Cons. Stato Sez. V, Sent., 05-09-2011, n. 4982 Legittimità o illegittimità dell’atto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

I.- Con il ricorso in appello, che ha assunto il n. 274 del 2000 di R.G., le parti in epigrafe indicate hanno chiesto l’annullamento o la riforma della sentenza del T.A.R. T.a.r. EmiliaRomagna – Bologna, Sezione I, n. 00126/1999, di reiezione del ricorso proposto per l’annullamento del provvedimento di annullamento della concessione edilizia n. 8/1994, relativa alla costruzione di una vasca per il contenimento di liquami.

A sostegno del gravame sono stati dedotti i seguenti motivi:

1.- Sarebbe incondivisibile la tesi del Giudice di primo grado, che non sussiste contraddittorietà tra il provvedimento impugnato (di annullamento della concessione edilizia n. 8/1994) e l’atto del giorno successivo (di reiezione della richiesta di applicazione della sanzione pecuniaria ex art. 12 della l. n. 47/1985), nell’assunto che essi poggiano su presupposti autonomi e diversi,.

Sarebbe illogico il riconoscimento della possibilità di demolizione parziale di un manufatto ritenuto abusivo, della cui intera realizzazione era venuto meno il presupposto.

La successiva determinazione circa la possibilità di demolizione parziale andrebbe intesa nel senso che il Comune abbia voluto modificare la propria precedente decisione di annullare l’intera concessione edilizia, essendo il secondo provvedimento basato sull’evidente presupposto che la parte della struttura che era possibile non demolire non fosse in contrasto con gli strumenti urbanistici.

2.- Erroneamente il Giudice di prime cure non ha rilevato contraddittorietà tra l’annullamento della concessione ed il parere dell’avv. Graziosi del 6.2.1995.

3.- Il T.A.R. ha errato nel ritenere che la concessione edilizia a suo tempo rilasciata fosse comunque in contrasto con le norme del P.R.G. sia al momento che attualmente vigenti.

4.- La impugnata sentenza ha incondivisibilmente affermato che sussisteva contrasto tra la concessione edilizia e le norme successivamente emanate.

5.- Il Giudice di primo grado non ha considerato che la U.S.L., con nota del 28.7.1994, aveva chiarito che le distanze erano suscettibili di deroga; inoltre il regolamento di igiene non si riferisce alla costruzione dell’opera, ma alla sua gestione.

6.- Non sussisteva comunque un interesse pubblico attuale per procedere all’annullamento d’ufficio della concessione a suo tempo rilasciata.

Con atto depositato il 6.3.2002 si è costituito in giudizio il Comune di Sant’Agata sul Santerno, che ha dedotto la infondatezza dell’appello, concludendo per la reiezione.

Con memorie depositate il 17.1.2011 le parti appellanti hanno ribadito tesi e richieste.

II.- Con ricorso in appello, che ha assunto il n. 275 del 2000 di R.G., i suddetti interessati hanno impugnato la sentenza del T.A.R. Emilia Romagna, Sezione I, n. 00075/1999, di reiezione del ricorso proposto per l’annullamento del provvedimento prot. n. 841 del 14.2.1995, di reiezione della richiesta di agibilità relativa al prima citato manufatto.

A sostegno del gravame sono stati dedotti i seguenti motivi:

1.- Il Giudice di primo grado si è limitato a richiamare le argomentazioni contenute nel provvedimento impugnato, senza esaminare le censure svolte dai ricorrenti.

In sentenza è asserito che, in presenza di una manifesta violazione della normativa igienico sanitaria disciplinante l’individuazione del sito territoriale di insediamento, era precluso all’Amministrazione il rilascio del certificato di agibilità.

La osservazione è incongrua, atteso che la normativa igienico sanitaria non disciplina detta individuazione, ma stabilisce solo le condizioni e le modalità per il conseguimento del certificato di agibilità, sicché il rifiuto del relativo certificato poteva essere giustificato solo in relazione a considerazioni di natura igienico sanitaria e non di natura urbanistica..

