Cass. pen., sez. I 15-03-2007 (02-03-2007), n. 11273 Esecuzione differita al termine di espiazione pena – Modifica anticipata del contenuto della misura da parte del magistrato di sorveglianza

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

OSSERVA
I. A.W., di nazionalità tedesca, è stato condannato il 10 aprile 1990 dalla corte di assise di appello di Venezia alla pena di anni ventisette di reclusione, previo riconoscimento della diminuente del vizio parziale di mente, per una serie di delitti gravissimi (concorso in plurimo omicidio, in strage e in resistenza a pubblico ufficiale) commessi tra il 1982 e il 1984, con l’applicazione a pena espiata della misura di sicurezza dell’assegnazione a una casa di cura e Custodia per la durata di anni tre e della conseguente espulsione dal territorio dello Stato, al compimento di tale misura.
Il magistrato di sorveglianza di Padova, con ordinanza del 12 gennaio 2006, nell’impossibilità di affermare la persistenza di un quadro di infermità mentale (essendo avvenuto durante l’espiazione della pena un miglioramento delle sue condizioni di salute psichica) ma persistendo la sua pericolosità sociale (non neutralizzata dal passaggio del tempo), decideva di assegnare il condannato a una casa di lavoro per la durata di anni tre, confermando la misura di sicurezza dell’espulsione dal territorio dello Stato.
A seguito di impugnazione dell’ A., il tribunale di sorveglianza di Venezia, con l’ordinanza qui impugnata (che è del 26 luglio 2006), rigettava l’appello, osservando: 1) che correttamente era stata trasformata la misura di sicurezza originaria del ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario con quella dell’assegnazione a una casa di lavoro anziché a una colonia agricola, avuto riguardo al venir meno di quello stato di seminfermità mentale ritenuto a suo tempo dai giudici della cognizione. Non c’erano motivi per ritenere che il sistema delineato dall’art. 212 c.p. riguardasse solo la misura di sicurezza in corso di esecuzione e non anche quella disposta ma non ancora eseguita; 2) che altrettanto correttamente era stata motivata la ritenuta sussistenza in capo al condannato di un grado di pericolosità sociale tale da legittimare l’applicazione di una misura di sicurezza detentiva in luogo di una misura di sicurezza non detentiva, come l’invocata libertà vigilata, avuto riguardo alla gravità dei reati commessi, allo spiccatissimo livello del dolo e alla condotta serbata post crimina patrata. Il tribunale evidenziava in particolare che l’assenza di riflessione sulle condotte antigiuridiche poste in essere ispirate a un’ideologia nazista di tipo paranoico realizzasse una zona di pericolosissimo buio, tale da condizionare pesantemente il giudizio prognostico che la magistratura di sorveglianza è tenuta ad effettuare quando è chiamato a decidere sulla permanenza e sul grado di pericolosità sociale di un condannato; 3) che correttamente era stata mantenuta ferma la misura di sicurezza dell’espulsione dal territorio dello Stato statuita a suo tempo in sede di cognizione, dato che essa è cumulativamente applicabile con altre misure di sicurezza ai sensi dell’art. 209 c.p., comma 2.
II. Avversò l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l’A., il quale deduce, sotto un unico profilo di violazione dell’art. 69 Ord. Pen., comma 4, dell’art. 205 c.p. e dell’art. 212 c.p., commi 2 e 3, che l’art. 69 Ord. Pen., comma 4 non consente al magistrato di sorvegliarla un potere generale di applicazione, esecuzione, trasformazione e revoca delle misure di sicurezza statuite dal giudice della cognizione, e, in particolare, non gli attribuisce il potere di trasformare una misura detentiva terapeutica (qual è l’assegnazione a una casa di cura e custodia) in una misura detentiva non terapeutica (qual è l’assegnazione a una casa di lavoro), non potendo ritenersi, stante l’identico carattere afflittivo delle due misure, che il potere di trasformazione costituisca una modalità di esercizio per così dire "graduato" del generale potere di revoca attribuito al magistrato di sorveglianza. La stessa Corte costituzionale, nei suoi numerosissimi interventi in questa materia, ha escluso la possibilità di qualsiasi inconsueta mutazione di questo tipo, essendosi limitata a rimuovere alcuni rigidi automatismi previsti dall’art. 222 c.p., comma 1 (come quello di far discendere dal proscioglimento per infermità mentale per un delitto che comporti una pena edittale superiore nel massimo a due anni l’applicazione della misura dell’ospedale psichiatrico giudiziario per un periodo minimo di due anni), senza incidere sul contenuto degli artt. 212 e 216 c.p. Ed invero, contrariamente a quanto affermato dal tribunale, l’art. 212 c.p. riguarda la trasformazione di una misura di sicurezza già in corso di esecuzione e non il caso de quo, che concerne una misura di sicurezza non ancora iniziata. Ma inapplicabili al caso di specie sarebbero anche gli artt. 212 e 211 bis c.p. che riguardano i diversi casi in cui una patologia psichiatrica sia insorta o prima dell’esecuzione della misura (art. 211 bis c.p., comma 2) ovvero in corso di esecuzione di essa (art. 212 c.p., commi 2 e 4).
