T.A.R. Lombardia Milano Sez. II, Sent., 02-09-2011, n. 2149 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con l’odierno ricorso, notificato il 14.06.2005 e depositato il successivo 11.07.2005, l’esponente ha impugnato il permesso di costruire in epigrafe specificato, assumendone la illegittimità sotto più profili.

Riferisce, in particolare, l’istante, di essere proprietaria dell’immobile sito in Comune di Menaggio, sezione censuaria di Loveno, alla via Diaz n. 44, in prossimità del quale è ubicato l’immobile di proprietà della controinteressata, la quale – in data 16.01.1996 – ha ottenuto dal Sindaco del Comune di Menaggio una concessione edilizia (C.E.) per eseguire lavori di ristrutturazione dell’albergo ivi esistente.

Tale concessione, tuttavia, sarebbe stata oggetto di impugnazione mediante ricorso straordinario al Capo dello Stato, proposta dalla società Studio E., dante causa dell’odierna ricorrente, in relazione all’immobile sopra specificato di via Diaz n.44.

Sempre la stessa soc. Studio E. avrebbe citato in giudizio la sig. Bolgiani dinanzi al Tribunale di Como, sezione di Menaggio, lamentando la violazione delle norme sulle distanze minime dal confine e chiedendo, di conseguenza, la manutenzione nel possesso, da attuarsi mediante la demolizione dell’opera con ripristino delle distanze legali.

Ebbene, stando alla documentazione versata in atti, quanto al primo ricorso, esso è stato accolto, con d.P.R. n. 10849 del 12.10.2001, su conforme parere del Consiglio di Stato e, per l’effetto, è stata annullata la concessione edilizia del 16.01.1996.

Quanto al giudizio possessorio, con sentenza del 28.06.2003 il Tribunale di Como, s.d. Menaggio, preso atto delle risultanze della c.t.u., in accoglimento della domanda proposta da Studio E., ha disposto la manutenzione nel possesso del fondo a favore della ricorrente, al contempo ordinando all’odierna controinteressata di provvedere alla demolizione delle porzioni immobiliari realizzate sulla base della C.E. del 16.01.1996.

Facendo leva sulle suesposte pronunce, l’esponente si duole che l’intimato Comune abbia rilasciato alla controinteressata, in data 10.09.2004 (previo rilascio del decreto di autorizzazione paesaggistica del 27.05.2004), il permesso di costruire n. 2862/2004 per il recupero del sottotetto in epigrafe specificato.

Contro tale atto è, pertanto, rivolto l’odierno gravame, affidato a nove motivi, con cui si deducono plurimi vizi di violazione di legge e di eccesso di potere, sotto più profili.

Si è costituita con controricorso l’odierna controinteressata, controdeducendo con separata memoria alle censure avversarie.

Alla Camera di Consiglio del 27.07.2005 la Sezione ha accolto la formulata domanda cautelare, sul presupposto che "il ricorso si appalesa provvisto di fumus boni juris, per essere stata annullata in seguito a ricorso straordinario la precedente concessione edilizia n. 1958 del 16 gennaio 1996 rilasciata alla sig.ra Marilena Bolgiani, ed in ogni caso in quanto il recupero del sottotetto non è effettuato a fini abitativi, come prescritto dalla legge regionale, essendo l’edificio sottostante un complesso alberghiero".

Tale ordinanza è stata appellata dalla controinteressata al Consiglio di Stato, il quale ha respinto l’appello, sul presupposto che: "a parte ogni altro aspetto, il recupero del sottotetto, non effettuato ai fini abitativi, è al di fuori dell’ambito di applicazione della normativa invocata" (ordinanza n. 1124/2006 IV^ Sez. Consiglio di Stato).

Successivamente, entrambe le parti costituite hanno depositato agli atti la sentenza della Corte di Appello di Milano n. 273/2008, del 04.02.2008 che, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Como, s.d. di Menaggio, ha limitato l’ordine di demolizione "al "caso B" dell’allegato 2 della perizia dell’ing. Molteni, come riprodotta in motivazione".

Con memoria depositata il 23.05.2011 la difesa controinteressata ha rilevato come, successivamente alle surriferite decisioni del ricorso straordinario e del giudizio possessorio, la sig.ra Bolgiani avrebbe ottenuto una concessione edilizia in sanatoria ai sensi dell’art. 13 della legge n. 47/1985, rilasciata il 01.12.1997, per cui l’opera qui contestata non rivestirebbe più carattere abusivo.

