., ma era invece volto a censurare il diniego di intervento espresso dall’Amministrazione sull’istanza di autotutela: istanza formulata, del resto, alla stregua di dati oggettivi mai prima considerati dall’Amministrazione, la quale – a sua volta – prima di esprimersi al riguardo con nuova motivazione ha aperto e condotto un formale procedimento al riguardo, à sensi dell’art. 7 e ss. della L. 241 del 1990.

L’appellante evidenzia, poi, che nella sentenza impugnata si afferma pure che "in ogni caso, la posizione assunta dall’amministrazione con la reiezione dell’istanza di annullamento in via di autotutela risulta corretta in ordine alla valutazione circa l’insussistenza dell’interesse pubblico a modificare una situazione ormai consolidatasi nel tempo", stante il fatto che "per effetto degli atti di disposizione posti in essere dalla società ricorrente, quest’ultima ha inteso liberamente trasferire la propria attività di C. in altra sede, appartenente ad altra società, senza quindi usufruire della possibilità di trasferire la destinazione d’uso del complesso immobiliare di proprietà in altra sede del territorio comunale".

Tali ulteriori considerazioni risulterebbero ad avviso dell’appellante sintomatiche di un vizio logico della sentenza medesima, posto che nel ricorso di primo grado era stata ben evidenziata la circostanza per cui C. P. avrebbe mantenuto intatto il proprio diritto ad una superficie da utilizzare ad attività conciaria corrispondente alla superficie degli immobili da essa dismessi (e ciò ai fini di un ampliamento della propria attività), in quanto, nel trasferimento, non aveva in alcun modo utilizzato le superfici destinate ad attività conciaria di cui già disponeva nel proprio compendio immobiliare, in quanto aveva rilevato altra attività di C., già in precedenza installata negli stabilimenti dell’ex C. S..

Ad avviso dell’appellante, il giudice di primo grado avrebbe stravolto tale impostazione, affermando, in buona sostanza, che C. P. avrebbe invece perduto ogni diritto sulla superficie ad attività conciaria ad essa spettante proprio per non aver utilizzato tale diritto nel momento in cui ha trasferito la propria attività.

In tal senso, infatti, nella sentenza medesima si legge: "ritenuto che, per effetto di tali atti la ricorrente abbia perduto ogni diritto sulla superficie destinata ad attività di C., la quale è invece transitata a tutti gli effetti nella disponibilità della società controinteressata, quindi anche per quanto riguarda la destinazione d’uso e la correlata possibilità di trasferire detta destinazione in altra parte del territorio comunale").

Questa conclusione della sentenza impugnata, ossia che gli atti di alienazione degli immobili dismessi, compiuti da C. P., avrebbero determinato il transito della superficie conciaria a Immobiliare L. sarebbe fondata, ad avviso della stessa appellante, su presupposti di fatto oggettivamente errati, come del resto risulterebbe del tutto erronea l’ulteriore affermazione del giudice di primo grado secondo cui: "… l’amministrazione, all’epoca dei fatti, non ha svolto un’istruttoria insufficiente, in quanto non difettava in capo alla controinteressata la disponibilità dell’area con la relativa destinazione d’uso".

In tal modo, infatti, lo stesso giudice non avrebbe considerato, innanzitutto, che la cessione in data 30 dicembre 1994 ad Immobiliare L. degli immobili nei quali in precedenza C. P. aveva esercitato l’attività industriale di concia non avrebbe comportato in alcun modo la cessione del diritto alla superficie ad attività conciaria inerente gli immobili dismessi, posto che – come detto innanzi – la superficie autorizzata ad attività di concia in base alla vigente disciplina di P.R.G. sarebbe riconosciuta direttamente in capo all’impresa che esercita tale attività e che, sebbene già cessata in loco, essa non rappresenterebbe affatto una caratteristica autonoma dell’immobile in cui tale attività era stata esercitata.