2.- Quanto alla dedotta falsa rappresentazione dello stato dei luoghi, sia nel progetto dell’opera, che nel parere rilasciato dalla U.S.L., osservano gli appellanti che le relative considerazioni erano ultronee rispetto alla fattispecie, oggetto di ricorso, attinente al diniego di rilascio del certificato di agibilità, con riferimento al quale la U.S.L. rilascia il parere solo con riguardo all’interesse igienico sanitario e senza entrare nel merito di considerazioni di natura urbanistico – edilizia, già effettuate in sede di rilascio della concessione edilizia.

Con riguardo ai rilievi contenuti in sentenza, circa la classificazione del lotto come"zona residenziale R9", ad una distanza inferiore a quella di cui all’art. 1 della l.r. n. 25/1990, e circa la circostanza che il confine di detta zona raffigurava un confine in zona agricola, gli appellanti deducono che tale lotto nella variante al P.R.G. non era più previsto, con carenza di interesse al riguardo, e che non è ammissibile la sussistenza di un confine in zona agricola per un lotto costituente "una zona edilizia sparsa in zona agricola".

3.- L’assunto contenuto in sentenza che sussisteva parziale difformità della struttura realizzata rispetto alla corrispondente concessione edilizia, con riferimento alla distanza al confine stradale, è viziato dalla circostanza che l’art. 3, n. 10 del d. lgs. n. 285/1992 prevede come confine il ciglio esterno del fosso di guardia solo se non è possibile desumere la precisa collocazione del confine stradale da atti di acquisizione della proprietà; nel caso di specie risulta da atto di compravendita del podere che i confini si intendono situati "a 1/2 fosso", rispetto ai quali la vasca è posta a distanza regolamentare.

4.- Erroneamente il Giudice di prime cure ha ritenuto che il decorso del termine di 45 giorni dalla presentazione della domanda ex art. 4 del d.P.R. n. 425/1994 non precludeva la possibilità di adottare un provvedimento di rigetto, atteso che detta norma prevede il silenzio assenso in caso di mancata risposta alla richiesta di certificazione di abitabilità, come è avvenuto nel caso di specie.

5.- Non è chiarito in sentenza in che termini, in caso di una motivazione plurima, la legittimità di uno solo dei profili autonomi comporta la legittimità del provvedimento, né quali avrebbero avuto, nel caso che occupa, efficacia sanante.

Con memoria depositata il 6.3.2002 di è costituito in giudizio il Comune di Sant’Agata sul Santerno, che ha dedotto la inammissibilità del terzo motivo di gravame e la infondatezza degli altri motivi (in particolare del primo perché sarebbe applicabile l’art. 1, comma 2, della l. r. n. 25/1990, speciale rispetto all’art. 221 del T.U.L.S.), concludendo per la reiezione.

Con memoria depositata il 17.2.2011 gli appellanti hanno ribadito tesi e richieste.

III.- Con ricorso in appello, che ha assunto il n. 276 del 2000 di R.G., i suddetti interessati hanno impugnato la sentenza di detto T.A.R. n. 00125/1999, di reiezione del ricorso proposto per l’annullamento del provvedimento prot. n. 2420 del 14.5.1996, di reiezione della richiesta di applicazione dell’art. 12, comma 2, della l. n. 47/1985, in riferimento all’ordinanza di parziale demolizione n. 1715 del 17.3.1995.

A sostegno del gravame sono stati dedotti i seguenti motivi:

1.- La tesi del primo Giudice che, non avendo l’applicazione della sanzione pecuniaria ex art. 12 della l. n. 47/1985 valenza ripristinatoria dell’assetto edilizio violato, deve essere interpretato in maniera restrittiva, perché derogatorio al canone repressivo ordinario, non sarebbe condivisibile.

Contrariamente a quanto sostenuto nella sentenza impugnata il C.T.U. ha criticato la perizia redatta dal tecnico incaricato dal Comune, non per la commissione di meri errori di trascrizione, ma per evasività circa le modalità esecutive.

2.- La sentenza, laddove ha affermato che la Consulenza Tecnica d’Ufficio aveva accertato la possibilità tecnica della demolizione parziale, ne ha stravolto le risultanze.

Anche a voler aderire alla tesi del Giudice di primo grado, non potrebbe obliterarsi la circostanza che comunque le risultanze di detta Consulenza dimostrano che comunque la concreta possibilità di demolire parzialmente l’opera era insussistente

3.- Il T.A.R. ha stravolto le conclusioni del C.T.U., che aveva affermato solo che a seguito di "demolizioneristrutturazione" avrebbero potuto sussistere possibilità di inquinamento da fuoriuscita di liquami; la struttura era stata infatti realizzata in conformità alla concessione, con consone tecniche di costruzione e materiali adeguati.

