Cons. Stato Sez. IV, Sent., 02-09-2011, n. 4938 Edilizia e urbanistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con unico ricorso proposto innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio la società srl C. P. e la società srl C. C. D. C. agivano per l’accertamento dell’inadempimento dell’accordo sottoscritto in data 13 maggio 1998, comportante adozione e approvazione di variante al p.r.g.; esse agivano anche per l’annullamento della delibera consiliare del Comune di Monte Porzio Catone n.29 del 2003 di adozione della variante, delle delibere consiliari 50 del 2004 e 43 del 2006 (di controdeduzioni alle osservazioni dei privati), della deliberazione di Giunta Regionale n.242 del 2008 di approvazione della suddetta variante.

In fatto, era avvenuto che le società ricorrenti, proprietarie di superficie ricadente in area in zona estensiva rada 1 (nel periodo precedente la su menzionata variante), avevano presentato due piani di lottizzazione; successivamente, in data 13 maggio 1998 esse erano addivenute ad un accordo con il Comune ai sensi dell’art. 11 della legge n.241 del 1990.

Con tale accordo, si stabiliva che la C. P. srl avrebbe presentato sull’area interessata un nuovo progetto per la realizzazione di un albergo o complesso alberghiero, sostitutivo del progetto precedente; entrambe le società intendevano realizzare il progetto relativo alla installazione di ombrai e serre, nonché una struttura destinata alla commercializzazione di prodotti attinenti all’attività vivaistica, con volume pari all’indice di fabbricabilità 0,20 mc/mq relativo all’intero terreno.

In attuazione dell’accordo veniva presentato in data 19 maggio 1998 il progetto edilizio per la realizzazione di un albergo.

In data 1 marzo 2000 si concludeva la conferenza di servizi, ben oltre il termine stabilito nell’accordo con il Comune.

Nel 2003 il Comune adottava la delibera consiliare n.59 relativa alla variante generale, in cui le aree delle società istanti erano classificate zona H, sottozona H1A – attrezzature turistichericettive- e sottozona H1E – commerciale florovivaistica – ambedue con indice fondiario pari a 0,8 mc/mq.

Le due società pertanto presentavano osservazioni al fine del ripristino della originaria destinazione, che non venivano accolte.

A seguito di tali atti ritenuti lesivi dei propri interessi, le società ricorrevano, come detto, innanzi al giudice amministrativo di primo grado, proponendo le seguenti censure: la violazione dell’art. 11 l.n.241 del 1990, il vizio di eccesso di potere, la violazione e falsa applicazione delle norme di pianificazione urbanistica, la illogicità della motivazione.

Nel ricorso deducevano che l’amministrazione avrebbe provveduto senza considerare il venir meno dell’accordo per sua inadempienza e senza tenere nella dovuta considerazione le caratteristiche della zona confinante.

Il giudice di primo grado accoglieva il ricorso, motivando sulla base della fondatezza delle deduzioni delle ricorrenti.

Secondo il primo giudice, infatti, la nota del 15 dicembre 2009 n.21449 del Comune smentiva la tesi, sostenuta dalla medesima amministrazione comunale, riguardo la mancanza di conoscenza della esistenza dell’accordo del 13 maggio 1998, di cui si lamentava l’inadempimento.

Il giudice di primo grado evidenziava in sentenza altresì che le determinazioni derivanti dal suddetto accordo, volte alla conclusione dell’iter procedimentale – tra cui la previsione di un termine per la conferenza di servizi e per la conclusione del procedimento – non risultavano adottate, lasciando così aperto il procedimento e condizionando sia le ulteriori fasi evolutive della vicenda che i successivi atti del Comune, che erano poi stati pregiudizievoli alle società ricorrenti.

Avverso tale sentenza, ritenendola errata e ingiusta, propone appello l’amministrazione comunale del Comune di Monte Porzio Catone, affidandosi ai seguenti motivi di appello.

