Cass. civ. Sez. III, Sent., 22-12-2011, n. 28322

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

F.A. proponeva al tribunale di Catanzaro, sez. spec. agraria, domanda diretta all’accertamento dell’esistenza di contratto verbale di affitto di fondo rustico intercorso con O.C., proprietario del fondo, e successivamente registrato da esso attore.

Si costituiva O.C. ed assumeva che non di contratto di affitto si trattava, ma solo di vendita di erba, attraverso il pascolo estivo, per l’anno 2004 e chiedeva, con domanda riconvenzionale, la condanna dell’attore al risarcimento del danno nonchè il rilascio del fondo abusivamente occupato.

Il tribunale, con sentenza depositata il 2.4.2008, rigettava la domanda principale e dichiarava improcedibile la riconvenzionale per difetto del tentativo di conciliazione.

Proponeva appello il F.A. ed appello incidentale O. C..

La Corte di appello di Catanzaro, sez. spec. agraria, con sentenza depositata il 24.3.2008, rigettava l’appello principale ed accoglieva l’appello incidentale, condannando il F. al rilascio del fondo in favore di O.C..

Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’attore, che ha anche presentato memoria.

Resiste con controricorso l’intimato convenuto.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e della L. n. 203 del 1982, artt. 27, 56 e 58.

Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto: "dica la S.C. se si possa ritenere esclusa dall’applicazione delle disposizioni della L. n. 203 del 1982 una presunta e generica vendita di erba, fra l’altro nemmeno eccepita dal concedente, di un fondo rustico comunque non provata". 2. Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione della L. n. 203 del 1982, artt. 27, 56 e 58, nonchè dell’art. 416 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., comma 2, ovvero difetto assoluto di motivazione.

Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto: "dica la S.C. se nella ricorrenza di un contratto agrario anche di pascolo, stipulato dopo l’entrata in vigore della L. n. 203 del 1982, avente ad oggetto un fondo rustico si applica automaticamente, come nel caso de quo, l’art. 27 della citata legge, producendo ab origine i suoi effetti sulla misura del canone, sull’effettuabilità ed irrisarcibilità dei miglioramenti e su altri profili del rapporto stesso". 3.1. I due motivi sono inammissibili per mancato rispetto del dettato di cui all’art. 366 bis c.p.c., applicabile alla fattispecie per essere stata la sentenza impugnata pubblicata anteriormente all’entrata in vigore della L. 18 giugno 2009, n. 69.

Ai ricorsi proposti contro sentenze pubblicate a partire dal 2.3.2006, data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006, si applicano le disposizioni dettate nello stesso decreto al capo 1^. Il quesito di cui all’art. 366-bis c.p.c., rappresentando la congiunzione fra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio generale, non può esaurirsi nella mera enunciazione di una regola astratta, ma deve presentare uno specifico collegamento con la fattispecie concreta, nel senso che deve raccordare la prima alla seconda ed alla decisione impugnata, di cui deve indicare la discrasia con riferimento alle specifiche premesse di fatto, essendo evidente che una medesima affermazione può essere esatta in relazione a determinati presupposti ed errata rispetto ad altri. Deve pertanto ritenersi inammissibile il ricorso che contenga quesiti di carattere generale ed astratto, privi di qualunque indicazione sul tipo della controversia, sugli argomenti addotti dal giudice "a quo" e sulle ragioni per le quali non dovrebbero essere condivisi (Cass. civ., Sez. Unite, 14/01/2009, n. 565).

3.2. Nella fattispecie la formulazione dei motivi per cui è chiesta la cassazione della sentenza non soddisfa i requisiti stabiliti dall’art. 366 bis c.p.c., poichè i quesiti di diritto sono astratti e senza riferimento specifico al caso concreto e senza indicazione con riferimento alla fattispecie in esame della regola iuris errata da sostituire con quella esatta, (cfr. Cass. S.U. 16.11.2007, n. 23730)". 4. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta l’erronea valutazione delle risultanze processuali contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo.

Esso si conclude con il seguente quesito: "Dica la S.c. se ricorre il vizio motivazionale ex art. 360 c.p.c., n. 5, allorchè nella stessa sentenza il rapporto controverso viene qualificato ora vendita di erba ed ora contratto di affitto.". 5. Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente lamenta l’omessa, insufficiente lacunosa motivazione circa un fatto controverso. Anche questo motivo si assume che nella sentenza impugnata a volte si parli di vendita di erbe ed a volte di contratto di affitto.

6. I due motivi di ricorso sono manifestamente infondati.

La sentenza impugnata non qualifica promiscuamente il rapporto in questione nei termini sostenuti dal ricorrente. Essa è ben ferma e chiara nel ritenere che il contratto in questione costituisca una vendita di erbe.

7. Con il quinto motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 149 c.p.c. e dell’art. 416 c,.p.c., comma 1 nonchè della L. n. 690 del 1982, art. 8.

Lamenta il ricorrente che sia stata ritenuta erroneamente irrituale la prima notifica dell’atto di citazione, mentre essa era rituale poichè, essendo stata la citazione depositata presso l’ufficio postale in data 6.5.2006 ed essendo stata notificata la raccomandata, cui era conseguito il "rifiuto allo sportello", la notifica doveva ritenersi avvenuta nella data del deposito, e cioè il 6 maggio 2006, e non "decorsi i dieci giorni dal deposito", con conseguente rispetto del termine a comparire per l’udienza del 12.6.2006. 8.1. Il motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile. Va osservato che se, effettuato il deposito presso l’ufficio postale a norma della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 8 dell’atto notificando, non interviene la consegna dello stesso (nel qual caso la notifica va considerata effettuata in quel giorno) la notifica si perfeziona nei confronti del destinatario (ai fini dei termini, adempimenti o comunque conseguenze decorrenti dalla notificazione) "decorsi dieci giorni dalla data di spedizione della lettera raccomandata di cui al comma 2". Qualora tuttavia il destinatario – prima del decorso dei detti dieci giorni – si rechi presso l’ufficio postale e dichiari di rifiutare la consegna del plico depositato (c.d. "rifiuto allo sportello"), poichè nel sistema delle notificazioni il rifiuto del destinatario di riceversi l’atto notificando è equiparato negli effetti alla consegna, deve ritenersi che da questa data del rifiuto si è verificato il perfezionamento della notifica, così come si sarebbe verificato in caso di consegna effettiva, e non dalla data del deposito presso l’ufficio postale, come erroneamente sostenuto dal ricorrente nel motivo di ricorso, nè dal successivo scadere del decimo giorno dalla data di spedizione della lettera raccomandata.

8.2. Nella fattispecie inoltre il ricorrente neppure indica in quale giorno il convenuto si sarebbe recato ad effettuare "il rifiuto allo sportello", per cui sotto questo profilo il motivo è anche inammissibile per genericità. 9. Il ricorso va, pertanto, rigettato ed il ricorrente va condannato al pagamento delle spese del giudizio di cassazione sostenute dal resistente.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione sostenute dal resistente e liquidate in complessivi Euro 3200,00, di cui Euro 200,00 per spese oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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