4.- La pretesa necessità della demolizione sarebbe comunque dovuta ad eventuali errori in cui è incorso il Comune in sede di rilascio della concessione.

Con memoria depositata il 6.3.2002 si è costituito in giudizio il Comune di Sant’Agata sul Santerno, che ha dedotto la infondatezza dell’appello, concludendo per la reiezione.

Con memoria depositata il 17.1.2011 i ricorrenti hanno ribadito tesi e richieste.

Alla pubblica udienza dell’8.2.2011 i ricorsi in esame sono stati trattenuti in decisione alla presenza degli avvocati delle parti come da verbale di causa agli atti del giudizio.

Motivi della decisione

I.- Con il ricorso in appello, che ha assunto il n. 274 del 2000, i deducenti in epigrafe indicati hanno chiesto l’annullamento della sentenza del T.A.R. EmiliaRomagna – Bologna, Sezione I, n. 00126/1999, di reiezione del ricorso proposto per l’annullamento del provvedimento di annullamento della concessione edilizia n. 8/1994 relativa alla realizzazione di una vasca per lo smaltimento di liquami; con ricorso in appello, che ha assunto in n. 275 del 2000, i suddetti hanno chiesto l’annullamento della sentenza di detto T.A.R. n. 00075/1999, di reiezione del ricorso proposto per l’annullamento del provvedimento prot. n. 841 del 14.2.1995, di reiezione della richiesta di certificazione di agibilità relativamente a detto manufatto; con ricorso in appello, che ha assunto il n. 276 del 2000, detti interessati hanno chiesto l’annullamento della sentenza del ridetto T.A.R. n. 00125/1999, di reiezione del ricorso proposto per l’annullamento del provvedimento prot. n. 2420 del 14.5.1996, di reiezione della richiesta di applicazione dell’art. 12, comma 2, della l. n. 47/1985, in riferimento all’ordinanza di parziale demolizione di esso manufatto n. 1715 del 17.3.1995.

II.- Innanzitutto, il Collegio ritiene di dover riunire i tre gravami, per la palese loro connessione oggettiva (trattandosi della stessa opera edilizia sanzionata dal Comune) e soggettiva, per cui i medesimi devono essere esaminati e decisi nel merito con un’unica pronuncia.

III.- Quanto al ricorso n. 274 del 2000:

III.1.- Con il primo motivo di appello è stato dedotto che sarebbe incondivisibile la tesi del Giudice di primo grado, che non sussiste contraddittorietà tra il provvedimento impugnato (di annullamento della concessione edilizia n. 8/1994) e l’atto del giorno successivo (di reiezione della richiesta di applicazione della sanzione pecuniaria ex art. 12 della l. n. 47/1985 perché doveva procedersi alla demolizione della parte difforme senza pregiudizio per quella conforme), perché essi poggiano su presupposti autonomi e diversi ("l’uno sull’istanza dell’interessato" e "l’altro sulla necessaria ottemperanza alla ordinanza cautelare n. 195 del 28.3.1996). Infatti l’agire dell’Amministrazione nasce dall’unico presupposto del comportamento dei ricorrenti ritenuto non conforme alle norme ed ogni provvedimento al riguardo sarebbe da inserire in un unico contesto.

Sarebbe quindi illogica la determinazione circa la possibilità di demolizione parziale di un manufatto ritenuto abusivo, della cui intera realizzazione era venuto meno il presupposto.

La successiva determinazione circa la possibilità di demolizione parziale andrebbe intesa nel senso che il Comune abbia voluto modificare la propria precedente decisione di annullare l’intera concessione edilizia, perché il secondo provvedimento ha evidentemente ritenuto che la parte della struttura che era possibile non demolire non era in contrasto con gli strumenti urbanistici. Ciò in quanto all’ordinanza del Giudice di accertare la effettiva possibilità di demolizione della parte difforme poteva conseguire solo il diniego di applicazione di detto art. 12 della l. n. 47/1985.

III.1.1.- Osserva in proposito la Sezione che non sussiste la dedotta contraddittorietà perché i due provvedimenti poggiano su presupposti e sono relativi a procedimenti del tutto diversi.