L’appello delinea in primo luogo la vicenda amministrativa che ha dato luogo alla questione, specificando che l’accordo del 13 maggio 1998 era distinto in due parti e due oggetti.

Da un lato esso aveva carattere procedimentale, preparatorio al rilascio della concessione edilizia sul progetto di albergo che la società C. P. avrebbe presentato su parte del terreno di sua proprietà; dall’altro lato, venivano espresse valutazioni di compatibilità tra gli indirizzi della futura pianificazione urbanistica comunale e la richiesta, avanzata da entrambe le società, di poter realizzare su altri terreni adiacenti alcune strutture vivaistiche con attività commerciale connessa. Secondo l’appello, per tale secondo aspetto, l’accordo del 13 maggio 1998 non potrebbe rivestire la natura di accordo ex art. 11 su citato, che non può riguardare l’esercizio della pianificazione urbanistica, condizionandone il futuro svolgimento.

Con un primo motivo di appello, si sostiene la erroneità della sentenza di primo grado, laddove ha ritenuto che il termine fissato per la conclusione della conferenza di servizi doveva ritenersi essenziale.

In fatto, in primo luogo, non si tratta di termine intrinsecamente essenziale; in secondo luogo, difetta il requisito della imputabilità e colpevolezza; in terzo luogo, l’ente comunale non può rispondere del ritardo di altre amministrazioni coinvolte nel procedimento.

Con altro motivo di appello (pagina 12 e seguenti dell’atto di appello) si deduce – oltre che la inammissibilità del ricorso cumulativo, perché proposto simultaneamente per l’inadempimento dell’accordo e per l’annullamento della variante generale e la inammissibilità perché sono state proposte due azioni, una appartenente alla giurisdizione ordinaria di legittimità e l’altra, quella di inadempimento, appartenente alla giurisdizione esclusiva – la inammissibilità e comunque infondatezza del ricorso originario, in quanto la variante contestata del 2003 non può in alcun modo essere ritenuta collegata all’accordo del 1998, di cui sarebbe una esecuzione indebita, ma si tratta soltanto di nuove scelte di piano legate alla impostazione della variante generale.

La riprova di tale mancanza di collegamento si ricava dalla circostanza che né le osservazioni presentate dalle due società a tale variante, né le controdeduzioni comunali fanno in alcun modo riferimento al suddetto accordo.

Con altra deduzione di appello si sostiene che: le scelte pianificatorie non erano sindacabili nel merito, salvo i limiti di manifesta irragionevolezza o illogicità; non corrisponde al vero che secondo gli strumenti del 1972 tutti i terreni avessero esclusiva destinazione residenziale; il difetto di motivazione per scelte pianificatorie può essere ravvisato soltanto in caso di specifiche aspettative, che nella specie non sussistono.

Si sono costituite le appellate società, chiedendo il rigetto dell’appello perché infondato.

Le parti hanno depositato ulteriori memorie prima della udienza di discussione.

Alla udienza pubblica del 5 luglio 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

1.L’appello proposto dal Comune di Monte Porzio Catone è fondato e può essere accolto nei sensi che seguono.

Al di là del richiamo al principio secondo cui la ammissibilità del ricorso cumulativo va valutata in termini di ragionevolezza e giustizia sostanziale (così ex plurimis, Consiglio di Stato, IV, 27 novembre 2010, n.8251), il Collegio osserva che si può prescindere dall’esaminare i motivi con i quali l’appellante amministrazione deduce la inammissibilità del ricorso originario sotto diversi profili, in quanto il gravame è comunque fondato nel merito, quanto alla inesistenza di un inadempimento all’accordo ex art. 11 L.n.241 del 1990 del 1998, con conseguente rigetto del ricorso originario.

Si può altresì prescindere altresì dal valutare la richiesta di inutilizzabilità della ultima memoria depositata dalle società appellanti, perché oltre i termini di cui all’art. 73 del cpa, in quanto essa è ininfluente ai fini del decidere.