Secondo il ricorrente, non ha senso far riferimento all’art. 212 c.p., comma 3, che ha un’applicazione specifica e riguarda in ogni caso una misura di sicurezza non terapeutica (l’assegnazione a una casa di lavoro) che non gli era mai stata applicata né con la sentenza di condanna né con un provvedimento successivo. Il tenore letterale dei vari commi dell’art. 212 c.p. non consente una lettura disgiunta di essi: il comma 3 della norma, cui fa riferimento l’ordinanza impugnata, ha un’applicazione circoscritta al caso in cui il condannato, già destinatario di una misura di sicurezza detentiva, sia affetto da una patologia psichiatrica che successivamente viene meno, tanto da imporre la necessità di applicare nuovamente la misura di sicurezza detentiva.
Sempre secondo il ricorrente, non sussistevano i presupposti richiesti dall’art. 215 c.p., ult. comma, dagli artt. 216 e 226 c.p., dall’art. 231 c.p., comma 2, e dall’art. 233 c.p., comma 2, per applicare la misura di sicurezza della casa di lavoro; né tale misura poteva essere applicata ex novo, non rientrando egli in nessuna delle categorie previste dalla legge per l’applicazione di essa.
III. Il caso sottoposto all’esame di questa Corte è se, una volta intervenuta una sentenza di condanna che faccia seguire all’espiazione della pena principale l’esecuzione di una misura di sicurezza terapeutica (nella specie: l’assegnazione a una casa di cura e custodia) in virtù del riconoscimento della diminuente del vizio parziale di mente, sia consentito al magistrato di sorveglianza che abbia constatato il venir meno dell’infermità mentale del condannato, trasformare l’originaria misura di sicurezza detentiva terapeutica in una diversa misura detentiva non terapeutica (nella specie: l’assegnazione a una casa di lavoro), stante la ritenuta persistenza della sua pericolosità sociale, niente affatto neutralizzata dal passaggio del tempo.
L’ordinanza impugnata ha risposto di sì, richiamando l’art. 212 c.p., comma 3, che si applica, a suo dire, sia quando è stata applicata una misura di sicurezza detentiva e in corso di esecuzione sopravvenga (comma 2) o venga meno (comma 3) un’infermità psichiatrica, sia quando sia stata disposta una misura di sicurezza detentiva ma questa in concreto non è stata ancora eseguita (ad esempio, per irreperibilità del condannato, per differimento obbligatorio o facoltativo dell’esecuzione della pena, o per qualsiasi altra causa).
Di contrario avviso è il ricorrente, il quale sostiene l’inapplicabilità nel suo caso della prescelta misura di sicurezza detentiva dell’assegnazione a una casa di lavoro, vigendo in materia di misure di sicurezza il principio di stretta legalità e di tassatività della fattispecie, enunciati dall’art. 199 c.p. e dall’art. 25 Cost., ult. comma, con conseguente divieto di analogia sia per quanto concerne l’individuazione delle singole misure di sicurezza applicabili, sia per quanto concerne i presupposti per la loro applicazione.
Ciò premesso, si osserva.
Della trasformazione delle misure di sicurezza si occupa in modo specifico l’art. 212 c.p., commi 2 e 3: il primo dispone che ove la persona assoggettata a misura di sicurezza detentiva sia "colpita da un’infermità psichica, il giudice ne ordina il ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario ovvero in una casa di cura o di custodia"; l’art. 212 c.p., comma 3 aggiunge che una volta "cessata l’infermità, il giudice, accertato che la persona è socialmente pericolosa, ordina che essa sia assegnata a una colonia agricola o casa di lavoro, ovvero a un riformatorio giudiziario, se non crede di sottoporla a libertà vigilata".
La dottrina prevalente ha criticato la disciplina dettata dall’art. 212 c.p., comma 2, sia pure con riferimento all’automatismo della previsione concernente il sopravvenne dell’infermità psichica nel corso dell’esecuzione di una misura di sicurezza detentiva (colonia agricola o casa di lavoro) e la scelta tra ospedale psichiatrico giudiziario e casa di cura e di custodia, osservando che il giudizio di pericolosità è strettamente connesso agli indici su cui esso si fonda, suggerendo, in questo come in ogni altro caso di esecuzione di misure di sicurezza, una rivalutazione dei precedenti indizi di pericolosità per stabilire se essi abbiano perduto di significato. Sulla necessità di un giudizio di attualità della pericolosità sociale del sottoposto, e quindi sulla necessità di attuare un controllo costante sulla perdurante sussistenza delle condizioni che legittimano l’esecuzione della misura disposta, secondo il principio del rebus sic stantibus, insiste anche la giurisprudenza, secondo cui le disposizioni che concernono tutte le misure di sicurezze impongono sempre di accertare la persistenza della pericolosità sociale del soggetto riferita sia al momento dell’applicazione della misura che a quello della sua esecuzione (Cass., Sez. I, 2 giugno 1999, Brasili, in CED Cass., n. 215170; Id., Sez. I, 21 settembre 1995, Pm in proc. Lo Cascio, in CED Cass., n. 202429).