La contraddittorietà tra gli atti del procedimento, figura sintomatica dell’eccesso di potere, si può rinvenire solo allorquando sussista tra più atti successivi un contrasto inconciliabile tale da far sorgere dubbi su quale sia l’effettiva volontà dell’amministrazione (Consiglio Stato, sez. IV, 06 luglio 2004, n. 5013), mentre non sussiste quando si tratti di provvedimenti che, pur riguardanti lo stesso oggetto, siano adottati all’esito di procedimenti indipendenti.

Nel caso che occupa il provvedimento di annullamento della concessione edilizia ritenuta illegittima è stato emesso a conclusione di un procedimento del tutto diverso da quello relativo alla richiesta di applicazione della sanzione pecuniaria in luogo della demolizione, sicché la circostanza che quest’ultima richiesta sia stata respinta perché non sussisteva il presupposto di cui all’art. 12 della l. n. 47/1985 (della impossibilità di demolizione della parte difforme senza pregiudizio per quella conforme) non contrasta con la determinazione di disporre l’annullamento della concessione edilizia a suo tempo rilasciata per la realizzazione del manufatto stesso.

III.2.- Con il secondo motivo di gravame è stato asserito che erroneamente il Giudice di prime cure non avrebbe rilevato contraddittorietà tra il disposto annullamento della concessione ed il parere dell’avv. Graziosi del 6.2.1995, essendo incondivisibile la tesi che nel lasso di tempo intercorso tra i due atti era sopravvenuta una rilevante modificazione della situazione di fatto, con mutazione del quadro di riferimento normativo applicabile alla patologia edilizia, atteso che la variante al P.R.G. era già stata adottata all’epoca del diniego di agibilità e che il Comune avrebbe dovuto ben conoscere la normativa vigente al momento della presentazione della domanda di concessione.

III.2.1.- La Sezione osserva che la circostanza che la variante al P.R.G., che vieta la realizzazione di vasche come quella di specie nella zona che interessa, fosse già stata adottata all’epoca del diniego della agibilità, datato 14.2.1995, è inidonea ad inficiare la tesi che essa non fosse stata ancora adottata all’epoca, precedente, dell’11.4.1994, di rilascio della concessione edilizia, sicché non è suscettibile di positiva valutazione la censura di difetto di istruttoria all’atto di rilascio della concessione da parte dei tecnici comunali.

Quanto alla dedotta contraddittorietà con il parere legale, datato 6.2.1995, va rilevato che esso è stato redatto nel presupposto della insussistenza, all’epoca, di ragioni di pubblico interesse all’annullamento della concessione, perché la adottanda variante al P.R.G. prevedeva l’eliminazione del contrasto con quanto statuito dall’art. 1, comma 2, della l. r. n. 25/1990, relativamente al rispetto della distanza dai confini.

All’epoca di adozione dell’atto impugnato la adottata variante al P.R.G. vietava comunque la realizzazione nella zona de qua di vasche come quella che qui interessa, sicché è confermata la tesi che nel lasso temporale intercorso tra l’adozione di detto parere e l’adozione dell’atto impugnato fosse intervenuta una modificazione dello stato di diritto relativo alla zona che interessa.

La censura in esame non può quindi essere condivisa.

III.3.- Secondo il terzo motivo di appello erroneamente il T.A.R. avrebbe ritenuto che la concessione edilizia a suo tempo rilasciata fosse comunque in contrasto con le norme del P.R.G. sia al momento che attualmente vigenti; non vi sarebbe stata infatti alcuna falsa rappresentazione grafica dei luoghi da parte dei ricorrenti perché la mancata indicazione della zona R9 era comunque conoscibile da parte del Comune, che aveva l’obbligo di istruire la pratica secondo la normativa vigente, ignorata dal Tribunale.

III.3.1.- La Sezione ritiene non conferente la censura sopra riportata, atteso che, comunque, la concessione poi annullata era in contrasto sia con la normativa vigente all’epoca del rilascio, avvenuto sulla base di una planimetria che non indicava la presenza di un lotto classificato "zona residenziale R9", posto a distanza dalla vasca di cui trattasi inferiore a quanto consentito, e sia con quella vigente all’epoca dell’annullamento della concessione.