In ogni caso, la medesima difesa ha sollevato un’eccezione di irricevibilità del ricorso per tardività, nonché, un’eccezione di improcedibilità del ricorso per difetto di interesse all’annullamento del permesso di costruire.

Ha resistito con memoria di replica la ricorrente.

Alla Pubblica udienza del 23.06.2011 il Collegio, sentite le parti presenti, ha trattenuto la causa per la decisione.

Motivi della decisione

Preliminarmente, il Collegio deve soffermarsi sulle eccezioni sollevate dalla difesa controinteressata, e, tra queste, in primo luogo, su quella di irricevibilità del gravame per tardività.

Secondo il patrocinio della sig. Bolgiani, quest’ultima avrebbe presentato al Comune la dichiarazione di inizio lavori sin dal 29.03.2005, provvedendo in pari data all’affissione del cartello innanzi al cantiere, con le indicazioni sul titolo edilizio conseguito. Da tale data, pertanto, avrebbe dovuto decorrere il termine di sessanta giorni per l’impugnazione del permesso edilizio, destinato a scadere, quindi, il 29.05.2005. Poiché l’odierno ricorso è stato notificato il 16.06.2005, lo stesso si rivelerebbe palesemente tardivo. Ciò, tanto più in quanto la ricorrente non contesterebbe particolari caratteristiche dell’opera rilevabili soltanto dall’esame del progetto, bensì la stessa realizzabilità dell’intervento di recupero del sottotetto, già perfettamente risultante dal cartello come sopra esposto.

L’eccezione deve essere disattesa.

È orientamento costante della giurisprudenza del Giudice Amministrativo, condiviso dal Collegio, quello secondo cui la decorrenza del termine per ricorrere in sede giurisdizionale avverso atti abilitativi dell’edificazione si ha, per i soggetti diversi da quelli a favore dei quali l’atto è rilasciato, dalla data in cui si renda palese ed oggettivamente apprezzabile la lesione del bene della vita protetto, la qual cosa si verifica quando sia percepibile dal controinteressato la concreta entità del manufatto e la sua incidenza effettiva sulla propria posizione giuridica (cfr., tra le ultime, Consiglio di Stato, IV^, 5.01.2011 n.18).

Nella specie, è da escludere che possano avere rilievo determinante gli elementi forniti dalla controinteressata, in ordine all’esposizione del cartello di cantiere con l’indicazione dell’intervento di recupero autorizzato, in quanto gli stessi non consentivano alla ricorrente di rendersi conto dell’entità dell’opera (se volta all’esecuzione dei lavori di ripristino in conformità del d.P.R. 12.10.2001 e della sentenza 28.06.2003 del Tribunale di Como o, invece, se in violazione delle suddette pronunce), né, quindi, della sua incidenza sui suoi interessi protetti.

Può passarsi, così, all’esame della seconda eccezione, con cui si deduce la carenza originaria e/o sopravvenuta di interesse alla decisione.

Si argomenta, in tal senso, rilevando come l’intervento assentito col titolo in questa sede gravato sarebbe migliorativo rispetto a quello realizzato in forza della C.E. del 1997, ormai inoppugnabile, prevedendo la sostituzione della copertura a falde con altra piana, con conseguente abbassamento dell’altezza dell’edificio di proprietà Bolgiani. Ancora, si fa poi notare come, siffatta carenza di interesse, sarebbe ulteriormente confermata dalla decisione della Corte di Appello di Milano che, con la già cit. sentenza n. 273/2008, passata in giudicato, ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado, stabilendo che la soluzione corretta sia quella del "caso B", esattamente conforme a quella oggetto del permesso di costruire qui contestato.

L’eccezione è infondata.

È utile, al riguardo, soffermarsi brevemente sul contenuto delle due decisioni poc’anzi ricordate, intervenute in ordine alla vicenda edilizia di che trattasi.

Si, allude, in particolare, in primis, alla decisione del 12.10.2001 n. 10849, resa sul ricorso straordinario, che ha stabilito, in conformità del parere del Consiglio di Stato, che:

– l’ampliamento realizzato su un edificio costruito in aderenza è assoggettato alle prescrizioni di cui all’art. 16.2 delle NTA del Comune di Menaggio (per cui:"…per gli interventi di ampliamento di edifici esistenti e per quelli di nuova costruzione, in tutte le zone di piano, la distanza minima dai confini di proprietà è di m.5,00…. La distanza dai confini potrà essere ridotta fino a 0,00 m. qualora sia intercorso accordo notarile tra i proprietari, regolarmente trascritto nei registri immobiliari, per realizzare edifici in aderenza."), anche nel caso, come quello che qui occupa, in cui la situazione di aderenza tra manufatti edilizi già preesista;

– tra gli interventi di ampliamento rilevanti, ai fini dell’applicazione della predetta norma regolamentare, devono essere ricompresi anche quelli di sopraelevazione, "comportando essi aumento di cubatura".

