Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 08-07-2011) 01-08-2011, n. 30507

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di riesame di Reggio Calabria ha confermato l’ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere nei confronti di P.A. (classe (OMISSIS)), siccome gravemente indiziato:

-per il delitto di cui al capo a) della rubrica (partecipazione ad un’associazione criminosa di stampo mafioso denominata ‘ndrina Pelle, operante in San Luca, Bovalino e Comuni limitrofi, attiva sul fronte delle attività estorsive in danno degli imprenditori locali e del controllo anche indiretto di esercizi commerciali formalmente leciti, a sua volta inserita nel più ampio contesto associativo mafioso denominato ‘ndrangheta" ed operante in Reggio Calabria e provincia, nonchè in altre parti del territorio nazionale).

Nell’ambito di tale clan mafioso l’indagato era stato ritenuto aver fornito un costante contributo alla vita della ‘ndrina, eseguendo scrupolosamente le disposizioni impartite dal padre P.G., reperendo somme di danaro ed avendo intestato a suo nome attività commerciali nell’interesse del clan criminoso di appartenenza;

-per il delitto di cui al capo b) della rubrica (partecipazione ad un tentativo di estorsione in danno di un imprenditore di Platì allo stato non individuato, consistito nel farsi versare il 10% del’importo di un appalto che l’imprenditore si era aggiudicato per realizzare alcune opere nel Comune di Condofuri);

-per il delitto di cui al capo c) della rubrica (fittizia intestazione da parte sua di un’impresa individuale, tale "Azzurra Costruzioni Geom. Pelle Antonio", con sede in Comune di San Luca (RC), per la lavorazione di inerti e calcestruzzi e la fabbricazione e ristrutturazione di edifici residenziali, in realtà facente capo ad altri soggetti, e cioè a P.G., P.S. e P.D., al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniale; con l’aggravante di avere agevolato la ‘ndrina mafiosa Pelle).

2. Le fonti di prova a carico dell’indagato sono state costituite da accertamenti di P.G. e dagli esiti delle intercettazioni ambientali svolte nell’abitazione del padre dell’odierno indagato, P. G., rivestente il ruolo di capo clan, abitazione ubicata in Comune di Bovalino (RC); ed i quattro incontri in tal modo documentati erano da ritenere come veri e propri summit mafiosi, tali da aver fornito le prove dell’esistenza del clan, della sua operatività e potenza, della serie di lucrose attività economiche poste in essere, nonchè della riferibilità diretta ai capi clan dei beni ed attività imprenditoriali di cui avevano il controllo. Con riferimento alla partecipazione dell’odierno indagato al clan mafioso anzidetto, di cui al capo a) della rubrica, da tali intercettazioni ambientali era emerso come il P. si era costantemente messo a disposizione del clan, dando fedele esecuzione alle direttive impartite dal capo della cosca, da identificare in suo padre, P. G..

La partecipazione dell’odierno indagato alla tentata estorsione di cui al capo b) della rubrica, alla quale il medesimo aveva partecipato assieme a M.G. ed a suo padre P. G., era emersa in particolare dalle conversazioni ambientali del 29 e 31 marzo 2010, l’attività estrotiva era stata commessa in danno di un soggetto di Platì, tale "(OMISSIS)", aggiudicatario di un appalto del valore di Euro 200.000,00 per l’esecuzione di alcuni lavori nel Comune di Condofuri, il quale si era rifiutato di versare alla cosca Pelle dominante nel mandamento ionico ed alla cosca di Condofuri, cui il M. era affiliato, la percentuale del 10%.

La commissione da parte dell’odierno indagato del reato di cui al capo c) della rubrica, concernente la fittizia intestazione all’odierno indagato della ditta individuale edile "Azzurra Costruzioni geom. Pelle Antonio", in realtà riconducibile ai fratelli P.G., S. e D., era altresì emersa dalle intercettazioni ambientali di cui sopra, con particolare riferimento a quelle dell’8.3.2010, del 14.3.2010 e del 4.4.2010; da esse era emerso che la ditta anzidetta era in realtà gestita da P.S..