La circostanza che il personale addetto all’istruttoria della pratica non si sia avveduto, a suo tempo, della incompletezza della documentazione non è, peraltro idoneo a comportare che la concessione rilasciata sulla base della infedele rappresentazione dei luoghi non potesse poi essere annullata.

III.4.- Con il quarto motivo di gravame è stato dedotto che erroneamente la impugnata sentenza ha affermato che sussisteva contrasto tra la concessione edilizia e le norme successivamente emanate; non poteva infatti essere disposta la demolizione di un’opera a suo tempo assentita a seguito di istruttoria comunale, sulla base di normativa sopravvenuta, considerato che le norme del P.R.G. non possono disporre che per il futuro e non hanno effetti retroattivi.

III.4.1.- La tesi degli appellanti non può essere condivisa dalla Sezione, atteso che il T.A.R. ha esplicitamente affermato che la concessione edilizia era in contrasto con il P.R.G. in vigore all’epoca del suo rilascio, anche se di tanto l’Amministrazione non si era a suo tempo avveduta a causa della infedele rappresentazione dello stato dei luoghi contenuta nella documentazione presentata a corredo della istanza stessa, con la condivisibile conseguenza che ciò era di per sé sufficiente a confermare la legittimità dell’impugnato provvedimento.

III.5.- Con il quinto motivo di appello è stato asserito che il Giudice di prime cure, laddove ha affermato che la disciplina di cui al regolamento di igiene (con particolare riguardo alla distanza tra la vasca ed il ricovero per animali) non affrontava specificamente il problema relativo alla distanza non regolamentare del serbatoio dei liquami, non ha considerato che la U.S.L. con nota del 28.7.1994 aveva chiarito che le distanze di cui alla l.r. n. 25/1995 erano suscettibili di deroga; inoltre il regolamento suddetto, laddove prescrive, all’art. 222, una distanza massima di un chilometro tra il ricovero degli animali e la vasca di accumulo dei liquami, essendo volto ad evitare contaminazioni, non si riferiva alla costruzione dell’opera, ma alla sua gestione, potendo l’opera non essere utilizzata.

III.5.1.- La Sezione ritiene di non doversi discostare da quanto al riguardo correttamente osservato dal Giudice di prime cure, che ha ritenuto ininfluente il mero richiamo contenuto nel rilasciato parere alla ipotetica possibilità di derogare alle prescrizioni di cui alla l.r. n. 25/1995 in assenza di effettiva e puntuale disamina del concreto problema del rispetto delle distanze, peraltro falsato dalla pregressa infedele rappresentazione dello stato dei luoghi da parte dei ricorrenti.

Pure condivisibile è l’assunto di detto Giudice che il parere suddetto fosse viziato dalla mancata disamina del problema relativo alla violazione delle distanze previste da detto art. 222, a nulla valendo che il regolamento di igiene è volto a prevenire la contaminazione dell’ambiente, perché non avrebbe senso autorizzare sotto il profilo igienico sanitario la costruzione di una vasca destinata a contenere liquami in violazione delle prescritte distanze sol perché non è sicuro che poi sarebbe stata effettivamente utilizzata allo scopo.

III.6.- Con il sesto motivo di gravame è stato affermato che non sussisteva comunque un interesse pubblico attuale per procedere all’annullamento d’ufficio della concessione a suo tempo rilasciata.

III.6.1.- La censura non è suscettibile di accoglimento perché l’annullamento d’ufficio di una concessione edilizia non necessita di una espressa e specifica motivazione sul pubblico interesse, configurandosi questo nell’interesse della collettività al rispetto della disciplina urbanistica (Consiglio Stato, sez. IV, 06 ottobre 2010, n. 7342).

III.7.- In conclusione l’appello n. 274 del 2000 è da ritenere infondato e va respinto.

IV.- Quanto al ricorso n. 275 del 2000:

IV.1.- Con il primo motivo di appello è stato dedotto che il Giudice di primo grado si è limitato a richiamare le argomentazioni contenute nel provvedimento impugnato, senza esaminare le censure svolte in primo grado dai ricorrenti.