2. E’ fondato il primo motivo di appello, con il quale si deduce la insussistenza della violazione del termine essenziale.

Sotto un primo profilo, deve invero negarsi che il termine previsto per la conclusione della conferenza di servizi potesse ritenersi essenziale nella volontà delle parti.

Dall’accordo del 13 maggio 1998 si evince che (punto 4): "Il Comune convocherà, non appena presentato il progetto dell’albergo che dovrà avvenire entro 19 giorni dalla data del presente accordo, apposita conferenza di servizi ai sensi della legge 142/90 il cui iter amministrativo dovrà avere termine entro la fine del mese di luglio 1998".

Dal tenore e dalla interpretazione secondo legge della suddetta clausola (da intendersi ex art. 1362 codice civile secondo il senso letterale delle parole e la comune intenzione delle parti), il termine indicato per la conclusione della conferenza di servizi non può essere ritenuto essenziale per volontà delle parti né per sua natura, non evincendosi tale caratteristica dal tenore della clausola.

Se è vero che la essenzialità del termine per l’adempimento della prestazione prescinde, una volta anticipatamente valutata dai contraenti che abbiano inserito tale clausola (ma così non è nella fattispecie), dalla indagine della importanza dell’inadempimento (così Cassazione civile, III, 18 febbraio 2011, n.3993), devono comunque essere accertati la sussistenza e la imputabilità dell’inadempimento.

Come si desume dalla normativa in materia, la conferenza di servizi costituisce un modulo procedimentale che coinvolge varie amministrazioni, convocate, nella vicenda, alla prima seduta prevista per il 24 maggio 1998.

L’appellante amministrazione comunale non poteva essere ritenuta responsabile procedimentalmente per comportamenti di soggetti terzi, una volta mantenuto un comportamento responsabile e diligente, consistente nella fissazione della scansione delle fasi procedimentali che da essa amministrazione dipendevano (id est, nella convocazione in breve termine della prima seduta, ciò che era nella sua potestà e disponibilità).

Come deduce l’appello, alla seduta del 24 giugno 1998 le altre amministrazioni non si sono presentate e in quella sede si è dato atto della esistenza di quanto osservato per le vie brevi dalla Regione Lazio, con riguardo ai fatti impeditivi dovuti alla incidenza delle previsioni del Piano Territoriale Paesistico e dei vincoli paesaggistici (in tal senso depone quanto rappresentato dal Geom. Cupellini alla conferenza di servizi del 24 giugno 1998 sulla impossibilità di rilasciare autorizzazioni e pareri paesaggistici fino alla data di approvazione dei Piani Paesistici).

Pertanto, considerata sia la esiguità del termine di soli settantacinque giorni, previsto per la conclusione della conferenza di servizi (il reale interesse per la costruzione dell’albergo era per la occasione del Giubileo del 2000) che la inimputabilità per comportamenti altrui, difetta altresì l’inadempimento colpevole, anche per la ipotesi che dovesse ritenersi sussistente ciò che già si è negato, e cioè la essenzialità del termine.

3.Sono altresì fondati gli altri motivi di appello con i quali si contesta la conclusione del primo giudice di inadempimento di quanto previsto dall’accordo del 1998.

L’appello deduce che: 1) la variante contestata del 2003 non può in alcun modo essere ritenuta collegata all’accordo del 1998, ma si tratta soltanto di scelte di piano successive, legate alla impostazione della variante generale; 2) è insindacabile la scelta di piano effettuata dall’amministrazione e quindi non sussiste l’asserito difetto di motivazione; 3) l’accordo del 13 maggio 1998 non poteva assumere valenza vincolante in relazione ai poteri di pianificazione (pagina 7 dell’appello); 4) non tutti i terreni in questione avevano destinazione residenziale sulla base degli strumenti del 1972.

Le doglianze, in punto di diritto e in punto di fatto, sono fondate.