Che anche tale attività commerciale facesse parte della famiglia emergeva da intercettazioni che identificavano la ditta anzidetta come uno dei rami di investimento della famiglia, in relazione al quale S. intratteneva rapporti con terzi; era inoltre pacifico che l’indagato era privo di risorse economiche autonome per effettuare il versamento del capitale sociale. Secondo il Tribunale per la sussistenza del reato, che era di pericolo, non era necessaria la prova che vi fosse stata effettivamente l’elusione della legislazione in materia di misure di prevenzione, essendo sufficiente che tale elusione fosse lo scopo dell’intestazione fittizia; e l’attuale indagato ne rispondeva a titolo di concorso con chi aveva effettuato detta intestazione fittizia, essendo certa la sua consapevolezza in considerazione dei legami familiari che lo legavano agli altri componenti del clan mafioso e per essere egli a perfetta conoscenza dell’esistenza del clan mafioso familiare, del quale faceva parte.

3. Il provvedimento impugnato ha poi rilevato la sussistenza di valide esigenze cautelari, idonee a giustificare la misura inframuraria adottata nei confronti dell’indagato, in considerazione del tipo di reato ascrittigli, tenuto conto della presunzione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3; del pericolo di fuga dell’indagato, siccome inserito in contesti di criminalità organizzata, della possibilità da parte sua di inquinare le fonti di prova;

dell’altissima probabilità di commissione da parte sua di gravi delitti contro l’ordine pubblico.

4. Avverso detto provvedimento del Tribunale di Reggio Calabria ha proposto ricorso per cassazione P.A. (classe (OMISSIS)) per il tramite del suo difensore, che ha dedotto violazione di legge, in quanto i gravi indizi a suo carico per tutti e tre i reati ascrittigli si basavano solo sul contenuto di alcune intercettazioni, mentre tutto il resto era frutto di congetture ed apodittiche ricostruzioni, essendo le conversazioni intercettate del tutto inconcludenti ai fini indiziari e, comunque, non riconducenti all’odierno ricorrente; in realtà l’unico dato richiamato dal provvedimento impugnato era costituito dal legame di famiglia esistente con suo padre P.G., ritenuto il capo del’omonimo clan. Anche se esso ricorrente fosse da ritenere responsabile della tentata estorsione, di cui al capo b) della rubrica, ciò non avrebbe potuto condurre a ritenerlo affiliato al clan criminoso di cui al capo a) della rubrica, essendo stati valutati in tal senso solo alcuni frammenti di conversazioni captate, dalle quali non poteva desumersi l’affectio societatis, ovvero il suo cosciente e volontario contributo al raggiungimento dello scopo comune del sodalizio criminoso. Quanto al reato di cui al capo c) della rubrica, erano solo presunti i sospetti rapporti economici tra suo padre G. ed i suoi zii S. e D. ed esso ricorrente; nessuna procedura preventiva era stata iniziata nei confronti di suo padre e dei suoi due zii; non vi poi era alcuna prova che egli fosse inserito nelle dinamiche delittuose della famiglia di origine e, con riferimento all’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, il provvedimento impugnato era carente di ogni valutazione circa la sussistenza della componente soggettiva dell’avere egli inteso agevolare, col suo comportamento, il clan mafioso, di cui era stato ritenuto intraneo.

Motivi della decisione

1. Il ricorso proposto da P.A. (classe (OMISSIS)) è inammissibile siccome manifestamente infondato.

2. L’ordinanza impugnata soddisfa invero tutti i requisiti richiesti dalla giurisprudenza di legittimità per poter affermare la sussistenza a carico del ricorrente di gravi indizi in ordine a tutti e tre i reati al medesimo ascritti e tali da giustificare la misura custodiale in carcere adottata nei suoi confronti.