In sentenza (premesso che il diniego era basato sulla allegazione alla domanda di agibilità di una planimetria non conforme al P.R.G. e sulla parziale difformità della struttura realizzata dalla concessione edilizia) è asserito che, in presenza di una manifesta violazione della normativa igienico sanitaria che disciplina l’individuazione del sito territoriale di insediamento, era precluso all’Amministrazione il rilascio del certificato di agibilità.

La osservazione sarebbe incongrua, atteso che la normativa igienico sanitaria non disciplina il sito territoriale di insediamento, cui è preposta la normativa urbanistica, ma stabilisce solo le condizioni e le modalità mediante le quali è acquisibile il certificato di agibilità, che ha di per sé natura di nulla osta igienico sanitario, sicché il rifiuto del suo rilascio poteva essere giustificato solo in relazione a considerazioni di natura igienico sanitaria e non di natura urbanistica. Anche laddove l’art. 221 del T.U. delle leggi sanitarie, relativo a detto certificato, protegge un interesse di tipo urbanistico, il riferimento sarebbe relativo solo alla conformità della concessione con il progetto approvato.

Con il secondo motivo di gravame, quanto alla dedotta falsa rappresentazione dello stato dei luoghi, con riferimento sia al progetto dell’opera, che al parere rilasciato dalla U.S.L., osservano gli appellanti che esse erano considerazioni ultronee rispetto alla fattispecie, oggetto di ricorso, attinente al diniego di rilascio del certificato di agibilità, rispetto al quale la U.S.L. rilascia il parere, ai sensi di detto art. 221, solo con riguardo all’interesse igienico sanitario, senza entrare nel merito di considerazioni di natura urbanistico – edilizia, già effettuate in sede di rilascio della concessione edilizia.

Con riguardo ai rilievi contenuti in sentenza, circa la classificazione del lotto come "zona residenziale R9", ad una distanza inferiore a quella di cui all’art. 1 della l.r. n. 25/1990, e circa la circostanza che il confine di detta zona raffigurava un confine in zona agricola, gli appellanti deducono che tale lotto nella variante al P.R.G. non era più previsto, con carenza di interesse al riguardo, e che non è invocabile un confine in zona agricola per un lotto costituente "una zona edilizia sparsa in zona agricola".

Con il terzo motivo di appello è stato asserito che l’assunto contenuto in sentenza circa la sussistenza di parziale difformità della struttura realizzata rispetto alla corrispondente concessione edilizia, con riferimento alla distanza dal confine stradale sarebbe viziato dalla circostanza che l’art. 3, n. 10, del d. lgs. n. 285/1992 prevede come confine il ciglio esterno del fosso di guardia solo se non è possibile desumere la precisa collocazione del confine stradale da atti di acquisizione della proprietà, che nel caso di specie risulta da atto di compravendita del podere, in cui è evidenziato che i confini si intendono situati "a 1/2 fosso", rispetto ai quali la vasca è posta a distanza regolamentare.

IV.1.1.- Osserva in proposito la Sezione che l’art. 221, comma 1, del r.d. n. 1265/1934 stabiliva, che "Gli edifici o parti di essi indicati nell’articolo precedente non possono essere abitati senza autorizzazione del podestà, il quale la concede quando, previa ispezione dell’ufficiale sanitario o di un ingegnere a ciò delegato, risulti che la costruzione sia stata eseguita in conformità del progetto approvato, che i muri siano convenientemente prosciugati e che non sussistano altre cause di insalubrità".

L’art. 4, comma 1, del d.P.R. n. 425/1994, il cui art. 5 ha abrogato detto art. 221, stabiliva, all’epoca della adozione del provvedimento impugnato, che "Affinché gli edifici, o parti di essi, indicati nell’art. 220 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, possano essere utilizzati, è necessario che il proprietario richieda il certificato di abitabilità al sindaco, allegando alla richiesta il certificato di collaudo, la dichiarazione presentata per l’iscrizione al catasto dell’immobile, restituita dagli uffici catastali con l’attestazione dell’avvenuta presentazione, e una dichiarazione del direttore dei lavori che deve certificare, sotto la propria responsabilità, la conformità rispetto al progetto approvato, l’avvenuta prosciugatura dei muri e la salubrità degli ambienti".

Il certificato di agibilità non ha quindi alcuna attinenza con fini di tutela urbanistico edilizia e si limita quindi ad attestare una situazione oggettiva e, in particolare, la corrispondenza dell’opera realizzata al progetto assentito, nonché la mancanza di cause di insalubrità limitate alla costruzione in sé considerata.