Inoltre, il giudice di primo grado avrebbe completamente trascurato di considerare la circostanza per cui all’epoca della domanda dell’Immobiliare L. di autorizzazione al trasferimento delle superfici conciarie, quest’ultima aveva già perso la disponibilità della superficie destinata ad attività conciaria per effetto della rivendita medio tempore effettuata proprio alla stessa C. P..

Per tutto quanto sopra, quindi, l’appellante reputa che la sentenza impugnata sia viziata tanto da un palese travisamento dei fatti e delle norme urbanistiche, quanto da un evidente difetto di motivazione in ordine alle circostanze che le erano state rappresentate e documentate dalla ricorrente in primo grado.

2.2. Si sono costituiti anche nel presente giudizio il Comune di Arzignano e L. Immobiliare, eccependo sotto vari profili l’inammissibilità del ricorso, ovvero – segnatamente la controinteressata – l’improcedibilità del medesimo per sopravvenuta carenza di interesse alla sua decisione, e comunque concludendo per la sua reiezione.

3. Alla pubblica udienza del 24 maggio 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.

4. Il Collegio deve preliminarmente farsi carico di disaminare l’eccezione di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse dell’appello, formulata dalla difesa di L. Immobiliare con riferimento alla circostanza che medio tempore, dall’aprile del 2009, è mutato il contenuto dell’art. 25 delle N.T.A. del P.R.G. di Arzignano, posto che per effetto del nuovo Piano degli Interventi, approvato dal Consiglio Comunale à sensi degli artt. 17 e 48 della L.R. 23 aprile 2004 n. 11 e successive modifiche, la nuova disciplina di piano "riconosce nella costante innovazione delle attività produttive, di commercializzazione, ricerca e terziario avanzato inerenti al distretto della lavorazione delle pelli, la condizione per lo sviluppo locale, da perseguirsi attraverso la ricerca di diverse e ambientalmente più compatibili modalità di utilizzo delle risorse non rinnovabili, superando la previgente disciplina basata esclusivamente sui vincoli di natura urbanistica".

In tal senso, quindi, ad avviso di L. Immobiliare, C. P. potrebbe ora liberamente acquisire e adibire alla propria attività qualsivoglia terreno destinato ad insediamenti produttivi (aree D di cui al D.M. 2 aprile 1968 n. 1444): e, in dipendenza di ciò, sempre secondo la tesi di L. Immobiliare, per la medesima C. P. la decisione sull’appello pur da essa proposto non rivestirebbe – per l’appunto – più interesse.

Il Collegio, per parte propria, respinge tale eccezione, posto che à sensi dell’art. 34, comma 3, cod.proc. amm. "quando, nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori".

Nel caso in esame va infatti denotato che C. P. ha proposto in primo grado anche una domanda di condanna dell’Amministrazione Comunale al risarcimento dei danni discendenti dall’adozione degli atti impugnati, e segnatamente identificabili perlomeno nei maggiori costi che essa dovrebbe ora sopportare per attuare l’espansione delle proprie aree da destinare all’attività produttiva rispetto all’epoca in cui, in dipendenza del diniego oppostole dal Comune, ha presentato il ricorso innanzi al T.A.R.

Da ciò pertanto si deduce la permanenza di un ben evidente interesse di C. P. alla decisione del presente giudizio di appello, quanto meno sotto il profilo del risarcimento del danno da essa asseritamente subito.

5.1. Tutto ciò premesso, l’appello di C. P. va peraltro respinto, per quanto qui di seguito esposto.

5.2. In effetti, il giudice di primo grado ha reputato che il ricorso innanzi a lui presentato fosse irricevibile per quanto attiene all’impugnativa proposta avverso il provvedimento di diniego della domanda di annullamento dell’autorizzazione accordata a Immobiliare L..

Nella sentenza impugnata testualmente si legge, infatti, "che gli effetti lesivi prodottisi a carico della ricorrente per effetto del provvedimento del 14 settembre 1998 n. 28032, assunto a favore della controinteressata, dovevano essere tempestivamente evidenziati dalla stessa nelle sedi competenti e che ciò non è avvenuto nonostante la società istante avesse avuto conoscenza dell’atto in epoca antecedente all’esercizio dell’accesso".

