Cons. Stato Sez. IV, Sent., 02-09-2011, n. 4949 Compensi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Con ricorso al Giudice territoriale la dott.ssa C. I. chiedeva l’accertamento del proprio diritto a percepire il trattamento economico di magistrato di Tribunale dopo tre anni, 2^ classe, integrato dall’assegno personale pensionabile, non rivalutabile, di Lire 55.961.796 e per la condanna dell’Amministrazione intimata al pagamento delle somme dovute a titolo di differenze retributive tra il trattamento di cui sopra e quello di fatto ad essa corrisposto a decorrere dal 25 gennaio 1997, con interessi e rivalutazione fino al soddisfo.

2. – Con la sentenza in epigrafe il TAR Puglia ha respinto il ricorso sostenendo che, nel caso di specie, la determinazione dell’assegno ad personam spettante alla ricorrente, stante la maggior retribuzione conseguita presso l’Amministrazione di provenienza (Avvocatura dello Stato), non poteva che essere retrodatata alla data di effettiva riammissione in servizio della stessa ricorrente (25 gennaio 1997) e commisurata allo stipendio effettivamente percepito da tale data siccome attribuita la relativa qualifica di "Giudice di Tribunale" con provvedimento avente effetti retroattivi.

Pertanto, è errata la pretesa della ricorrente di vedersi riconosciuto l’assegno ad personam con riferimento alla qualifica di "Uditore dopo sei mesi" pur percepita nel momento storico in cui è avvenuto il rientro nel ruolo magistratuale, in virtù del decreto di riammissione.

Ha soggiunto che l’errore commesso dalla ricorrente è nell’interpretazione della parola "…spettante…" (contenuta sia nell’art. 202 del T.U. n.3 del 1957, sia nell’art. 3, comma 57, della legge n. 537 del 19939) che va, nel caso di specie, riferita al momento di decorrenza retroattiva, a fini giuridici ed economici, della qualifica di "Magistrato di Tribunale" dal 25 gennaio 1997, nonché nell’enfatizzare il concetto di "…retribuzione percepibile…" (alla stregua del quale la retribuzione di paragone sarebbe solo quella del "… primo mese di riammissione in servizio…") tenuto conto che l’Amministrazione ha considerato anche il servizio già prestato dalla ricorrente fino al 1° maggio 1991, quale uditore giudiziario, in virtù del primo rapporto di servizio.

In breve, ha affermato che a seguire la tesi della ricorrente, questa, pur percependo con effetto retroattivo dal 25 gennaio 1997 (data di rientro in magistratura) lo stipendio base ben maggiore di "Magistrato di Tribunale", in virtù del decreto di promozione a tale qualifica, si vedrebbe calcolato l’assegno ad personam con riferimento, invece, alla minor consistenza dello stipendio base di uditore giudiziario percepito per effetto del (primo) decreto di riammissione in Magistratura.

3. – Con un unico ed articolato motivo di appello la dott.ssa I. ha chiesto la riforma della sentenza impugnata sostenendo:

– che, correttamente interpretando l’art. 202 del TU n. 3 del 1957 sarebbe "…rilevante la differenza che intercorre tra l’ultimo stipendio goduto nella carriera di provenienza ed il primo stipendio che compete nella nuova carriera, onde assicurare la percezione ininterrotta del medesimo trattamento economico già goduto…";

– che, applicando correttamente l’art. 3, commi 57 e 58, della legge n. 537, la somma spettante quale assegno ad personam sarebbe quella individuata con il DM 3 aprile 1997 (inquadramento con qualifica di uditore giudiziario), unica idonea a rendere concreto nel caso in esame il divieto di reformatio in pejus del trattamento economico già maturato nell’Amministrazione di provenienza ed a rendere palese anche la contraddizione venutasi a creare con il successivo DM 24 luglio 1998 (di promozione a Magistrato di Tribunale dalla stessa data di primo inquadramento del 25 gennaio 1997) che, invece, ha ridotto l’assegno ad personam;

– che la locuzione "…stipendio percepibile…" andrebbe intesa come stipendio "..spettante al dipendente in applicazione degli istituti economici e normativi propri della qualifica di nuovo inquadramento…", nella specie quella di uditore giudiziario ex DM di (re)inquadramento nella Magistratura;

– che, in sintesi, la sentenza impugnata meriterebbe di essere riformata perché il TAR non avrebbe considerato che l’inquadramento della dott.ssa I. nella qualifica di uditore giudiziario dopo sei mesi, con l’attribuzione del relativo trattamento economico, non ha costituito una posizione fittizia o figurata, meramente formale e funzionale al successivo inquadramento superiore, ma ha identificato l’effettiva e definitiva posizione giuridica, all’atto della riammissione nell’Ordinamento Giudiziario.

4. – Si è costituito il Ministero della Giustizia che con memoria ha argomentato in ordine all’infondatezza delle critiche mosse dall’appellante alla sentenza impugnata che meriterebbe, dunque, di essere confermata.

5. – Alla pubblica udienza del 7 giugno 2011 l’appello è stato introitato per la decisione.

6. – Prima di procedere all’esame della questione di diritto proposta dalle parti giova riassumere brevemente, in punto di fatto, la vicenda dalla quale essa si è originata.

La dott.ssa C. I., nominata uditore giudiziario con DM 7 giugno 1989, espletava il prescritto tirocinio fino al 1° maggio 1991.

Il 2 maggio 1991 veniva nominata Procuratore dello Stato, a seguito di opzione ex art. 211 del R.D. n. 12 del 1941, ed assumeva servizio presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Campobasso.