Il negativo provvedimento impugnato è basato sulla circostanza che il parere favorevole della U.S.L 36, sulla base del quale era stata rilasciata la concessione edilizia, era stato reso in base a planimetria non conforme al P.R.G. all’epoca vigente, nonché sulla circostanza che l’opera in questione sarebbe stata realizzata in parziale difformità dalla concessione edilizia, con riferimento alla distanza dal confine stradale.

Detto provvedimento di diniego del certificato di agibilità avrebbe invece dovuto essere motivato prevalentemente con riferimento alla salubrità o meno della costruzione, nonché alla conformità alla concessione (a suo tempo rilasciata "visti gli strumenti urbanistici vigenti" e all’epoca non ancora annullata), con insufficienza del riferimento alla circostanza che essa concessione sarebbe stata viziata e del mero rilievo della dedotta difformità dell’opera realizzata da detta concessione, quanto alla distanza dal confine, che avrebbe dovuto essere oggetto di più specifica contestazione tecnico giuridica con riguardo alle circostanze che dimostravano la difformità tra l’opera realizzata e quella prevista dalla concessione edilizia, solo in seguito annullata.

IV.2.- Il ricorso in appello in esame è quindi fondato, pertanto va accolto e va riformata la impugnata sentenza laddove non ha accolto il ricorso introduttivo del giudizio nella parte in cui sostanzialmente lamenta che il provvedimento impugnato era insufficientemente motivato.

V.- Quanto al ricorso in 276 del 2000:

V.1.- Con il primo motivo di appello è stato sostenuto che la tesi del primo Giudice (che, non avendo l’applicazione della sanzione pecuniaria ex art. 12 della l. n. 47/1985 valenza ripristinatoria dell’assetto edilizio violato, esso deve essere interpretato in maniera restrittiva perché derogatoria al canore repressivo ordinario) non sarebbe condivisibile, perché la norma sarebbe chiara nel prevedere l’applicazione della sanzione pecuniaria tutte le volte che la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte legittimamente eseguita, come nel caso che occupa, in cui il C.T.U. ha stabilito che avrebbe dovuto essere posta in essere una ristrutturazione (il che impediva la parziale demolizione, tenuto conto della monoliticità della struttura e della rilevanza della spesa necessaria per demolire la parte difforme senza compromettere la solidità del manufatto).

Contrariamente a quanto sostenuto nella sentenza impugnata, il C.T.U. avrebbe criticato la perizia redatta dal tecnico incaricato dal Comune, non per la commissione di meri errori di trascrizione, ma per evasività circa le modalità esecutive.

V.1.1.- La Sezione non condivide le censure in esame e condivide invece la tesi del Giudice di prime cure che l’applicazione della sanzione pecuniaria consentita dall’art. 12 della l. n. 47/1985 non ha valenza ripristinatoria dell’assetto edilizio violato e che la norma è quindi derogatoria rispetto alla normativa generale al riguardo, con la conseguenza che deve essere interpretata in maniera restrittiva.

Pertanto il privato sanzionato con l’ordine di demolizione per la costruzione di un’opera edilizia abusiva, non può invocare l’applicazione a suo favore dell’art. 12 comma 2, della l. n. 47/1985, che comporta l’applicazione della sola sanzione pecuniaria nel caso in cui l’ingiunta demolizione non possa avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, se non fornisce seria ed idonea dimostrazione del pregiudizio stesso sulla struttura e sull’utilizzazione del bene residuo, a nulla valendo che la demolizione implicherebbe una notevole spesa e potrebbe incidere sulla funzionalità del manufatto (Consiglio Stato, sez. V, 12 novembre 1999, n. 1876), perché per impedire l’applicazione della sanzione demolitoria occorre un effettivo pregiudizio alla restante parte dell’edificio, consistente in una menomazione della intera stabilità del manufatto.

V.2.- Con il secondo motivo di gravame e stato dedotto che la sentenza, laddove ha affermato che la C.T.U. aveva accertato la possibilità tecnica della demolizione parziale (non essendo specificamente preclusive le relative condizioni di complessità tecnologica) ne avrebbe stravolto le risultanze, atteso che è ivi asserito che essa sarebbe possibile solo se accompagnata da radicale, complessa e costosa ristrutturazione.