Secondo la ricorrente tale assunto sarebbe erroneo in quanto oggetto dell’impugnativa innanzi al T.A.R. sarebbe stato il solo diniego di annullamento in via di autotutela dell’autorizzazione anzidetta: il che – peraltro – non è, posto che nell’epigrafe dell’atto introduttivo del giudizio ivi intentato da C. P. testualmente si legge, a pag. 2, che il ricorso stesso aveva comunque per oggetto anche l’annullamento "di tutti gli atti presupposti, preparatori, connessi e consequenziali", ivi dunque compresa la stessa autorizzazione rilasciata a Immobiliare L., comunque resa oggetto di specifiche censure di legittimità seppure nel dichiarato presupposto di voler con ciò indirettamente evidenziare (anche) l’illegittimità del diniego del suo annullamento in via di autotutela.

4.3. Anche a prescindere, tuttavia, dalla circostanza che la supposta conoscenza risalente nel tempo da parte di C. P. di tale autorizzazione accordata a L. Immobiliare possa dispiegare – o meno – effetti preclusivi sull’impugnazione del susseguente provvedimento di diniego di annullamento in via di autotutela dell’autorizzazione medesima, va evidenziato che "in ogni caso" il giudice di primo grado si è espresso anche sullo specifico contenuto delle censure con le quali la stessa C. P. aveva dedotto l’illegittimità del provvedimento negativo da ultimo adottato dall’Amministrazione Comunale, e che – a ben vedere – proprio tale parte della sentenza si configura quale suo elemento portante.

Questo Collegio, a sua volta, condivide al riguardo gli assunti fondanti del giudice di primo grado, peraltro con qualche significativa rettifica.

Il Collegio innanzitutto concorda pienamente con le affermazioni del T.A.R. secondo le quali C. P., "per effetto degli atti di disposizione" da essa "posti in essere… ha inteso liberamente trasferire la propria attività di C. in altra sede, appartenente ad altra società, senza quindi usufruire della possibilità di trasferire la destinazione d’uso del complesso immobiliare di proprietà in altra sede del territorio comunale; che, diversamente", la medesima C. P. "ha ritenuto di vendere il suddetto compendio alla controinteressata, riservandosi la facoltà di acquistare dalla stessa parte degli immobili derivanti dalla ricostruzione del preesistente complesso ed aventi diversa destinazione d’uso; che, pertanto" C. P. "ha effettuato precise scelte, optando per il trasferimento a terzi del compendio destinato ad attività di C.; ritenuto che, per effetto di tali atti" C. P. "abbia perduto ogni diritto sulla superficie destinata ad attività di C.".

Va in tal senso evidenziato che nella pur minuziosa ricostruzione dei fatti di causa l’appellante ha trascurato di riferire che al momento della stipula del contratto di compravendita del 30 dicembre 1994, con il quale C. P. ha ceduto il proprio compendio immobiliare ad Immobiliare L. dopo aver ivi dismesso ogni attività della propria impresa e trasferito la stessa in altro sito, l’art. 25 delle N.T.A. del P.R.G. era stato soltanto adottato dal Consiglio Comunale ma non ancora approvato dalla Giunta Regionale, come all’epoca previsto dall’art. 42 e ss. della L.R. 27 giugno 1985 n. 61.

Il testo della disciplina approvata dall’organo consiliare comunale tra l’altro contemplava, come comprovano le stesse produzioni dell’appellante, un regime transitorio "per tutti i lotti liberi nelle zone D", nei quali "l’edificazione di opifici (era) subordinata all’approvazione, con delibera del Consiglio Comunale, di una normativa che definisca le aree insediabili e le zone relative…; tale normativa considererà le aziende già attive o da attivare che, mediante la lavorazione dei sottoprodotti, riducano gli effetti ambientali più negativi, riciclando i prodotti residui delle attività locali (soprattutto la concia)".