Dal canto suo, la sentenza della Corte d’Appello di Milano, ha aggiunto (ponendo fine al giudizio possessorio promosso dalla dante causa dell’odierna ricorrente contro la proprietà Bolgiani, e dopo avere anch’essa affermato l’applicabilità al caso de quo della prescrizione delle NTA sugli ampliamenti) importanti statuizioni in ordine alle "modalità della demolizione". Ciò, in quanto essa ha stabilito che la demolizione dovesse attuarsi, non già, secondo la modalità radicale in precedenza condivisa dal primo giudice del possessorio ("ipotesi A", che, in sostanza, riporta la situazione dell’edificio allo status quo ante l’intervento del 1996, con copertura ad unica falda), ma secondo quella conservativa ("ipotesi B"), che limita la demolizione alla sola parte eccedente il livello del muro di confine. E, ciò, sul presupposto che "la sopraelevazione della falda del tetto preclusa dalla citata disposizione regolamentare non può che essere quella operata al di sopra del livello del preesistente muro di confine in aderenza, rimasto, a sua volta, immodificato, e non il quid pluris di volumetria realizzato dall’appellante, nel rispetto dei limiti dei precedenti livelli altimetrici, porzione non soggetta all’obbligo di arretramento dei 5 metri dal confine disposto dalla norma urbanistica invocata nel caso di specie".

Ebbene, tanto premesso, il dedotto difetto di interesse fa leva su un presupposto, tutt’altro che incontestato tra le parti, e consistente nell’asserita, perdurante validità ed efficacia della C.E. del 1997, rispetto alla quale il permesso qui gravato si configurerebbe come migliorativo.

Sennonché, come accennato, l’accertamento di tale presupposto confluisce direttamente nel thema decidendum dell’odierno giudizio e, quindi, sarà oggetto di scrutinio nel prosieguo, senza che possa essere minato, sotto tale aspetto, l’interesse di cui all’art. 100 c.p.c.

Ad analoghe conclusioni deve giungersi quanto alla dedotta improcedibilità, che fa leva sulla sopravvenuta decisione della Corte d’Appello di Milano, che avrebbe, a mente della controinteressata, avallato il progetto di cui al permesso di costruire qui impugnato.

Ciò, in quanto la domanda di annullamento, come sopra formulata, fa leva sull’illegittimità del titolo edilizio rilasciato alla proprietà Bolgiani, in quanto volto a realizzare un recupero a fini abitativi del sottotetto, in violazione sia, della disciplina sulle distanze, che, di quella regionale specificamente volta al recupero "a fini residenziali" dei sottotetti.

Tale ultima questione, tuttavia, è rimasta estranea al cit. decisum della Corte di Appello, per cui, per tale aspetto, deve essere affermata la sussistenza dell’interesse in relazione alla domanda di annullamento qui proposta.

Passando ad esaminare il merito del gravame, nell’ordine proposto dall’esponente, va scrutinato il primo motivo di ricorso, con cui si deduce la violazione e falsa applicazione della legge regionale n.15/1996, nonché, la violazione del principio di legalità e di tipicità degli atti amministrativi e l’eccesso di potere per travisamento, difetto dei presupposti e di istruttoria e carenza di potere.

Ciò, in quanto il titolo edilizio impugnato produrrebbe l’effetto di sanare il volume ricavato dalla controinteressata attraverso un intervento edilizio da ritenersi abusivo, in quanto realizzato sulla base di un titolo annullato col cit. d.P.R.

Il motivo è infondato.

L’art. 1 della legge regionale Lombardia 15 luglio 1996 n. 15 (applicabile ratione temporis al caso che qui occupa, sia pure con le succ. modifiche e integrazioni), volta al recupero a fini abitativi dei sottotetti esistenti, stabilisce (secondo comma) che "negli edifici destinati in tutto o in parte a residenza è consentito il recupero volumetrico a solo scopo residenziale del piano sottotetto esistente" e definisce poi "come sottotetti i volumi sovrastanti l’ultimo piano degli edifici di cui al comma 2".

Ne consegue che, presupposto per il recupero abitativo dei sottotetti, è che sia identificabile come già esistente un volume sottotetto passibile di recupero, cioè di riutilizzo a fini abitativi.