3. Con riferimento al reato di cui al capo a) della rubrica, si osserva che l’associazione a delinquere di stampo mafioso, di cui all’art. 416 bis c.p., si connota rispetto all’associazione criminosa semplice per la sua tendenza a proiettarsi verso l’esterno, per il suo radicamento nel territorio in cui essa nasce e per la sua tendenza ad espandersi; pertanto i caratteri suoi propri (assoggettamento ed omertà) devono essere riferiti ai soggetti nei cui confronti si dirige l’azione delittuosa, essendo appunto i terzi, siccome persuasi di essere esposti ad una forza invincibile, contro la quale non c’è difesa, a trovarsi in stato di soggezione psicologica e di soccombenza di fronte allo strapotere dei mafiosi.

Quindi la diffusività di tale forza intimidatrice non può essere virtuale e cioè essere limitata al programma dell’associazione, ma deve essere effettiva e quindi deve manifestarsi concretamente, con il compimento di atti, essendo la diffusività il carattere indefettibile della forza intimidatrice, si che è necessario che, di essa, l’associazione si avvalga in concreto e cioè in modo effettuale nei confronti della comunità in cui essa è radicata (cfr., in termini, Cass. 5, 19.12.1997 n. 4307, rv. 211071).

La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione di tali principi giurisprudenziali, avendo rilevato la sussistenza della condizione di intimidazione sistematica e di assoggettamento e di omertà alle quali erano sottoposti gli imprenditori che operavano nella zona d’influenza della cosca Pelle, costretti ad effettuare esborsi mensili, come era eloquentemente emerso dalla vicenda relativa alla tentata estorsione, contestata anche all’odierno ricorrente al capo b) della rubrica.

Vi è quindi in atti la prova della sussistenza di un’organizzazione criminale a struttura familiare, potente ed operativa, inserita in molteplici attività criminali, fra le quali principalmente estorsioni, la quale si avvale di strutture economiche lecite per mettere a frutto i proventi dei suoi traffici illeciti; basti pensare come, dalle intercettazioni ambientali disposte, è emerso che la ditta individuale "Azzurra Costruzioni", formalmente intestata all’odierno ricorrente, era uno strumento a disposizione dell’intera famiglia e veniva gestita di fatto dallo zio S.; dal che è dato desumere che ogni attività commerciale in mano a detta associazione criminale immediatamente viene convertita ed utilizzata come strumento per svolgere attività illecite.

Dalle intercettazioni ambientali disposte emerge poi come il ricorrente è stato pienamente consapevole di far parte di un’associazione criminosa di tal genere, essendosi egli mostrato pronto a fornire ogni collaborazione per la buona riuscita delle imprese, nelle quali era impegnata la cosca mafiosa di appartenenza, come può desumersi dall’attiva partecipazione da lui fornita al reato di tentata estorsione contestatogli al capo b) delle rubrica e come può altresì desumersi dall’essersi egli prestato a fungere da mero prestanome di una ditta individuale, in realtà gestita da suo padre e dai suoi zii, come da delitto contestatogli sub e).

4. Quanto al reato di cui al capo b) della rubrica (concorso in tentata estorsione), va rilevato che lo stesso ricorrente non ha escluso la sussistenza a suo carico di gravi indizi di colpevolezza in ordine ad esso, avendo il ricorrente solo sostenuto che la sua responsabilità per detto reato non poteva valere altresì come prova della sua partecipazione al clan mafioso, di cui alla lettera a) della rubrica.

5. Quanto al reato di cui al capo c) della rubrica ( art. 110 c.p., L. 7 agosto 1992, n. 356, art. 12 quinquies, aggravato ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7), si osserva come dalle intercettazioni ambientali disposte è emerso che la ditta individuale "Azzurra Costruzioni Geom. Pelle Antonio", formalmente intestata al ricorrente, era effettivamente di proprietà della famiglia mafiosa dei Pelle, facendo essa capo al padre dell’odierno ricorrente P. G. ed ai fratelli di quest’ultimo D. e S.;

ed era in particolare quest’ultimo a provvedere alle incombenze ordinarie della ditta; è altrettanto evidente che i giovani esponenti della famiglia venivano utilizzati per offrire all’esterno l’immagine pulita della famiglia; con conseguente configurabilità a suo carico del delitto d’illecita intestazione fittizia di attività commerciale, L. n. 356 del 1992, ex art. 12 quinquies, della quale l’odierno ricorrente era ben consapevole, tanto che non avere manifestato alcun interesse al concreto svolgimento dell’attività facente capo alla ditta, pure a lui formalmente intestata.