Tale disciplina, oltre a varie altre previsioni, è stata stralciata dalla Giunta Regionale con la propria deliberazione n. 345 dd. 31 gennaio 1995 n. 345, la quale ha pertanto approvato con modifiche il nuovo strumento urbanistico, à sensi dell’allora vigente art. 45 della L.R. 27 giugno 1985 n. 61.

Della circostanza che l’art. 25 predetto non fosse ancora in vigore le parti contraenti erano a perfetta conoscenza, tanto da prevedere all’art. 8 del medesimo contratto di compravendita del 30 dicembre 1994 la facoltà per C. P. di presentare nelle more, su delega della stessa acquirente, progetti di variante ad un piano di lottizzazione in essere sull’area compravenduta al fine di un recupero di volumetria, della quale avrebbe peraltro anche beneficiato la stessa L. Immobiliare.

Non risulta agli atti di causa se ciò è avvenuto.

Risulta, per contro, in modo del tutto incontrovertibile che al momento in cui il nuovo strumento urbanistico – e, quindi, anche il testo dei suoi articoli 25 e 27 – è entrato in vigore, la disciplina di piano relativa al trasferimento dell’attività produttiva di C. P. non aveva più bisogno di trovare applicazione, in quanto il trasferimento era già avvenuto, con la conseguenza che l’area medesima aveva già perso la propria possibilità di essere destinata ad area per la concia.

L’art. 27 delle N.T.A. del P.R.G. è in tal senso chiarissimo laddove afferma che "con il trasferimento dell’attività produttiva in essere al momento dell’adozione del P.R.G. l’intera area così liberata ed i relativi edifici potranno essere trasformati esclusivamente sulla base dei parametri urbanistici e degli usi della zona entro la quale si trova".

Al momento dell’adozione del P.R.G. nell’area in questione l’attività di concia di C. P. era invero in corso; ma all’atto dell’entrata in vigore del P.R.G. medesimo l’attività stessa era venuta meno, e non era per certo stata iniziata ivi da L. Immobiliare.

Se così è, risulta altrettanto assodato che per effetto del proprio riacquisto dei beni ceduti, avvenuto in data 22 dicembre 1995, C. P. non ha riottenuto alcun titolo per chiedere al Comune la commutazione di propria area adibita a C. in altra parte del territorio comunale, e ciò per il semplice fatto che l’area da essa riacquistata, proprio per effetto dell’art. 27 delle N.T.A. del P.R.G. testè citato e della circostanza che l’attività di concia era già stata trasferita, né era stata intrapresa altra analoga dall’alienante L. Immobiliare, non poteva più "generare" ulteriori titoli di trasferimento, ma l’obbligo di utilizzare l’area medesima secondo i nuovi parametri e usi della zona.

Pertanto, la richiesta di C. P. di essere reintegrata nel titolo e di poter chiedere in altra parte del territorio comunale l’utilizzo quale area da destinare alla concia dell’equivalente della propria area corrispondente all’originaria sede della propria attività, non poteva che essere respinta, come del resto è implicitamente avvenuto per effetto del provvedimento di diniego dell’esercizio del potere di autotutela da parte del Comune, stante il fatto che con esso comunque è stata rigettata "in toto" la domanda presentata al Comune medesimo in data 1 agosto 2003 da parte dell’attuale appellante.

Va soggiunto che la circostanza per cui C. P. ha trasferito la propria attività dal suo sito originario mediante l’acquisizione di altra area parimenti adibita ad attività di concia e utilizzata da altra impresa del settore che era cessata dall’attività non impediva – contrariamente a quanto prospettato dall’appellante – l’applicazione, nella specie, del combinato disposto degli artt. 25 e 27.

In primo luogo, va denotato che per il combinato disposto medesimo era del tutto irrilevante la modalità con la quale l’impresa operante su area incompatibile operava il trasferimento, comunque dovuto entro il lasso temporale ivi parimenti stabilito e decorrente dall’entrata in vigore del nuovo strumento urbanistico.

In secondo luogo, giova ribadire che allo stesso momento dell’entrata in vigore del nuovo strumento urbanistico l’incompatibilità risultava già autonomamente risolta da C. P., per cui tutta la disciplina di favore in ordine al trasferimento delle superfici in precedenza utilizzate per l’attività di concia nell’area compravenduta non aveva ivi più ragione di essere.