Secondo l’opinione di questo Collegio giudicante, coglie nel segno la deduzione di parte appellante, che sostiene che la variante del 2003 non poteva essere ritenuta collegata all’accordo del 1998, come si evince dalla constatazione che né le osservazioni presentate dalle due società a tale variante (si fa riferimento per esempio a quelle presentate in data 29 novembre 2003 dalla C. P. srl depositate in atti), né le controdeduzioni comunali fanno in alcun modo riferimento al suddetto accordo o al suo inadempimento.

E’ da condividersi anche la conclusione di parte appellante circa la insussistenza di impegni assunti – sulla base del più volte menzionato accordo procedimentale, datato 13 maggio 1998 – relativamente alla successiva e futura attività pianificatoria, se tale voleva essere la domanda proposta in primo grado.

Al punto 3 dell’accordo del 13 maggio 1998 si dispone che "L’Amministrazione Comunale ritiene compatibili con i proprio indirizzi programmatici di politica del territorio gli interventi richiesti (dalle due società) ed avvierà le procedure amministrative conseguenti alle richieste sopra menzionate sia per quelle compatibili con l’attuale PRG (albergo) che quelle da determinare in sede di variante generale al PRG (vivaio e strutture per attività commerciale connessa)".

Con riguardo all’impegno sulla futura politica del territorio, costituisce principio di carattere generale che esistano limiti ai contenuti degli accordi che, ai sensi degli articoli 11 e 13 della legge n.241 del 1990, non possono avere ad oggetto i poteri futuri di pianificazione e programmazione, che rappresentano, per volontà espressa di legge, il punto di raccordo tra livello politico e livello amministrativo (così, ex plurimis, Consiglio di Stato, IV, 9 dicembre 2002, n.6685).

E’ condivisibile anche l’affermazione del Comune appellante con la quale si enuncia il principio secondo cui le scelte effettuate dalla pubblica amministrazione in sede di formazione ed approvazione dello strumento urbanistico generale sono accompagnate da un’amplissima valutazione discrezionale che, nel merito, appaiono insindacabili e che sono per ciò stesso attaccabili solo per errori di fatto, per abnormità e irrazionalità delle stesse.

In ragione di tale discrezionalità, l’Amministrazione non è tenuta a fornire apposita motivazione in ordine alle scelte operate nella predetta sede di pianificazione del territorio comunale, se non richiamando le ragioni di carattere generale che giustificano l’impostazione del piano (da ultimo, Consiglio di Stato sez. IV, 16 febbraio 2011, n. 1015); né, nella specie, dovevano ritenersi sussistenti particolari doveri motivazionali sulla base del pregresso accordo, del quale, come visto, in alcun modo si era fatta menzione durante tutto l’iter procedimentale successivo.

Infine, in punto di fatto e per completezza, si osserva che il Comune appellante ha rilevato nell’appello l’erroneità dell’affermazione del ricorso originario, laddove sostiene che i terreni oggetto di causa avessero tutti, nel piano regolatore generale del 1972, esclusiva destinazione residenziale, per farne derivare una illegittima e immotivata variazione peggiorativa.

Al contrario, il Comune deduce, non adeguatamente smentito dalle parti appellate, che i terreni oggetto di causa nel piano regolatore del 1972 non avevano una esclusiva destinazione residenziale, ma, come si evince dallo stralcio planimetrico del 1972, le norme tecniche dell’epoca non davano specifiche indicazioni sui tipi di destinazione, permesse o vietate, nelle varie zone del piano regolatore generale.

4.Per le considerazioni sopra svolte, l’appello va accolto e, in conseguenza, va respinto il ricorso originario.

La condanna alle spese del doppio grado di giudizio segue il principio della soccombenza; le spese sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione quarta, definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, così provvede:

accoglie l’appello e, in conseguenza, in riforma della impugnata sentenza, respinge il ricorso originario.

Condanna le società appellate al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio, liquidandole in complessivi euro quattromila.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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