Cass. civ. Sez. III, Sent., 22-12-2011, n. 28321

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

S.A. conveniva davanti alla Sez. spec. agraria del tribunale di Messina il Comune di Montalbano Elicona chiedendo il riconoscimento e la riconduzione in contratto di affitto, regolato dalla L. n. 203 del 1982, del rapporto agrario asseritamente intercorrente tra lui ed il Comune in relazione alla detenzione del Bosco (OMISSIS) per la custodia e pascolo degli animali di sua proprietà.

Si costituiva il convenuto Comune e chiedeva il rigetto della domanda, assumendo trattarsi non di contratto agrario, ma di vendita di erba.

Il Tribunale rigettava la domanda, ritenendo che nella fattispecie non ricorressero gli elementi dell’affitto, mancando ogni coltivazione del fondo, ma solo della vendita di erbe. La Corte di appello (sez. spec. Agraria) di Messina, adita dall’attore, rigettava l’appello sulla base della stessa motivazione dell’esistenza del contratto di vendita di erba e non di affitto agrario.

Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione S. A., che ha presentato anche memoria. Resiste con controricorso il comune convenuto.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta l’omessa e insufficiente motivazione delle prove e delle richieste istruttorie del ricorrente, la violazione della L. n. 203 del 1982, art. 58 e vizio motivazionale sulla ritenuta unilateralità del comportamento del ricorrente, contrario alla convenzione scritta.

2.1. Il motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile.

Quanto alla mancata ammissione della prova testimoniale va osservato che la corte territoriale ha congruamente motivato, ritenendo irrilevante l’eventuale iniziativa unilaterale del S. di lasciare alcune bestie nel fondo in violazione delle disposizioni contrattuali e che ciò non era idoneo a trasformare un rapporto di vendita di erba in affittanza agraria, caratterizzata dall’opera di semina e concimazione del terreno ovvero di rivitalizzazione del manto erboso, nella specie mancante.

Tale motivazione è immune da vizi motivazionali rilevabili in questa sede di sindacato di legittimità. 2.2. Quanto alle censure relative alla mancata valutazione delle prove documentali, esse sono inammissibili per mancato rispetto del principio di autosufficienza del ricorso, non risultando trascritto nel ricorso il contenuto di tali prove.

Quanto alla pretesa violazione della L. n. 203 del 1982, art. 58 essa è inammissibile per mancata indicazione del quesito di diritto in merito a tale pretesa violazione di norma, ex art. 366 bis c.p.c..

3.1. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta l’insufficiente esame degli atti processuali posti a base della decisione (dichiarazione del ricorrente e regolamento comunale) – art. 360 c.p.c., n. 5. Violazione della L. n. 203 del 1982, artt. 22 e 56. Insufficiente motivazione in relazione al fatto dell’attività produttiva armentizia esercitata dal ricorrente sul fondo ed alla mancata valutazione della medesima nella decisione.

3.2. Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente lamenta l’ulteriore violazione della L. n. 203 del 1982, artt. 56 e 58 per l’omessa valutazione sulla derogabilità alle norme sull’affitto agrario nella specie avente ad oggetto pascolo permanente.

Insufficiente motivazione sul punto. Omessa e/o insufficiente motivazione sulla valutazione della natura giuridica del rapporto, in relazione agli elementi di fatto del medesimo contrarie alle risultanze scritte e sul fatto dell’attività produttiva armentizia esercitata dal ricorrente sul fondo ed alla mancata valutazione della medesima nella decisione.

4.1. I due motivi vanno trattati congiuntamente, stante la loro connessione.

Essi sono infondati.

Entrambi i motivi si fondano sull’assunto che la sentenza impugnata ha errato nell’escludere che potesse considerarsi contratto di affitto, e non vendita di erba, l’attività armentizia di un soggetto, finalizzata alla produzione di latte e carne, su un fondo destinato a pascolo permanente e non soggetto a rotazione agraria.

Tale assunto è infondato, come chiaramente esposto dalla sentenza impugnata.