Ciò richiede che il sottotetto abbia, in partenza, dimensioni tali da essere praticabile e da poter essere abitabile, sia pure con gli aggiustamenti che occorrono per raggiungere i requisiti minimi di abitabilità (altezza media ponderale m. 2.40: cfr. art. 2 l.r. 15 luglio 1996 n. 15, oggi art. 63, ultimo comma, legge regionale n. 12/2005).

Solo a queste condizioni il "recupero", che la legge regionale classifica come "ristrutturazione" (art. 3, secondo comma), è effettivamente ascrivibile a tale categoria di interventi, come definita dall’art. 31 della legge n. 457/78 (oggi, art. 3 d.p.r. n.380/01), la quale postula che il nuovo organismo edilizio corrisponda a quello preesistente, senza alterarne in misura sostanziale sagoma, volume e superficie; diversamente l’intervento si risolverebbe non già nel recupero di un piano sottotetto, ma nella realizzazione di un piano aggiuntivo, che eccede i caratteri della ristrutturazione per integrare un intervento di nuova costruzione (così: T.A.R. Lombardia, Milano, n.970 del 02.04.2010, nonché, Consiglio Stato, sez. IV, 30 maggio 2005, n. 2767).

Tanto premesso, ritiene il Collegio che, l’apprezzamento della fondatezza del primo motivo qui scrutinato, è strettamente correlata alla valutazione dell’oggetto dell’intervento assentito col permesso di costruire n. 2862/2004.

In tal senso, è indubbio che, ove l’intervento assentito ricalcasse quello oggetto del titolo poi annullato con la decisione n. 10849/2001 del Presidente della Repubblica, ammettendo il recupero del sottotetto realizzato dalla controinteressata in attuazione della C.E. del 1996 (nonostante la riscontrata violazione della disciplina sulle distanze), il predetto permesso del 2004 si rivelerebbe senz’altro illegittimo, non potendosi annettere alla predetta legge reg. una finalità (di sanatoria) ad essa estranea.

A diversa conclusione si dovrebbe, invece, pervenire, ove l’intervento autorizzato col cit. permesso del 2004 si concretizzasse nel recupero del volume esistente anteriormente all’intervento edilizio oggetto della C.E. del 1996.

Ebbene, come si evince dalle Tavole allegate al permesso di costruire oggetto di contestazione (cfr. in particolare la Tav. 4), la tipologia di copertura autorizzata nel cit. permesso è quella "piana", di cui al "caso B" della cit. sentenza della Corte di Appello, in cui l’altezza del sottotetto da recuperare non sopravanza quella dell’originario muro di confine con la proprietà ricorrente.

Entro i suddetti limiti, infatti, il predetto permesso risulta immune dai vizi dedotti col summenzionato motivo, non rivestendo esso le caratteristiche di una sanatoria, poiché l’abuso edilizio esistente non è stato avallato dal permesso qui in contestazione, che prevede, giova ribadire, un intervento diverso da quello attualmente esistente.

Sul punto, s’impone, poi, una precisazione, nel senso che il Collegio non ritiene di poter condividere l’impostazione di parte controinteressata, secondo cui, successivamente alla C.E. del 1996, la proprietà Bolgiani avrebbe ottenuto una "sanatoria" dell’intervento edilizio esistente, rilasciata dal Comune in data 5.12.1997 (la quale, non essendo stata impugnata da parte ricorrente, avrebbe legittimato l’intervento realizzato conformemente ad essa).

Tale concessione, infatti, come ben emerge dalla documentazione allegata agli atti, non rivestiva alcuna autonomia rispetto all’intervento di cui alla C.E. del 1996, sostanziandosi in una variante di modesta incidenza rispetto all’intervento complessivamente autorizzato con la C.E. del 1996 (consistente nella modifica delle falde di copertura del tetto sul fronte est e sul fronte nord e nell’apertura realizzata sul fronte est).

La richiesta di tale variante, di fatto, si era resa necessaria per far fronte all’ordinanza di sospensione lavori n.1/1997, adottata dal Comune di Menaggio dopo avere riscontrato le succitate difformità, poste in essere nella proprietà Bolgiani, nel corso della realizzazione dell’intervento di cui alla C.E. 1958/1996.