Anche a voler aderire alla tesi del Giudice di primo grado (che, se non potesse essere seguita la tesi che lo strumento ripristinatorio ordinario privilegiato è la demolizione, questa potrebbe essere applicata solo alle situazioni abusive più elementari, invertendo il rapporto tra canone repressivo ordinario e la ipotesi derogatoria della sanzione pecuniaria), non potrebbe obliterarsi la circostanza che comunque le risultanze della disposta C.T.U. dimostravano che comunque la possibilità di demolire parzialmente l’opera era insussistente.

V.2.1.- La tesi degli appellanti non è, ad avviso del Collego, suscettibile di positiva valutazione, perché la circostanza rilevata dal C.T.U., che la parziale demolizione sarebbe stata possibile solo se accompagnata da radicale, complessa e costosa ristrutturazione, esclude comunque la possibilità dell’applicazione della sanzione pecuniaria, essendo comunque la parziale demolizione possibile; a nulla vale, per quanto in precedenza affermato, che essa fosse complessa e costosa, dovendo l’art. 12 della l. n. 47/1985 essere interpretato in maniera letterale e rigorosa proprio per la sua natura derogatoria dalle comuni disposizioni in materia di repressione degli abusi edilizi.

V.3.- Con il terzo motivo di appello è stato affermato che il T.A.R. avrebbe stravolto le conclusioni del C.T.U., deducendo che aveva addossato ai ricorrenti la responsabilità di procedere alla demolizione parziale, sia pure con difficoltà strumentali ed economiche, facendo riferimento a carenze progettuali ed esecutive del manufatto ad essi addebitabili, mentre il Consulente aveva evidenziato solo che con la demolizione ristrutturazione sussistevano possibilità di inquinamento da fuoriuscita di liquami; la struttura sarebbe stata infatti realizzata in conformità alla concessione, con consone tecniche di costruzione e materiali adeguati.

Con il quarto motivo di appello è stato inoltre dedotto che la pretesa necessità della demolizione sarebbe stata dovuta ad eventuali errori in cui era incorso il Comune in sede di rilascio della concessione.

V.3.1.- Le censure, per le argomentazioni in precedenza svolte circa la irrilevanza della sussistenza di difficoltà strumentali ed economiche ad effettuare la demolizione parziale, deve ritenersi irrilevante ai fini del decidere, non avendo alcun rilievo la circostanza se il C.T.U. abbia addossato o meno ai ricorrenti la responsabilità di quanto accaduto, atteso che comunque la demolizione parziale era possibile, anche se sussistevano ipotetici problemi futuri, e non era quindi applicabile l’invocato art. 12 della l. n. 47/1985.

V.4.- L’appello in esame va quindi respinto e deve essere confermata la prima decisione.

VI.- In conclusione, previa riunione, l’appello n. 274 del 2000 deve essere respinto e va confermata la impugnata decisione; l’appello n. 275 del 2000 deve essere accolto e per l’effetto va accolto in ricorso originario proposto innanzi al T.A.R. nei termini e nei limiti di cui in motivazione; il ricorso n. 276 del 2000 va respinto e deve essere confermata la prima decisione.

VII.- La complessità delle questioni trattate, nonché la peculiarità e la novità dei casi in esame, denotano la sussistenza delle circostanze di cui all’art. 92, II c., del c.p.c., come modificato dall’art. 45, XI c., della L. n. 69 del 2009, che costituiscono ragione sufficiente per compensare fra la parti le spese del secondo grado del giudizio quanto ai ricorsi n. 274 del 2000 e n. 276 del 2000, nonché per compensare le spese del doppio grado di giudizio quanto al ricorso n. 175 del 2000.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente decidendo, previa riunione degli appelli in esame, respinge l’appello n. 274 del 2000; accoglie l’appello n. 275 del 2000, e, per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, accoglie il ricorso originario proposto dinanzi al T.A.R. nei sensi e nei termini di cui in motivazione; respinge l’appello n. 276 del 2000.

Compensa fra la parti le spese del secondo grado del giudizio quanto ai ricorsi n. 274 del 2000 e n. 276 del 2000, nonché compensa le spese del doppio grado di giudizio quanto al ricorso n. 175 del 2000.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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