6.Irrilevante ai fini della configurazione del reato da ultimo citato è poi la circostanza che non fosse in atto alcun procedimento di prevenzione patrimoniale.

Il provvedimento impugnato ha al contrario fatto corretta applicazione della giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale il D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12 quinquies punisce l’avvenuta interposizione fittizia anche in caso di fondata previsione che il soggetto agente possa essere in futuro sottoposto ad una misure di prevenzione patrimoniale, senza che sia richiesta dunque la concreta emanazione di misure di prevenzione, ovvero la pendenza del relativo procedimento, come può del resto evincersi dalle parole usate dal legislatore, il quale, nel formulare l’articolo sopra menzionato, ha parlato della finalità di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali e non già della finalità di eludere le misure in concreto disposte o richieste (cfr., in termini, Cass. Sez. 2 n. 29224 del 14/07/2010 dep. 26/7/2010, imp. Di Rocco, Rv. 248189). Il che ben poteva presumersi nei confronti dei soggetti effettivi intestatari dell’attività commerciale in esame, per i quali la prospettiva di essere destinatari di misure di prevenzione patrimoniale era da ritenere altamente probabile, fin dal momento in cui era stato costituita la ditta individuale in esame, da ritenere quindi operazione di fittizia intestazione compiuta in previsione di tale evento e cioè onde impedirne la confisca; e dalle indagini espletate era emerso che tale fosse il sistema normalmente usato dalla cosca mafiosa Pelle di San Luca per la totalità degli investimenti economici effettuati (cfr. altresì Cass. Sez. 1, n. 19537 del 02/03/2004 dep. 27/04/2004, imp. Ciarlante, Rv. 227969).

7. Non è dato infine tener conto dei motivi sviluppati dal ricorrente nella nota difensiva depositata all’odierna udienza.

In tema di ricorso per cassazione avverso provvedimenti "de libertate" emessi dal giudice del riesame, l’art. 311 c.p.p., comma 4 consente al ricorrente di enunciare motivi nuovi davanti alla Corte di cassazione finchè non sia iniziata la discussione; tuttavia anche in questo caso vale il principio generale secondo cui i motivi nuovi possono investire solo capi o punti della decisione impugnata, ai quali si sia già riferita l’impugnazione originaria, come si evince dal chiaro disposto dell’art. 167 disp. att. cod. proc. pen., alla stregua del quale, in caso di presentazione di motivi nuovi, occorre specificare i capi ed i punti enunciati, a norma dell’art. 581 c.p.p., comma 1, lett. a). Quindi per i motivi nuovi di ricorso in materia de libertate, l’art. 311 c.p.p., comma 4 modifica solo il termine di presentazione (non 15 giorni, come stabilito in via generale dall’art. 585 cod. proc. pen., ma fino all’inizio della discussione), mentre mantiene fermo il requisito della necessaria connessione con i motivi dedotti nel ricorso originario, come desumibile dall’esame congiunto dell’art. 585 c.p.p., comma 4 e art. 167 disp. att. cod. proc. pen. (cfr., in termini, Cass. Sez. 3 n. 2023 del 13/11/2007, dep. 15/01/2008, imp. Picone, Rv. 238527).

E poichè la nota difensiva depositata all’odierna udienza concerne argomenti (illegittimità intercettazioni ambientali; insussistenza del delitto di tentata estorsione di cui al capo b), mai proposti in precedenza, di essa non è dato tener conto, risolvendosi il terzo argomento sviluppato (insufficienza della sua denegata partecipazione al delitto di tentata estorsione quale indice della sua intraneità alla cosca mafiosa Pelle) in mera reiterazione di censure già presenti nel ricorso principale e ritenute, come sopra detto, inammissibili.

8. Da quanto sopra consegue la declaratoria d’inammissibilità del ricorso proposto da P.A. (classe (OMISSIS)), con sua condanna al pagamento delle spese di giudizio e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

9. Dovrà provvedersi all’adempimento, di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende. Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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