In tali evenienze, si deve ritenere applicabile l’orientamento del Giudice amministrativo, secondo cui il rapporto che lega una concessione edilizia alla successiva variante, si atteggia in maniera differenziata a seconda del concreto contenuto precettivo dell’assenso rilasciato in epoca posteriore, esplicandosi a pieno le conseguenze della categoria patologica dell’ "invalidità derivata ad effetto caducante" soltanto al cospetto di una variante "leggera" (ovvero su aspetti non essenziali), esigendo, per contro, un’autonoma impugnativa le restanti varianti a carattere essenziale (cfr. sul punto, Consiglio Stato, sez. V, 11 marzo 2005, n. 1023, per cui non sempre all’annullamento del titolo edilizio originario consegue di necessità l’insanabile invalidità derivata del secondo: "difatti, se l’annullamento della prima concessione sortiva sicuramente l’effetto della caducazione delle varianti "leggere" (ossia, stando ai sottotipi di varianti alle concessioni edilizie che era dato distinguere all’epoca dei fatti, quella non essenziale e quella in corso d’opera), poiché prive di una loro autonomia dispositiva, non altrettanto si verificava, di converso, nel caso della cd. variante essenziale, laddove l’entità qualitativa e quantitativa delle modifiche apportate al primitivo assenso segnava indubbiamente una cesura nel rapporto di continuità fra i titoli edilizi succedutisi nel tempo").

Ebbene, nel caso che qui occupa, non può ravvisarsi alcuna cesura nel rapporto di continuità fra la C.E. del 1996 e quella del 1997, di guisa che, deve essere affermata l’automatica caducazione di quest’ultima, in conseguenza dell’annullamento, col cit. d.P.R. n. 10849/2001, della prima.

Si può passare, quindi, all’esame del secondo motivo, con cui si deduce, la violazione e falsa applicazione della legge regionale n.15/1996 sotto altro profilo, nonché, l’eccesso di potere per travisamento, difetto dei presupposti e di istruttoria.

Ciò, in quanto, l’intervento autorizzato col permesso di costruire impugnato, sarebbe rivolto al recupero a fini abitativi di un sottotetto abusivo sovrastante un edificio non destinato, né in tutto né in parte a residenza, in violazione della lettera e della ratio della L.R. cit.

L’edificio sottostante il sottotetto di che trattasi, infatti, secondo il ragionamento dell’istante, sarebbe costituito da un complesso alberghiero, denominato Hotel Miralago, inserito nella categoria D/2 del catasto fabbricati.

Sul punto, la difesa della sig.ra Bolgiani ha rilevato l’esistenza di un’unità abitativa presente nel fabbricato adiacente a quello sottostante il sottotetto in questione, adibita a residenza, che consentirebbe di ritenere integrato il presupposto richiesto dall’art.1, comma 2° della L. reg. n. 15/1996 (per cui "Negli edifici destinati in tutto o in parte a residenza è consentito il recupero volumetrico a solo scopo residenziale del piano sottotetto esistente").

Il motivo è fondato.

Il Collegio, valutata tutta la documentazione agli atti di causa, non ritiene di doversi discostare dalla decisione assunta in sede cautelare (confermata, con precipuo riguardo a tale aspetto, dal Giudice d’Appello), non potendo accedere alla tesi della difesa controinteressata, che porta a dilatare l’ambito applicativo della legge regionale n.15/1996 oltre i limiti consentiti dalla natura eccezionale delle relative norme.

In tal senso, va precisato come, il sottotetto oggetto dell’odierno permesso insiste in un corpo di fabbrica distinto da quello su cui è ubicato il sottotetto già adibito a residenza, per cui in nessun senso è possibile ritenere tale sottotetto "sovrastante" l’edificio destinato in tutto o in parte a residenza, ai sensi del combinato disposto dei commi 2° e 4° della L.R. cit.

Le norme introdotte dalla legge regionale n.15/1996, infatti, come già accennato, presentano carattere derogatorio ed eccezionale, per cui le stesse non possono essere applicate oltre i casi e i tempi in esse espressamente considerati (cfr., tra le tante, T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 15 aprile 2003, n. 1007 già cit.).

L’accoglimento della suesposta censura, di carattere sostanziale, esonera il Collegio dall’esame dei restanti motivi, da ritenersi, pertanto, assorbiti.

Per le precedenti considerazioni, il ricorso in epigrafe specificato deve essere accolto, con conseguente annullamento del permesso di costruire n. 2862/2004 con esso impugnato.

Le spese seguono la soccombenza, e sono poste a carico del Comune e della parte controinteressata, nella misura di cui al dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie, con conseguente annullamento del permesso in epigrafe specificato.

Condanna il Comune di Menaggio e la parte controinteressata a rifondere, nella misura del 50% ciascuno, alla parte ricorrente le spese di lite, che liquida in complessivi euro 3.000,00= oneri di legge inclusi.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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