4.2. Il contratto è di vendita di erbe (cosiddetto pascipascolo) quando si trasferiscono le erbe prodotte dal fondo considerate come bene distinto da esso per un canone commisurato alla quantità di erbe utilizzabile in relazione al numero degli animali introdotti per un certo periodo di tempo nel fondo, così che l’uso dello stesso rappresenta il mezzo di apprensione delle erbe. E’, invece, di affitto di fondo pascolativo quando oggetto ne è il diretto godimento del fondo a fini produttivi senza alcuna limitazione e per un corrispettivo che prescinde dalla quantità di erbe prodotta, di modo che il godimento è il risultato di una gestione produttiva (Cass. 22.6.2000, n. 8489; Cass. 11.2.1998, n. 1385; Cass. 18.2.1987, n. 1507). E’ pur sempre necessario perchè si possa configurare un contratto di affitto agrario (sia pure di fondo pascolativo) che vi sia un’attività di "coltivazione" del fondo stesso, cioè idonea, quanto meno, a stimolare la produzione di erba, circostanza questa essenziale perchè si abbia "coltivazione" (cfr. sulla contrapposizione tra il contratto di affitto, volto al diretto godimento del fondo ai fini produttivi da parte del concessionario che lo detiene, senza limitazione di sorta, e il diverso contratto di vendita di erba: Cass. 11 febbraio 1998, n. 1385, nonchè, ancora, sulla necessità che di una gestione produttiva, perchè si abbia "coltivazione" del fondo, Cass. 3 giugno 1997, n. 4943 e Cass. 18 febbraio 1997, n. 1507 ). Non integra attività di coltivazione del fondo nè il mero taglio di erba spontanea (Cass. 12963/2005) nè l’attività armentizià per la produzione di latte e carne, esercitata sul fondo, come erroneamente assume il ricorrente.

Nella fattispecie la corte di merito ha accertato che mancava ogni forma di coltivazione del fondo da parte del ricorrente attore, per cui esattamente ha escluso l’esistenza di un contratto di affitto agrario.

4.3. L’infondatezza di questo assunto in diritto comporta il rigetto anche delle restanti censure che su questo errato presupposto giuridico si fondano.

5. Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente lamenta l’omesso ed insufficiente esame del regolamento comunale e delle delibere annuali, a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5 nonchè la violazione della L. n. 203 del 1982, artt. 56 e 58.

Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto: "si chiede alla S.C. di affermare che, per la L. n. 203 del 1982, art. 56, la convenzione scritta, anche con atto amministrativo, sulla concessione a pascolo infrannale di un fondo destinato a pascolo permanente e non soggetto a rotazione agraria, non rientra tra le vendite di erbe ammissibili in deroga alle disposizioni della L. n. 203 del 1982". 6. Il motivo è inammissibile.

Quanto al preteso vizio motivazionale, l’inammissibilità consegue al mancato rispetto del principio di autosufficienza del ricorso, non risultando trascritti il contenuto degli atti amministrativi invocati.

Quanto alle censure attinenti alla pretesa violazione della L. n. 203 del 1982, art. 56 esse sono inammissibili per mancato rispetto del dettato di cui all’art. 366 bis c.p.c., applicabile alla fattispecie per essere stata la sentenza impugnata pubblicata anteriormente all’entrata in vigore della L. 18 giugno 2009, n. 69.

Il quesito di cui all’art. 366-bis c.p.c., rappresentando la congiunzione fra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio generale, non può esaurirsi nella mera enunciazione di una regola astratta, ma deve presentare uno specifico collegamento con la fattispecie concreta, nel senso che deve raccordare la prima alla seconda ed alla decisione impugnata, di cui deve indicare la discrasia con riferimento alle specifiche premesse di fatto, essendo evidente che una medesima affermazione può essere esatta in relazione a determinati presupposti ed errata rispetto ad altri. Deve pertanto ritenersi inammissibile il ricorso che contenga quesiti di carattere generale ed astratto, privi di qualunque indicazione sul tipo della controversia, sugli argomenti addotti dal giudice "a quo" e sulle ragioni per le quali non dovrebbero essere condivisi (Cass. Sez. Unite, 14/01/2009, n. 565).

7. Nella fattispecie il quesito di diritto è astratto e senza riferimento specifico al caso concreto e senza indicazione con riferimento alla fattispecie in esame della regola iuris errata da sostituire con quella esatta.

8. Egualmente inammissibile per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., stante la mancanza di ogni quesito, è il motivo di ricorso con cui è lamentata la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e l’erronea condanna alle spese processuali.

9. Il ricorso va, pertanto, rigettato ed il ricorrente va condannato al pagamento delle spese sostenute dal resistente.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 3200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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