Ad avviso del Collegio, le perplessità che la disciplina codicistica della trasformazione delle misure di sicurezza suscita con specifico riferimento alla cessazione dell’infermità psichica del sottoposto (e che è alla base del divario di opinioni che sottende la vicenda giudiziaria in esame) vanno correlate alla ridefinizione dei poteri del magistrato di sorveglianza in ordine all’esecuzione delle misure di sicurezza, quale risulta essere stata operata dalla L. n. 663 del 1986, art. 21 che ha modificato l’art. 69 ordinamento penitenziario (L. n. 354 del 1975), e soprattutto dall’art. 679 c.p.p. Sotto il profilo dell’individuazione in questo organo di quello segnatamente competente rispetto alla trasformazione delle misure di sicurezza non è consentito alcun dubbio, stante il tenore inequivocabile dell’art. 69 ord. pen., comma 4 ("il magistrato di sorveglianza provvede… all’applicazione, esecuzione, trasformazione e revoca, anche anticipata, delle misure di sicurezza"). Se ne trae conferma dall’art. 679 c.p.p., comma 1 il quale prescrive che il magistrato di sorveglianza procede, anche d’ufficio, all’accertamento in concreto della pericolosità sociale del condannato, ogni qualvolta venga in considerazione l’applicazione di una misura di sicurezza che è già stata ordinata con sentenza, ovvero "deve essere ordinata successivamente".
Va da sé che il rinvio alle misure di sicurezza ordinate in un momento successivo rispetto alla sentenza non può significare altro che un richiamo ai casi nei quali, a norma dell’art. 205 c.p., comma 2, le misure di sicurezza possono essere disposte per la prima volta con provvedimento successivo alla sentenza. Cosi interpretato il disposto legislativo, l’obbligo imposto al magistrato di sorveglianza di procedere all’accertamento della pericolosità sociale del condannato non interferisce minimamente con le statuizioni dell’art. 212 c.p., comma 2, alludendo quest’ultimo ai casi nei quali una prima misura di sicurezza è già stata ordinata.
Tale soluzione appare in linea con la ratto dell’art. 679 c.p.p. che, facendo riferimento alte ipotesi in cui la misura di sicurezza "deve essere ordinata successivamente", intende far riferimento indistintamente a tutte le possibili evenienze contemplate dal codice penale, indipendentemente dalla circostanza che con la sentenza siano state irrogate già (altre) misure.
Alla stregua di questi rilievi, è pacifico che è stata attribuita al magistrato di sorveglianza la competenza esclusiva in executivis In tema di misure di sicurezza (diverse dalla confisca ed eccettuati i casi di cui all’art. 312 c.p.) disposte con sentenza o irrogate successivamente. Potendo procedere in ogni momento al riesame della pericolosità del condannato, è evidente che egli possa disporre l’esecuzione della misura più adeguata alla sua personalità, traendo elementi di convincimento per la sostituzione o la revoca delle misure di sicurezza Sulla base delle disposizioni degli artt. 133 e 203 c.p. Nulla vieta al magistrato di sorveglianza di sostituire il ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario con una misura di sicurezza non detentiva (la libertà vigilata) allorché sia stata accertata la diminuzione della sua pericolosità sociale. Così, cessata l’infermità psichica, il magistrato di sorveglianza ben può procedere a un nuovo esame della pericolosità e, se questa permane, applicherà la misura della colonia agricola o della casa di lavoro, se non ritiene di applicare solo la libertà vigilata. Quanto all’ampiezza del potere di sostituzione attribuito al magistrato di sorveglianza, si ritiene che allorché una persona condannata a pena detentiva debba essere, subito dopo l’espiazione della medesima, sottoposta a misura di sicurezza detentiva, legittimamente se ne può disporre l’ammissione al regime di semilibertà in alternativa all’internamento, prima che questo abbia inizio (Cass., Sez. I, 16 novembre 1979, Miano, in Giust. pen., 1980, III, 343).
Sulla possibilità di applicare all’ A. la misura di sicurezza dell’assegnazione a una casa di lavoro, è appena il caso di osservare che, a norma dell’art. 216 c.p., comma 1, lett. c), egli rientra sicuramente tra "le persone condannate o prosciolte, negli altri casi indicati espressamente nella legge".
Ne deriva che nessuna violazione del principio di legalità delle misure di sicurezza deve ravvisarsi nel caso de quo, in cui il magistrato di sorveglianza, preso atto della cessazione dell’infermità psichica originaria del soggetto ma del permanere della sua elevata pericolosità sociale, ha deciso di far seguire all’espiazione della pena l’assoggettamento del soggetto a una misura di sicurezza detentiva diversa dalla casa di custodia o cura.
Al rigetto del ricorso seguono le conseguenze di legge, meglio precisate nel dispositivo.
P.Q.M.
Visti gli artt. 606 e 616 c.p.p. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

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