Il Collegio, allo stesso tempo, non sottace che, in tale contesto interpretativo del combinato disposto degli artt. 25 e 27 delle N.T.A. del P.R.G., se era preclusa a C. P., pur resasi nuovamente acquirente delle superfici già cedute a L. Immobiliare, la "genesi" di ulteriori metri quadri destinati all’uso di concia da trasferire in altra parte del territorio comunale, ciò era parimenti inibito anche a L. Immobiliare, anch’essa infatti vincolata dopo il suo acquisto a rendere coerente l’uso dell’area alla nuova disciplina di piano, anche per la dirimente circostanza che essa, dal momento dell’acquisto al momento dell’entrata in vigore della nuova disciplina di piano così come approvata dalla Giunta Regionale, non ha svolto ivi attività di concia.

L’autorizzazione accordata ad essa dal Comune risulta infatti assodatamente invalida perché contrastante in tal senso con il combinato disposto dei predetti artt. 25 e 27 delle N.T.A. del P.R.G. per la già ricordata circostanza che l’intervenuto trasferimento dell’attività di C. P. non accompagnato dall’intrapresa di altra attività di concia nell’area venduta da tale Società aveva estinto ogni titolo a chiedere altre superfici da utilizzare per l’attività di concia dipendenti – per l’appunto – dall’ex fondo della medesima C. P.; senza sottacere, poi, che l’autorizzazione medesima è stata accordata a impresa comunque non più titolare del fondo, ritrasferito in proprietà a C. P..

Pertanto, la sentenza impugnata non può essere condivisa laddove afferma che l’Amministrazione Comunale non avrebbe svolto un’istruttoria insufficiente, e che l’attività di C. sarebbe "transitata a tutti gli effetti nella disponibilità della società controinteressata, quindi anche per quanto riguarda la destinazione d’uso e la correlata possibilità di trasferire detta destinazione in altra parte del territorio comunale": tale possibilità si è, per contro, estinta al momento stesso dell’entrata in vigore della nuova disciplina di piano, susseguentemente al contratto di compravendita, quando – per l’appunto – a quello stesso momento risultava non più operante nell’area compravenduta un’attività di concia.

Detto altrimenti, il presupposto per l’applicazione del combinato disposto degli artt. 25 e 27 delle N.T.A. del P.R.G. si identificava nell’esigenza che vi fosse da trasferire al momento della loro entrata in vigore una vera e propria "attività produttiva" di concia, e non già la possibilità di utilizzo per l’attività medesima di aree corrispondenti ad un’attività di concia non più in essere al momento dell’entrata in vigore degli articoli medesimi.

Nondimeno, la domanda di esercizio del potere di autotutela avanzata da Concerie Pasubio non poteva che essere respinta poiché essa muoveva da un presupposto diverso e, come si è visto, fallace: ossia che in luogo del titolo illegittimamente riconosciuto dall’Amministrazione Comunale a L. Immobiliare, doveva essere riconosciuto lo stesso titolo all’attuale appellante.

In tal senso, quindi, C. P., a ben vedere, neppure aveva interesse a contestare il diniego all’autotutela impugnato in primo grado, posto che – comunque – non poteva esserle accordato in sostituzione a L. Immobiliare il bene della vita da essa richiesto.

Tale considerazione finale rende pertanto il ricorso in primo grado proposto da C. P. inammissibile per difetto di interesse.

5. In dipendenza della peculiarità della fattispecie, le spese e gli onorari del giudizio sono integralmente compensati tra tutte le parti in entrambi i gradi di giudizio, ferma peraltro restando l’irripetibilità del contributo unificato di cui all’art. 9 e ss. del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge come da motivazione e, per l’effetto, dichiara inammissibile il ricorso proposto in primo grado.

Compensa integralmente tra le parti le spese e gli onorari del giudizio.

Dichiara irripetibile il contributo unificato di cui all’art. 9 e ss. del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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