A seguito di concorso conseguiva dal 10 febbraio 1993 la nomina ad avvocato dello Stato alla I^ classe di stipendio e poi dal 1° febbraio 1996 alla II^ classe.

A domanda veniva riammessa in Magistratura con delibera del CSM del 23 ottobre 1996 ed in data 25 gennaio 1997 assumeva servizio presso la Pretura di Lecce con inquadramento nella qualifica di "…uditore giudiziario dopo sei mesi…".

Con provvedimento del 3 aprile 1997 l’Amministrazione attribuiva all’appellante, dal 25 gennaio 1997, sia lo stipendio di Uditore Giudiziario che l’assegno ad personam, determinando quest’ultimo in misura pari alla differenza tra lo stipendio in godimento presso l’Amministrazione di provenienza (Avvocatura dello Stato) e quello spettante nella citata nuova posizione di Uditore, e cioé in lire 55.961.796.

Successivamente, su delibera del CSM del 10 giugno 1998, con DM 24 luglio 1998 conseguiva la nomina a Magistrato di Tribunale dal 25 gennaio 1997 (cioè dalla data di presa di possesso, all’atto della riammissione in Magistratura, delle funzioni giudiziarie presso la Pretura Circondariale di Lecce) con rideterminazione sia dello stipendio spettante in virtù di detta qualifica, sia dell’assegno personale pensionabile che, coerentemente con il nuovo parametro di riferimento, veniva ridotto da L. 55.961.796 (inizialmente riconosciute in rapporto allo stipendio di uditore giudiziario) a L. 16.806.652.

7. – Tutto ciò precisato in punto di fatto, ritiene il Collegio che l’appello non meriti di essere accolto per le seguenti considerazioni.

Può convenirsi con il primo Giudice che è errata l’interpretazione fornita dalla ricorrente della parola "…spettante…", di cui alle norme applicabili dell’art. 202 del TU n.3 del 1957 e dell’art. 3, commi 57 e 58, della legge n. 537 del 1993, in quanto con essa si perviene ad un’applicazione di dette norme condizionata dall’esclusiva valutazione della singola espressione utilizzata dal legislatore e non anche rivolta ad individuare la ratio sinergicamente attribuita dal legislatore stesso al complesso di dette disposizioni, al fine di individuare correttamente la misura concreta dell’assegno ad personam effettivamente spettante a chi, rientrando nel ruolo cui era già appartenuto (Magistratura), debba restare immune da ogni reformatio in pejus del livello di retribuzione nel frattempo acquisito nell’Amministrazione di provenienza (Avvocatura erariale).

Ed invero, consonando con le considerazioni espresse dal TAR, può osservarsi che la quantificazione dell’assegno ad personam non va operata, nel caso di specie, avendo a riferimento il momento storico in cui è avvenuta la (formale) riammissione in servizio della dott.ssa I. e la qualifica da essa formalmente riconosciuta nel relativo momento storico ("Uditore Giudiziario"), bensì considerando l’effettivo status giuridico definitivamente acquisito dal citato Magistrato alla data del 25 gennaio 1997 (di riammissione in servizio) che non è quello del Magistrato con qualifica di "Uditore Giudiziario" (attribuita con il DM 3 aprile 1997 di (re)inquadramento nei ruoli della magistratura ordinaria), bensì quella di "Magistrato di Tribunale", tenuto conto che tale ultima qualifica è stata riconosciuta con effetti retroattivi dalla citata data del 25 gennaio 1997 e cioè dalla (stessa) data di (ri)presa di possesso delle funzioni giudiziarie presso la Pretura Circondariale di Lecce, in conseguenza della riammissione in Magistratura.

Dunque, a ben vedere, non sussiste alcuno iato, neppure temporale (tra il reinquadramento nei ruoli della Magistratura ed il momento di determinazione dell’assegno ad personam spettante all’appellante) sul quale poter fondare la pretesa avanzata dall’appellante, considerato che l’Amministrazione non ha ritenuto neutro, all’atto della riammissione di quest’ultima in Magistratura, il periodo di servizio di uditore giudiziario già prestato in costanza del primo rapporto di servizio.

Diversamente opinando, la dott.ssa I., pur percependo con effetto retroattivo dal 25 gennaio 1997, data di concreto suo rientro in Magistratura presso la Pretura di Lecce, lo stipendio base (ben maggiore) di magistrato di tribunale, si vedrebbe calcolato l’assegno ad personam con riferimento, invece, alla minor consistenza dello stipendio base dell’uditore giudiziario, sol perché quella è stata la qualifica formalmente riconosciutale con il primo decreto di sua riammissione in Magistratura, con il conseguente concretizzarsi di un’ipotesi di indebito arricchimento chiaramente contrastante con la ratio delle norme esaminate, alla stregua della quale rileva la qualifica effettivamente posseduta all’atto del rientro in ruolo che, nel peculiare caso in esame, come si è visto, è quella di Magistrato di Tribunale, e non quella di Uditore Giudiziario, essendo stata la seconda qualifica "sostituita", per così dire, dalla prima con pari decorrenza non solo giuridica, ma anche a fini economici.

8. – In conclusione, può ribadirsi che l’appello è infondato e può disporsi, quanto alle spese del presente grado di giudizio, che le stesse siano compensate tra le parti, attesa la complessità fattuale ed anche giuridica della fattispecie, in considerazione della non immediata intelligibilità delle disposizioni regolanti la fattispecie esaminata.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello n. 10816 del 2001, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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